MACISTE
27-01-11, 22: 00
prima di scrivere di Maciste dovrei è il mastino napoletano...
un monumento vivente e parte della nostra cultura...
Mesopotamia
La prima testimonianza dell'esistenza di un molossoide in compagnia dell'uomo è un bassorilievo Assiro, antico di 2500 anni, che raffigura un cane di grossa mole con arti possenti e struttura leonina, con pelle che si raccoglie in pliche e pieghe sul collo e sulla testa; è tenuto da un uomo molto piccolo in materia dimensionale e porta in mano un bastone, che probabilmente vuole consapevolizzare lo spettatore riguardo al carattere dell'animale.
In Medio Oriente (Assiria, Persia) e persino in India, i cani esistevano già almeno 8000 anni fa. Di fatto non si hanno notizie di un cane della Mesopotamia che avrebbe conservato le stesse caratteristiche dal tempo dei Sumeri fino all’epoca di Dario (dal 4000 al 500 a.C.). I molossi furono addomesticati nel Neolitico dagli abitanti dell’attuale Iran; allevati in branchi e sovente addestrati per la guerra, furono utilizzati dai Babilonesi, dagli Assiri, dai Medi e dai Persiani.Questi cani temibili venivano utilizzati per il combattimento, la sorveglianza dei templi e delle grandi proprietà, ma anche per la caccia al cinghiale e al leone. Sebbene gli antichi popoli Ariani possedessero greggi, la pastorizia era considerata un’attività secondaria, solitamente affidata agli adolescenti. E dunque poco probabile che i molossi fossero destinati anche alla sorveglianza del bestiame.
GRECIA
I primi molossi furono introdotti in Grecia come prede di guerra dopo la sconfitta di Serse I, re di Persia, avvenuta nel 480 a.C.I mastini erano noti col nome generico di «molossi» dalla regione greca Molossia del popolo dei Molossi, che anticamente occupava l'Epiro, nella penisola greca, in cui venivano utilizzate alcune razze di molossoidi per affiancare l'esercito in guerra.
lo stesso Alessandro Magno importò questi cani dall’India, loro Paese d’origine, e li schierò in battaglia per scompaginare le formazioni nemiche, con le sue guerre di conquista nei piu`lontani territori asiatici, ha contribuito alla loro diffusione. È cosa certa che già all'epoca del Macedone i mastini, soprattutto pesanti, fossero altamente considerati. Gli Elleni inoltre avevano grande considerazione per i cani da guardia, usati per sorvegliare i templi di Asclepio. Si diceva che essi fossero stati capaci di distinguere i difensori indigeni dai barbari che tentavano di introdursi nel tempio di Minerva. Si narrava poi che i cani avessero salvato la città di Corinto da un attacco di sorpresa durante le guerre del Peloponneso. Quarantanove dei cinquanta cani a guardia dell’abitato furono uccisi dal nemico, ma il cinquantesimo riuscì a dare l’allarme. I cittadini, riconoscenti nei confronti dei loro difensori a quattro zampe, innalzarono un monumento in loro onore e il superstite ricevette un collare d’argento con incisa la dedica: “Al protettore e salvatore di Corinto”.
Nella letteratura e nella vita degli antichi Greci i cani erano una presenza costante.
Quasi assente nell'arte greca l'antico molosso non è però ignorato dalla tradizione letteraria e mitologica: ne scrisse Aristotele, filosofo e naturalista, considerato il padre della zoologia.
Stagirita cita, nelle sue opere, 7 diverse razze di cani, senza però descriverle dettagliatamente e chiamandole col nome delle regioni dove erano diffuse (cani di Sparta, d'Epiro, d'Egitto...). In particolare nel "De animalibus historia", al lib. IX leggiamo: «La razza dei cani d'Epiro, anch'essa da caccia non differisce in niente dalle altre, se non perché accompagna i greggi e spicca per grandezza e forza, per cui debella le fiere. Poi sono prestanti, e per forza, e per sagacità quei cani che nascono dall'una e dall'altra razza, degli epirotici e dei spartani.
I Greci immolavano vittime canine anche a Proserpina, Mercurio, Marte e Diana. In una città della Focide, Daulide, nel tempio dedicato a Minerva, erano allevati cani che, docili con i Greci, erano particolarmente feroci con gli stranieri. E in Sicilia, nel tempio di Vulcano, presso l'Etna, era osservata la stessa consuetudine della madre patria.
I molossi di Alessandro...
I cronisti dell'epoca raccontano che il Macedone ricevette in dono dal re indiano Poros un gigantesco molosso, impressionato dal suo aspetto, volle opporlo senza indugi a cinghiali e orsi. L'animale non dimostro` per questi avversari alcun interesse e rimase pigramente coricato a guardarli, Alessandro, deluso, lo fece uccidere. Quando apprese la notizia, il re indiano invio` un secondo molosso gigante, di nome Peritas, e avvertí che, come il precedente, era abituato a combattere soltanto contro avversari degni di lui ed era per questo che il precedente non si era mosso, che al mondo non vi erano altri molossi pari alla bestia in questione e che se avesse fatto sopprimere anche l'ultimo non ne avrebbe potuto mandare di uguali. Alessandro fece allora combattere Peritas contro un leone e successivamente contro un elefante. In ambedue gli scontri l'animale si comporto` con eccezionale valore, tanto che il Macedone, alla morte del cane, diede il suo nome ad una città.Le cronache del tempo riportano inoltre che nel 326 a.C. 156 molossi, che Alessandro nel frattempo si era messo ad utilizzare regolarmente contro leoni ed elefanti, furono opposti nelle arene a belve e gladiatori. Proprio Aristotele era solito chiamare i grandi mastini «leontonix», cioà «discendenti dei leoni», tale era l'impressione che su di lui avevano provocato. Per capire di che tempra erano i mastini in quei Tempi duri e barbari basti un anedoto,Curtius, uno dei biografi di Alessandro Magno, narra che un altro re indiano, Sophites, volendo persuadere Alessandro della forza e della ferocia dei suoi molossi, fece condurre un leone di grossa taglia e lo fece assalire da quattro di essi ( Strabone scrive che per fronteggiare un leone occorrevano quattro molossi ) che immediatamente se ne impadronirono. Un arciere, per separarne uno dal leone al quale si era tenacemente avvinghiato, lo prese per una gamba e gliela recise; ma poichà il forsennato non si decideva a lasciare la presa, gliene taglià una seconda e così di seguito, fino a privarlo di tutte e quattro le membra. Ma nonostante fosse mezzo morto l'indistruttibile mastino non rinuncio` alla sua vittima.
Tempi bui per gli uomini e gli animali.
I Molossi, sarebbero stati portati nell'area mediterranea da Pirro, re dell'Epiro, durante una delle sue numerose guerre d'espansione.
ROMA
(http://www.powerlifterantonioorlando.com/mastino-napoletano/IMG_7331-1.JPG?attredirects=0)
Capua, il più importante centro d'armi e d'allevamento dell'impero. Era lì che si allevavano e addestravano uomini, cavalli e cani da guerra. Non è vero quindi che da Roma, dalla capitale dell'impero, i mastini scesero nel napoletano. E' invece vero il contrario, erano gia lì. Sì, proprio così: erano già Mastini Napoletani... Allevati e selezionati per una precisa funzione: la Guerra. Nei campi di battaglia, dove probabilmente erano utilizzati soggetti più resistenti e in grado di affrontare lunghe marce, nelle arene, dove invece si esibivano combattendo con fiere, tori e gladiatori i soggetti più grandi e poderosi.
I mastini di tipo leggero resi pressoché invulnerabili contro le frecce da corazze e maglie di ferro, precedevano le fanterie nell'attacco, dimostrandosi spesso decisivi per le sorti della battaglia. In seguito intervenivano i mastini pesanti che con pochissimi soldati, rendevano praticamente inespugnabili i capisaldi conquistati.
Il molosso fu opportunamente allevato ed addestrato per diversi scopi, quali:
combattente in battaglia; combattente nelle arene contro belve e gladiatori; guardiano di edifici pubblici, di case e di ville patrizie;ausiliario nella caccia grossa.
Il Molosso Romano, pertanto, era un cane funzionalmente completo e nelle terre conquistate dalle Legioni Romane di cui era al seguito, dette origine a cani che poi vennero utilizzati per funzioni similari: ad esempio,
in Spagna originò il Perro da presa spagnolo
in Francia il Dogue de Bordeaux
in Germania il Rottweiler
Inoltre contribuì alla formazione di altri cani che ora fanno parte di altre razze europee, come: il Komondor, l’Old English Mastiff, il San Bernardo, il cane dei Pirenei, il Bovaro Svizzero...
i cani da guerra avevano tre funzioni ben precise: attaccare il nemico, difendere gli accampamenti e recapitare ordini. Utilizzati come messaggeri, erano costretti a inghiottire capsule di rame contenenti documenti segreti da portare a destinazione sgusciando attraverso le linee nemiche. I dispacci venivano recuperati uccidendo gli animali. Gli esemplari allevati per l’attacco o la difesa erano quasi certamente discendenti dei molossi sumeri che i Greci avevano allevato dopo averli sottratti ai Persiani. Per il loro coraggio essi erano addirittura leggendari: si racconta che un generale romano avesse equipaggiato i suoi cani con basti riempiti di materiale incandescente e li avesse scagliati contro i nemici per ustionare il ventre dei loro cavalli.
I Romani furono i primi a classificare i cani secondo il loro impiego nella caccia:
Seguges: (segugi) che grazie al sensibilissimo olfatto seguivano le tracce della selvaggina; Celeres: (levrieri) che la inseguivano velocemente; Pugnaces: (molossoidi) che l’attaccavano.
La caccia preferita dai romani antichi era condotta attraverso grandi battute, possibilmente a cavallo se il terreno lo permetteva: i molossi, una volta circondata la preda, scovata dai seguges ed inseguita dai celeres, le venivano aizzati contro e la bloccavano fino all’arrivo dei cacciatori che, richiamati i cani, per dimostrare il loro coraggio l’affrontavano con il giavellotto (o anche con la daga) da distanza ravvicinata. I Romani impiegarono diffusamente i cani da guardia negli edifici pubblici e nelle case private (specie in quelle patrizie). Erano tenuti per tutto il giorno legati alla catena entro una nicchia all’ingresso dell’edificio e di notte venivano liberati. Spesso la loro aggressività provocò incidenti tali da richiedere l’istituzione di apposite leggi. Da ciò prese origine la consuetudine di sostituire in molti casi la presenza del cane con un suo simulacro recante la nota iscrizione “Cave canem”.
Negli anfiteatri romani, durante i “ludi gladiatori”, si affrontavano in combattimenti all’ultimo sangue belve, molossi e gladiatori. Migliaia di orsi furono catturati ed impiegati nelle arene. L’imperatore Caligola, nel I° secolo D.C. organizzò un feroce combattimento che vide opporsi a ben 400 orsi un manipolo di gladiatori affiancati dai loro cani. I ‘venatores’ o i ‘bestiari’, che venivano addestrati in scuole simili a quelle dei gladiatori, ma a differenza di questi ultimi non erano tenuti in gran considerazione dagli spettatori, vestivano una corta tunica con maniche, portavano fasce alle gambe, avevano come armi da offesa una lancia a punta larga e una frusta di cuoio
IL MEDIOEVO
La deposizione di Romolo Augustolo nel 476 d.C. segnò la fine dell’Impero Romano d’Occidente e diede anche inizio alle invasioni di popoli barbari che distrussero ogni traccia di vita urbana e rurale. I contadini, venute a mancare tutte le altre risorse, dovettero rifugiarsi nelle foreste per evitare le orde che li minacciavano e i cani seguirono i loro padroni nella fuga.
Nel Medioevo, cane e cavallo formarono l’identità del Cavaliere i veri molossi erano appannaggio di una ristrettissima cerchia di nobili. Se si considera l’atteggiamento della cultura aristocratica e religiosa medioevale di prevalente disprezzo nei confronti del lavoro manuale e del commercio, le due sole attività da cui ci si poteva a quel tempo ricavare prestigio, ricchezza e potere erano la guerra e la caccia. Era pertanto indispensabile il permanente possesso di ampie scuderie e di mute di cani che dimostrassero particolare efficacia nella caccia (levrieri, molossi e segugi), nella guardia e nella difesa delle fortificazioni e, soprattutto, nei frequenti conflitti armati che ad ogni piè sospinto scoppiavano fra i Signori del tempo per il dominio sui territori.
Il signore medioevale era proprietario di un elevatissimo numero di cani ma la loro cura era riservata, come doveri di vassalli, ai propri sudditi le tenute erano immense.I Borbone di Napoli erano i migliori selezionatori di cani e cavalli ritenuti per i francesi e inglesi i migliori al mondo per la guerra e la caccia.
I Molossi da combattimento, presenti in quasi tutti gli eserciti medioevali erano bardati di protezioni di cuoio rinforzate con lamelle metalliche, era loro affidato il risolutivo compito di assalitori: eccitati dalle grida di battaglia, si lanciavano sul nemico azzannando cavalli e cavalieri e scomponendo così la cavalleria nemica.
Nel Medioevo il legame con il cane da guerra e da guardia o da difesa fu particolarmente forte tanto è vero che il Clero prese più volte drastici provvedimenti al fine di impedire l’accesso in chiesa a questi animali da cui i cavalieri non volevano separarsi nemmeno durante le funzioni religiose. Ma gli aristocratici, non volendo separarsene, fecero aprire le porte delle chiese per poter seguire la messa sul sagrato e far benedire così anche i loro compagni.
tratto da:linux.med.unifi.e TMQ.
Furono verosimilmente discendenti del Molosso Romano importati dal Regno di Castiglia quei Mastini a cui nel 1494 Cristoforo Colombo fece ricorso contro gli Indios del Nuovo Mondo:
“E’ il 15 maggio 1494: la seconda spedizione di Cristòbal Colòn (Cristoforo Colombo) …. Qualche giorno prima aveva compiuto una carneficina di indios ostili, pressoché indifesi, utilizzando prima frecce di ferro scagliate con le balestre, poi feroci cani mastini d’assalto.”
“… il mondo seppe che catturasti schiavi indiani come pesci in trappola, nutristi mastini delle loro carni come scherzo spagnolo” (“Cristòbal Colòn : il sogno di un marinaio”, prosa di Duane Niatum e Salish Klallam).
Pizarro, non gli fu da meno e riportò che i suoi cani furono, come nell’antichità, alimentati anche di carne umana. Il domenicano spagnolo Bartolomé De Las Casas, che difese gli indigeni dalle barbarie dei “Conquistadores”, scrisse che questi cani avevano imparato a nutrirsi di carne umana.
Siccome si dice che i cani assomigliano ai padroni..
Diego De Landa descrive la barbara usanza degli spagnoli di appendere i cadaveri degli sventurati Maya agli alberi:” un grande albero ai rami del quale un capitano aveva impiccato un gran numero di indiane; e alle loro caviglie aveva appeso per la gola i loro figlioletti.Commisero crudeltà inaudite, mozzando mani, braccia e gambe, tagliando i seni alle donne, gettandole in laghi profondi e trafiggendo con la spada i bambini perché non camminavano abbastanza svelti insieme alle madri. E se gli indiani trascinati con la corda al collo non camminavano abbastanza svelti, tagliavano loro la testa per non fermarsi a slegarli”.
Passano i secoli ma i Tempi rimangono bui.
e poi...
NAPOLI
In uno strano avanti e indietro...
I vari domini che si susseguirono nel Sud-Italia sono stati tutti significativi per la razza; ad esempio i reali di Spagna portarono i cani dei “conquistadores” che erano caratterizzati da grosse teste e da arti corti, erano chiamati “perro da presa” che servirono a rinsanguare il nostro molosso, da qui il nome “cane ‘e presa”, che è rimasto nel gergo partenopeo. Nel susseguirsi degli anni viene attribuito a questa razza il nome “Mastino” che deriva da “massatinus”, ossia guardiano della masseria.
RIDOTTO QUASI ALL’ESTINZIONE
Al Regno Borbonico pose fine la spedizione garibaldina del 1860 cui seguì l’annessione al Regno d’Italia. Tra il 1861 ed il 1870, però, in vaste aree del Meridione deluso dal mito risorgimentalista, oberato da nuove tasse che avrebbero dovuto risanare le casse Savoiarde ormai al verde per le spese belliche, intollerante alla soppressione violenta del Regno Borbonico, centinaia e centinaia di bande partigiane insorsero. L’Esercito Piemontese stentò a piegare quello che con un termine infelice, inappropriato e propagandistico (in quanto intenzionalmente inteso a far passare i resistenti per delinquenti comuni) fu chiamato “Brigantaggio meridionale”. Più giustamente, si deve parlare di vera e propria guerra “di liberazione” contro gli occupanti Piemontesi (che dovettero impiegare più di 125.000 uomini e ve ne persero più che in tutte e tre le guerre d’Indipendenza) condotta dai “cafoni” insorti.
Ai “Briganti” si affiancarono due validi ed indispensabili “amici”: il Cane da presa ed il robusto e resistente Cavallo Murgese. Nel Molise e nelle regioni limitrofe, ad esempio, intorno al 1865-1870 un piccolo esercito di briganti capeggiati da Cascione (soprannome del capo banda perché grande e grosso come un armadio) e da Vulpiano (soprannome del suo braccio destro perché furbo come una volpe) in groppa a cavalli murgesi e con i terribili cani che facevano loro da guardaspalle, mise in difficoltà la cavalleria savoiarda.
Dopo la disfatta di Gaeta lo storico patrimonio si disperse con la devastazione del meridione, il mastino puro si estinse quasi del tutto in quanto troppo grosso e costoso da mantenere, rimase solo qualche esemplare che diede vita al mastino da masseria, un incrocio con i cani dei contadini, il mastino da catena, chiamato anche: Cane ‘e presa (Terra di Lavoro); Cane della masseria (Puglia); Cors’ (Contado del Molise e Abruzzo); Mastino da catena; Cane Corsicano (Basilicata); Cuòrsicu : Alta Lucania; Can’ Huzz : Cane Guzzo (Calabria);Corsu, Cane Guzzo, Vucciuriscu (Sicilia).
‘Il Cane’, 1897; testo universitario del Prof. Errico Tecce (professore di zootecnia nella Regia Scuola Veterinaria di Napoli): “Ha l’espressione superba e orgogliosa: e si rivela in ogni caso assai affezionato al padrone, in guisa da esporre spesso la sua vita per garantire quella del suo signore. E’ detto cane di comando, e non obbedisce che al padrone. Quando questo glie l’ordina, attacca con ferocia insuperabile;assale, atterra, sbrana; tutto è compiuto in un batter d’occhio. A Napoli è il compagno inseparabile del camorrista, al quale accresce la fierezza nella spoliazione dell’innocente. Non è disadatto alla guardia della mandria, avendo l’abilità di restituire alla calma il toro stizzito; profitta del momento favorevole per addentarlo alla bocca, ed allora lo lascia, quando ha la certezza che l’animale infuriato ceda alle sue imposizioni. E’ un lottatore senza paura e senza biasimo, che si batte coll’assassino, col cane ordinario, col lupo, coll’orso e col toro, vero Ercole che, confidando nella forza propria, rifiuta e spregia l’agguato; attacca sempre di fronte e senza esitanza: atterra l’avversario e si contenta di tenerlo semplicemente inchiodato sul suolo, se il malcapitato non oppone nessuna resistenza. E’ generoso coi bambini e coi piccoli cani, non gli piace di attaccar brighe senza ragioni; ma se è provocato, guai all’imprudente, ché il dogue non lascia manomettere la sua dignità. Nella guardia alla casa, ai magazzini, alle merci, è il custode più fiero e più geloso, perché preferisce di morire prima che siano manomesse le sostanze affidate alla sua vigilanza”.
nel 1914 a Milano, in occasione di un’esposizione canina, il Sign. Mario Monti di Bagnocavallo, presentò al giudice Fabio Caielli un soggetto di Molosso Italiano di nome Drago. In quell’occasione il giudice rifiutò di esprimere il suo giudizio affermando che la razza non esisteva e che il Kennel Club non aveva emesso il relativo standard. Il Monti, allora, invitò il Caielli a prendere un biglietto circolare per Napoli e a fermarsi a Bologna, Firenze, Pisa, Livorno, Grosseto, Civitavecchia, Roma, dove, in misura sempre più crescente, avrebbe visto Cani Corso presso privati e guardie notturne. Ne avrebbe poi visti in maggior numero a Napoli, Foggia, Benevento, Barletta e Bari, sia in ambito cittadino che nei dintorni e presso qualunque ceto sociale. Ne nacque una polemica piuttosto vivace, tanto che il Monti scrisse su “Il Cacciatore Italiano” per sostenere che, desiderando essere il primo a presentare in Italia un esemplare di “Cane Poliziotto” e non volendo ricorrere a cani di razza straniera, aveva indagato “…. se in Italia vi erano razze di cani che efficacemente disimpegnavano le mansioni di custodia di beni e di vigilanza di persone e nel contempo siano di bella apparenza ed atti a sopportare eventuali avversità di ambienti. La mia ragionata predilezione, s’è trasformata una volta venutone in possesso grazie alla cortesia di un’eletta persona di nobile casato napoletano, in passione perché la terra e gli uomini che hanno avuto in questo cane rispettivamente il figlio e il compagno hanno trasferito in lui mille ardori e mille virtù.”
Le guerre mondiali del '14-18 e del '40 sicuramente diedero un colpo mortale alla diffusione e allevamento del Molosso, in particolare alle varianti più pesanti "da corte", da catena, più impegnative in termini di mantenimento e impiego rispetto alle varianti più leggere e utilitaristiche maggiormente disperse nelle campagne, si verificano una serie di radicali cambiamenti di pertinenza sia sociale che economica, l’esodo dalle zone rurali dovuto all’urbanesimo.
Inserito in questo contesto il molosso viene a trovarsi in una posizione di marginale utilità che ne decreta il declino.Il sangue di questi animali, antichissimo e che era già stato in gradi di resistere nei secoli guerre, dominazioni e carestie, anche questa volta riusci a sopravvivere.
Giravano leggende su cani grossi, molto feroci, si diceva allevati nelle grotte, i napoletani stessi erano sempre molto riluttanti a mostrarli in giro.
LA RAZZA DI ZACCARO
Interessanti precisazioni dell`autore di questo articolo, che da oltre mezzo secolo bazzica cani e uomini nel giro del mastino.
Leggo su “I Nostri Cani” ( n. 8 dell`82 ) l`interessante articolo del Dott. Perricone.
Non ero precedentemente a conoscenza di esso. Peccato! Se lo avessi letto prima che lo stesso fosse rimesso alle stampe avrei fatto notare una imperfezione ed il presente non sarebbe mai stato steso.
Nel cennato articolo si parla di “ razza zaccara”.
Purtroppo temo che nel futuro la dizione possa dare adito ad interpretazioni errate. Certo la filologia è interessante ed ho sempre ammirato le disquisizioni sulle parole . Dotte di sommo interesse, ma che, purtroppo, danno adito a dubbi e perplessità. Il ragionamento umano, si sa, è soggetto a possibili errori. Percio`, prima che il tempo passi che coloro i quali sanno scompaiano e debbano sorgere le varie ipotesi: lasciamo traccia della verità.
Zaccaro era un personaggio reale, un allevatore di mastini napoletani, anche se il suo nome mai è comparso sui cataloghi delle esposizioni.
Viveva in un paese vicino Napoli ; Afragola.E, arcano nell`arcano, era conosciuto , e lo è da parte di coloro che lo ricordano, come Zaccaro. Ma, con il vizietto tanto caro ai partenopei di corrompere e a volte trasformare le parole, quel signore si chiamava all` anagrafe Giacco Gennaro.
E vediamo chi era costui. Rinvango i miei ricordi ed i “ sentito dire” di tanti e tanti anni fa. Speriamo di non commettere errori.
Proveniva da una famiglia di agricoltori ed era, per forza di cose, nato e vissuto tra i mastini, normali custodi delle “ masserie” napoletane. Aveva avuto una vita intensa come avvenimenti. Era un uomo di interessanti caratteristiche e principalmente un conoscitore del “ cane è presa “.
Egli aveva girato il mondo e per tanto tempo , costretto dagli avvenimenti della vita aveva soggiornato in America.
Ma inquadriamolo nell`epoca piu`vicina a noi, nell`ultimo periodo della sua vita troncatasi improvvisamente 12/14 anni fa.
Viveva solo in un appartamento; lui ed i cani. Si, anche i cani. Ad essi era riservato un ampio vano, il migliore come dimensione, arredato tutt`intorno di ganci infissi al muro ai quali erano attaccate delle catene ed alle catene le fattrici. Un maschio gironzolava per l`intera casa e scortava il nostro Zaccaro nelle sue peregrinazioni in paese facendo rispettare il suo padrone con il suo carattere fermo; docile con il suo padrone, ma deciso ed all` occasione aggressivo con gli estranei.
Zaccaro viveva, mi pare, di una misera pensione della Previdenza Sociale. Poco piu` di 20.000 lire ogni due mesi. Ovvio desumere che era in eterna bolletta. Solo e vecchio, con i suoi cani ed i problemi dell` indigenza; cosi lo ricordo.
Ma chi erano questi cani della riscoperta razza di Zaccaro?
Figli dei figli dei figli … dei suoi cani.
Monte extra moenia le cagne di Zaccaro non ne facevano. Lo sposo era in casa, e cacciare soldi o dare un cucciolo di monta era un assurdo.Un mastinetto si vendeva 20/30.000 lire. Che scherziamo? L`equivalente di un bimestre di pensione.
Il maschio poi faceva pochissime monte fuori casa. E le monte si dovevano pagare, salvo casi eccezionali. Zaccaro era solito dire che avere un maschio significava crearsi liti. Infatti l` accoppiamento straniero aveva , come probabile conseguenza,che il proprietario della fattrice, a parto avvenuto, nascondesse in parte, o meglio completamente, la cucciolata e cio per non dare al proprietario dello stallone un cucciolo a scelta, come di dritto. Di qui un sicuro “ appiccio” ( bisticcio ). E Zaccaro era anziano ; non si sottraeva alle liti, m, se possibile, le evitava.
Cosa avevano di buono e di cattivo i soggetti che provenivano da tale allevamento?
Tipicità massima. Mastini in ogni regione del corpo, nessuna concessione a quella quota di analeggiante che a volte si vedeva in giro. Ed i difetti? Conseguenza di quanto fin qui detto. Spesso rachitismo e spongiosi, conseguenze del tipo di allevamento e di fissate tare.Mancinismo, curvature innaturali, corte gambe, corti avambracci anche se molto grossi e terminanti con imponente piede leonino.Quindi corto di gambe e lungo fuori misura. Imbattendosi in un soggetto di simili caratteristiche era probabile che fosse uno “ zaccaro”.
Ma se poi incontrava un supertipo senza quei difetti e fornito delle qualità positive surriportate, si trattava di una rara perla che, probabilmente, proveniva da uno dei rari accoppiamenti che lo stallone di Zaccaro effettuava per chi era amico del padrone ed aveva una cagna di tutto rispetto . Perché Don Gennaro il mastino lo capiva ed i risultati dei suoi accoppiamenti lo dimostravano.Queste sono le precisazioni che potevano venire solo da chi , da oltre mezzo secolo ha bazzicato cani e uomini nel giro del mastino.E tutto cio` per precisare che la “razza zaccara” è equivalente di “ razza di Zaccaro” e che Zaccaro era all` anagrafe Giacco Gennaro.
Vincenzo Villani.
TEMPI MODERNI
Grazie all`interesse di alcuni cinofili napoletani all'esposizione canina di Napoli del 1946 parteciparono 8 esemplari che furono notati da un giovane cinofilo svizzero...
Inizialmente vennero mantenute le denominazioni "cane 'e presa", "molosso italiano", "cane mastino", "cane corso", poi attorno alla metà degli anni '60, venne stabilita (forse a seguito di pressioni da parte delle organizzazioni cinofile locali) la denominazione di "mastino napoletano".
GUAGLIONE E PIERO SCANZIANI
"Un molosso non è uno status simbol, è una animale che vive per amare in maniera totale ed incondizionata il suo padrone".
si potrebbe aggiungere... e viceversa
Viaggio intorno al Molosso
di Piero Scanziani
Viaggio cominciato da bambini, quattro anni. Bambino Sbagliato: già i genitori divorziavano. Cucciolo sbagliato: non era un molosso, non era niente, un bastarduccio, quelli che restano piccini (dicevano), basta dargli un quotidiano sorso d'acquavite (dicevano). Forse glielo diedero, certo s'ammalò. Stava acciambellato in un corridoio, cimurro (dicevano), un cataplasma di pece sul fianco, odore di catrame da per tutto, odore nero, corridoio nero, nero anche il cagnino, puzzava di bitume, lagno flebile, tremito febbroso, moriva. Morto, scavarono un buco e ve lo misero, presso il muro d'una sartoria, in Svizzera: era mezzogiorno, le stiratrici uscivano, mi guardavano piangere, ridevano.
Nemmeno il secondo era un molosso, dieci anni dopo. Trovatello raccolto per la strada dalla mamma (Milano, in guerra, soldi rari, fame frequente). Trovatello di pelo giallo, di gambe bassotto, di testa volpino, coda a bandiera. Al mattino esigeva gli s'aprisse, rotolava per le scale, usciva nel gran cortile fra l'incombere degli enormi casamenti, finestre finestre, talvolta donne vi s'affacciavano a lanciare ingiurie, lunghe, motivate, recitate meridionalmente a gesti e grida, forse rivalità o isterie o climateri.
Il trovatello tornava puntuale al pranzo. Se tardava, mi spedivano a cercarlo sul viale, ove stava perdendo tempo dietro qualche femmina. Uscivo acceso di speranza grazie a una ragazzina di nome Carla, non bella, ma si lasciava baciare sulle scale. Si lasciava baciare le labbra, tranquilla, mentre temevo d'essere scoperto e il cuore mi tumultuava. Non l'amavo (ancora non mi riesce d'amare le ragazzine), ma mi bastava il bacio (a cui Carla era come assente) per sentir germinare in quel che più mi mancava: la sicurezza. Correvo via trionfante a cercare il cane e tornavamo a casa, entrambi esultanti. La mamma ci guardava, insospettita. Una sera il cane giallo non tornò. Corsi a cercarlo per il viale, invano. Domandammo da per tutto, per giorni e giorni: non se ne seppe nulla, mai. Sparì anche Carla. Quattordici anni e t'accorgi che gli altri di colpo appaiono e ti sono accanto, li guardi, li ascolti, perfino li tocchi, di colpo spariscono né sai dove, né perché.
Il terzo era davvero un molosso. Allora molosso significava per me un cane raro, di muso corto, anzi non muso, piuttosto faccia. Cani visti solo nelle illustrazioni dei libri, nelle fotografie dei giornali. "Non molossi: bulldog", mi correggeva un compagno esperto. Insistevo testardo: molossi. Il nome m'incantava.
Incontrai il mio primo molosso di sera, forse tre anni dopo. Ormai riuscivo a innamorarmi delle ragazzine: si chiamava Emma era la ragione del mio respiro. Camminavo solo nel crepuscolo per le strade della grande città. La guerra era finita, cominciava la crisi. Adolescente magro, innamorato, malato, forse l'adolescenza è una malattia. Certo l'innamorarsi è una malattia. Sei sensibile alla vita che trascorre, trascinante, la vita che che t'affascina ma è tutta per gli altri, niente per te, la sera violetta si anneriva. Dalla porta d'un grande albergo uscì improvviso un fiotto di luce bianca, stagliata sul marciapiede. Luce opulenta. Fermo contro il muso fissavo la porta girevole aperta ai paradisi: paggi s'inchinavano a sovrani. Uscì una giovane regina, bella, altera e grave, diretta a un'automobile d'argento. L'accompagnava un bulldog (molosso, per me), bianco e fulvo, muscoli, impeto, sì, finalmente, era lui. Si fermò cordiale a guardarmi, mosse il codino. La bella regina lo chiamò passando grave e altera.
Emma portò un cucciolo nel nostro abbaino, d'agosto, sotto il tetto cocente. Era un ********, ma rifiutò la nostra povertà, le nostre patate bollite, il baccalà salato, rifiutò l'arsura canicolare dell'abbaino. infilò le scale e scelse la libertà. Lo rivedemmo, lucido e panciuto, a rosicchiare ossa succulente fra i banchi d'un mercatino che l'aveva adottato. Anch'egli ci vide e scappò. Non ci riuscì di dimenticarlo, a causa delle pulci che ci aveva lasciato, moltitudine beata nella calura sotto il tetto, beata a suggerci il sangue adolescente, profittando dei lunghi nostri languori.
Anni dopo vi fu un randagio che certo avrebbe desiderato essere molosso. Mi scelse in una via di Roma ov'ero capitato cercando lavoro, allora introvabile: la guerra era finita, cominciava la crisi. Grosso cane bianco da gregge, avrebbe voluto essere molosso per piacermi. Mi vide dall'altro marciapiede e mi fissò. Traversò la strada scodinzolando, come gli fossi amico. Doveva aver perduto pastore e pecore. Sonava il mezzogiorno e m'avviai a una panchina per mangiarmi il panino. Non mi riuscì, lo mangiò lui. Mi si era seduto dinanzi, composto, l'occhio eloquente. Era alto, grosso, il lungo pelo nascondeva le magrezze e aumentava il tanfo, così forte che l'avresti riconosciuto al buio. Divorò una pagnotta che gli comprai, poi una seconda, pozzo di san Patrizio. Mangiava tutto e non mi lasciava. Più che pastore si rivelò cane poliziotto: mi sorvegliava a vista, senza staccarsi dal fianco. Sperai di sfuggirgli verso sera, poi verso notte. Tentai di chiuderlo fuori dal portone: vi s'infilò, salì lieto le scale, entrò in casa, si distese ai piedi della branda, mentre restavo silenzioso, senza osar accendere la luce, paventando il risveglio della padrona, facile alla collera e alla cacciata. In tutta la città non v'era un'altra branda più a buon mercato. All'alba me ne uscii, spalancata la finestra per disperdere il tanfo pastorale. Mi seguiva allegro, sorrideva con la coda. Me ne liberai a fatica, infilandomi in edifici dalle doppie entrate. M'era impossibile adottare un simile mangiatutto. Poi, se mai mi fosse avvenuto d'avere un cane, sarebbe stato molosso. Riuscì a lasciarlo dietro un cancello e correr via. Mi guardò per l'ultima volta, da prima incredulo, poi sorpreso, inquieto, disperato, di nuovo derelitto, abbandonato agli accalappiatori.
Dagli accalappiatori si salvò una cagna, era una bulldog. Avevo ormai imparato a distinguere bulldog da molosso, razza (dicevano) scomparsa nei secoli. Era una bulldog d'un anno, chiamata Lady, nata in casa d'un senatore che aveva importato una coppia. Avuti i cuccioli, ne regalò un paio, lasciando Lady alla servitù. Finché un giorno il senatore s'adirò per chissà quale ragione e ordinò ci si liberasse della bestiola. Fu portata al canile municipale. Evitò la camera a gas grazie a un traffichino che fiutò l'affare, pagò il riscatto, mi propose l'acquisto, chiese un prezzo ingordo, l'ottenne. Ne capivo poco di cani a quel tempo, era un tempo dominato dalla luna: luna di miele. Sposo fresco, Lady (bulldog francese) fu la prima a entrarmi in casa, la prima d'una schiera canina che non mi riesce più di numerare.
Nella schiera v'è Esta, una boxer venuta di Germania: Esta von der Blutenau. La razza era allora tanto rara che per strada la gente si radunava intorno a Esta, domandandomi se fosse una scimmia.
Per cinque o sei anni il viaggio intorno al molosso passò fra i bulldog francesi. Me ne nacquero alcuni assai belli, ma sempre fui costretto a venderli, perfino il mio primo campione, Conte di Villanova. Conte era con me in treno la notte in cui morivo dissanguato per emorragia interna. Mi guardava come lo sapesse, forse lo sapeva, mi leccava la mano gelida, era l'unica presenza in quella solitudine in cui me ne morivo a stilla a stilla. Guarito, fui costretto a venderlo: la crisi era finita, cominciava la guerra.
Pure continuò il viaggio verso il molosso: traversai i luoghi abitati dal mastiff inglese, dal dogue bordolese, dal perro de presa spagnolo. Ma non erano il molosso antico, quello dei romani, quello d'Alessandro il Macedone, quello degli assiri, quello del Tibet. Il molosso (dicevano) era scomparso nei secoli. Se così era, avrei voluto almeno un bulldog, il vero, il britannico, con la faccia di Winston Churchill che stava vincendo la guerra. Ma come in quegli anni, vivendo a Berna, trovavi un bulldog inglese?
Un giorno, ai margini della città, capitai in un'osteria. Seduto davanti al boccale di birra, fui circondato da quattro o cinque boxer di due mesi. Mi mordevano i calzoni, salvo uno, sfrontato, che mi saltò in grembo. Ci guardammo: era Arno. Arno von Turnellen, boxer bernese, mutò assai la mia vita. M'indusse a studiare l'addestramento, a scriverne libri, ad aprire un canile allo zoo di Roma (vi ero finito cercando lavoro), a dirigere una rivista che attrasse amici, accese nemici. Arno mi portò a frequentare mostre canine e così mi trovai a Napoli il 12 ottobre 1946. Debbo a lui l'incontro col molosso verace.
Si Chiamava Guaglione. V'erano otto cani da presa in quella prima mostra partenopea. Alcuni grigi come Bufariello e Zingarella; alcuni neri come Leone e Catarì; Moschella era serpata; solo Guaglione blu, possente e redivivo. Lo riconobbi all'istante: era uno dei cento che Paolo Emilio il Macedonico aveva portato in Roma al suo trionfo. Era il gran cane d'Epiro, figlio degli assiri, nipote dei tibetani, era il Molossus.
Guaglione, dall'alto dei suoi secoli, mi fissava imperturbabile, occhi non ostili e non gentili, sguardo che non dà e non chiede: rimira. Rimirava Arno, tenuto al mio guinzaglio. Arretrai ricordando D'Annunzio: molosso pronto ad azzannar senza latrato.
I giudici e i competenti venuti a Napoli dal nord beffeggiavano gli otto cani da presa. Li consideravano senza razza, uno alto e l'altro basso (dicevano), questo di tipo alano e quello bordolese, non uniformi neppure nel colore, disparati, simili solo nel linfatismo, nel rachitismo, nella bastardìa, cani incatenati al pagliaio e inetti perfino al camminare, bestiacce (dicevano) che solo l'inventiva napoletana poteva riunire sotto l'etichetta di mastini.
Invano mostravo loro Guaglione, parlavo del molosso antico. Ridacchiavano di me e della mia enfasi. Il più autorevole decretò: "Manca la razza e addirittura manca il cane". La frase parve vietare ogni rinascita. Tuttavia avevo imparato che la vita è imprevedibile e fervida, fuori dalle nostre logiche. Ride dei no Umani, ride dei sì. La vita talvolta si china a raccogliere proprio chi pareva reietto e ne fa un sovrano. Guaglione divenne patriarca.
Molte vicende s'accavallarono, come sempre avviene nella nostra esistenza bifronte: sorrisi e lacrime, lacrime e sorrisi. Commedia e dramma, tragedia e farsa, pure l'esistenza ha nel suo fondo un incanto che spinge tutte le creature sull'immensa scena e rende ognuna interprete della propria parte. Nessuno meglio d'un mastino recita la parte del mastino. Invece allora recitavo male la parte dell` uomo, ambivo a cambiare la mia svigorita maschera di giornalista con quella lucente dello scrittore. Troppo pochi se n'accorgevano e qualche applauso mi veniva soltanto dalle mie declamazioni di canettiere. era dunque quella la mia parte e il mio destino? Ambivo almeno al grado di Gran Cane, che in Oriente sta per imperatore. Imperatore dei molossi così come Laverack e Gordon erano divenuto imperatori dei setter, Bouiet e Korthal dei griffoni, von Stephanitz dei pastori, il granduca Nicola dei borzoi, il guardiacaccia Graham dei pointer e il guardiacarcere Dobermann dei dobermann.
E' tuttavia difficile dar vita a una razza canina assai difficile. 'aiutarono alcune femmine: prima fra tutte Spes di Villanova figlia e sposa di Guaglione, poi la nera Aria di Villanova, figlia del nobile senatore Siento. Passarono molossi neonati fra le mie mani, passarono campioni, il più glorioso forse Ursus di Villanova e suo fratello Uno di Villanova e la bella Calliope di Villanova. Indimenticabili Caesar di Villanova, nero, Brutus di Villanova, blu, Brutus nato nella mia bella casa di Roma e lì visse e morì.
Poi il mio copione cambiò. L'incontro con Guaglione restava indietro nel tempo, cominciarono gli anni sessanta. M'ero messo a recitare solo la parte dello scrittore, tanto da dimenticare le altre, anche quella del canettiere. Nuova gente si andava occupando dei mastini e continuava l'opera. Il molosso m'era rimasto in cuore, primo amore, grande amore, ultimo. perciò non mi riusciva più di vivere con un mastino, troppo e troppo a lungo amato. Il canile di Villanova si chiuse. In Inghilterra comprai un bulldog, Winnie: persona silenziosa, riservata, senza intemperanze, perfino la sua coda aveva pochi gesti. Visse dieci anni, si metteva ai miei piedi mentre scrivevo libri, alzava di tanto in tanto la testa a fissarmi negli occhi, vero cane del pensatore. Winnie morì, i cani muoiono presto, forse è bene, non sopporterebbero il cambio di tanti padroni, come avviene ai cavalli, dalla vita quattro volte più lunga.
Poi conobbi i cani paria in India, i levrieri in Persia, i tosa in Giappone, i cincin a Hong Kong, i boston a New York. Lo scrivere sembra obbligarti mesi e mesi fermo in una stanza e poi d'improvviso induce gli editori a mandarti a girare il mondo. Lo scrivere s'era fermato negli anni settanta in un villaggio svizzero di centocinquanta anime sulle falde d'un monte che si chiamava Generoso e lo è. Ho scelto un cane di mezza montagna, confederato d'Appenzello, ho scelto un bovaro di nome Mani e con lui sono andato a Napoli quando m'han chiamato a giudicare i mastini, l'estate scorsa. Giudice di settanta mastini, in Napoli, anno 1974. Li guardavo davanti a me: mi chiedevano di giudicarli. Trent'anni prima, 12 ottobre 1946, avevo veduto Guaglione in questa stessa Napoli e avevo sognato la razza. Eccoli lì, ormai esisteva, erano i settanta migliori e dovevo giudicarli, ma troppo commosso. Mi dicevano che forse il mio miglior copione era stato quello di canettiere.Certo tutto passa, certo tutto finisce, anche le razze dei cani, eppoi i cani hanno vita breve, anche gli uomini.Eppure può accadere a uno come me di vedersi intorno settanta cani e di sentire d'averli inventati.Sagno, 12 ottobre 1974
IL ROSSOCROCIATO PIERO SCANZIANI muore all’ospedale della Beata Vergine di Mendrisio in seguito a una polmonite il 27 Febbraio 2003…“ l`entronauta” dell’anima Avrebbe compiuto 94 anni. La notizia del decesso è stata annunciata dalla famiglia. Piero Scanziani era nato a Chiasso nel 1908, da Antonio – giornalista – e Linda Tenchio. Trascorse l’infanzia e l’adolescenza a Losanna, Milano, Lugano, Mendrisio e Como. Terminato il liceo Parini di Milano, nel ’ 28 esordì come giornalista alla « Gazzetta Ticinese » . Si trasferì poi a Roma, quindi a Milano.Le sue opere principali sono state tradotte in varie lingue, tra cui inglese, tedesco, francese, spagnolo, sloveno e norvegese.
Dal ’ 38 al ’ 45 si spostò a Berna, dove lavorò dapprima come capo del servizio italiano dell’Agenzia telegrafica svizzera, in seguito quale corrispondente e inviato dei giornali « Der Bund » , « Basler Nachrichten » , « La Suisse » , « Corriere del Ticino » , « Gazette de Lausanne » , « L'Illustré » , « New York Times » , e le agenzie stampa United Press e Reuter.
Nella capitale federale scrisse anche le sue prime opere di narrativa: « La chiave del mondo » e « I cinque continenti » , romanzi pubblicati a Milano nel 1941 e 1942. Dopo la parentesi elvetica, Scanziani fece ritorno a Roma nel 1946 come corrispondente di giornali internazionali. Lì uscirà « Felix » , romanzo del 1952 e miglior opera narrativa al Premio Viareggio e Premio Schiller Naturalista, Scanziani compilò tra l'altro « L'enciclopedia del cane » . Dal 1946 al 1960 nel canile dello zoo di Roma ricostruì e diffuse l'antica razza del molosso romano chiamato poi mastino napoletano.
Lasciato il giornalismo d'informazione intorno al 1950, Piero Scanziani scrisse per vari periodici di Milano e di Roma, per radio e televisione ( una trentina di testi), per il cinema ( sceneggiature e regia di documentari) e un testo teatrale nel 1965, l'unico nella sua produzione letteraria: il dramma « Alessandro » , Premio Ugo Betti.
Nel 1967 fondò a Chiasso le Edizioni Elvetica pubblicando una trentina di volumi d’autori svizzeri di lingua italiana. Nel corso della sua lunga attività, Scanziani fu anche presidente dell’Istituto di relazioni letterarie italo- svizzere dell’Università dell'Aquila, vicepresidente dell’Istituto di cultura italosvizzero di Roma e degli Scrittori. Nel 1969 il romanzo « Libro bianco » ricevette il Premio internazionale Veillon e nel ’ 70 il romanzo « Entronauti » il Premio cattolico Maria Cristina.
A metà del 1971, lo scrittore lasciò Roma, per ritirarsi nel Canton Ticino a Sagno, non lontano da Mendrisio, dove continuò a lavorare. Nel 1975 diventò direttore assieme a Giancarlo Vigorelli della rivista internazionale L`Europa letteraria e artistica. ., mentre nell' 85 ricevette il Premio internazionale Mediterraneo nel 1986 fu finalista al Premio Nobel per la letteratura assieme a Max Frisch e Friedrich Dürrenmatt.
Nel 1978 lUniversita dell'Aquila gli conferma la laurea in lettere ad onore e infine nel 1989 il Premio europeo Lorenzo de Medici per la narrativa.
...Addio Piero ...
MARIO QUERCI PONZANO
Oltre a Piero Scanziani e tanti altri bisogna aggiungere che Mario Querci ha contribuito tantissimo a creare il mastino di oggi .Di lui dice Angelo Dolfi...
[/URL]
AD : Prima bisogna ricordare lo scopritore della razza, colui che la portò al riconoscimento da parte dell'ENCI e successivamente da parte dell'FCI : Piero Scanziani. Fu lui a dichiarare, dopo aver visto il lavoro di Mario nel riselezionare questi cani :" io ho pensato ad una razza e Mario Querci l'ha realizzata". I primissimi soggetti portati al riconoscimento, avevano si molte cose in comune, ma uno di tipo Zaccaro (basso, tarchiato e con posteriore impalato), uno alto simile all'alano , uno tipo l'attuale corso, uno lungo come un'autobus ecc. Mario riuscì a dare l'omogeneità alla razza, riuscì a fissare i caratteri che rispondevano più fedelmente allo standard. Fu così che in circa 40 anni di allevamento, su un totale di circa 140 campioni, oltre la metà erano solo di Ponzano(circa 50 diretti ed oltre 20 indiretti), l'altra metà suddivisa fra tutti gli altri allevatori italiani. Riuscì a mettere il cane nel rettangolo, a migliorare il movimento, a disegnare le giuste rughe, la giusta quantità di pelle (che non deve essere né troppa né troppo poca, ma giusta), riuscì a fissare nobiltà nell'espressione del Mastino, perché nobile deve essere l'espressione dei nostri cani, seria ma nobile. E' stato a suo tempo, l'unico allevatore a raggiungere così tanti risultati, allevando seriamente non solo per soldi, ma per migliorare veramente la razza. Aveva la creta in mano e la lavorava. Tutti gli allevatori del mondo lo hanno apprezzato apertamente, solo chi lo ha invidiato lo ha disprezzato e poi ha usato i suoi cani di nascosto. In poche parole per raggiungere l'omogeneità del tipo che esiste oggi nella razza, in gran parte lo dobbiamo al lavoro di Mario Querci
EDITORIALE - di Virgilio dal Buono tratto dal Trofeo Mario Querci
In questo numero incontreremo l´Allevamento di Fossombrone che ha fatto, sulle tracce di Querci stesso, della pratica “sportiva”, del giudizio nel ring, il suo unico credo e obiettivo, e proprio per questo può essere più o meno apprezzato da chi la pensa in maniera diversa o da chi crede che, purtroppo, il ring e i giudici di oggi non siano esattamente l´unico riferimento per valutare lo stato di salute di una razza e la sua corretta evoluzione zootecnica-funzionale. Dalle parole di questo allevatore il napoletano è invece ormai, di fatto, quasi esclusivamente un animale da ring, destinato inesorabilmente allo stesso destino del bulldog inglese. Consigliabile soprattutto a chi interessa e coltiva questo aspetto della cinofilia ed è disposto a grossi impegni e sacrifici. E´ un punto di vista legittimo e anche in parte giustificabile, ma rimane il suo punto di vista, più o meno condivisibile. Nei numeri seguenti della nostra rubrica scopriremo che altri possono essere gli approcci all´allevamento, altri gli obiettivi che si possono raggiungere, altro il ruolo che il glorioso molosso napoletano può assumere (o ri-assumere!), fedele rustico compagno e impareggiabile guardiano, come sempre nei secoli.
IL MASTINO OGGI...
MASTINI E MASTINARI: LEGATI DALLA PASSIONE
( a cura della dott.ssa Gessica Degl'innocenti )
Dagli albori della civiltà questo cane, antico quanto l’uomo, è arrivato fino a noi.
Gioiello più grande della cinofilia italiana, il suo sviluppo si lega strettamente al folklore partenopeo, di cui è ancora oggi parte integrante.
Come una fiaba, la sua storia è fatta di coraggio, perdita e rinascita, ma soprattutto è legata alla passione di quegli uomini, quasi una "razza" a parte nel panorama cinofilo, che decenni fa, lo vollero risorto dalle sue stesse ceneri.
LA STORIA: LA RAZZA CHE VISSE DUE VOLTE
Il molosso: il cane nato nella notte dei tempi
La storia di questo cane così antico, sembra essere fortemente legata all’uomo che, nelle varie epoche, ne ha apprezzato e divulgato le doti. Progenitore di molte razze odierne, le prime testimonianze della sua esistenza si trovano nell’ impero Assiro-Babilonese, dove bassorilievi raffigurano scene di caccia in cui è presente un cane forte e robusto; in seguito arriva in Grecia, dove viene definito Cane D’Epiro; lo ritroviamo poi tra i mercanti Fenici, con i quali probabilmente arriva fino in Inghilterra dove sarà il progenitore di razze come il Bulldog, Mastiff e Bull Mastiff; fino ad approdare nell’Antica Urbe, Roma, centro nevralgico di un intero impero. Nei secoli più vicini ai nostri giorni, orme della sua presenza sono disseminate ovunque. Chiamato alle vote "molosso" e alle volte "mastino", viene cantato nella Divina Commedia, dove Dante fa riferimento più volte a cani detti Mastini, caratterizzati da forza e ferocia; la stessa famiglia veronese dei Della Scala annovera tra i suoi componenti un Mastino e un CanGrande Della Scala, nobili che per il loro coraggio si erano meritati il paragone con l’esemplare canino. Il suo uso, nei secoli, è stato suggerito dalla mole possente: impiegato per scopi utilitari, quali la caccia , la guerra e la guardia, ha trovato anche utilizzo in futili e raccapriccianti combattimenti a solo consumo dell’uomo che, come anche oggi accade, finisce per soggiogare l’amicizia canina con il diletto macabro e indegno della nostra razza. Su come, col suo "pellegrinare", tale cane sia riuscito ad arrivare in tutta Europa e qua, a dar vita alle molte razze da lui derivate, rimane ancora quasi un mistero. Certo è che la sua genia, incrociatasi naturalmente con i più svariati esemplari, ha dato vita a moltissime razze attuali, che oggi noi usiamo categorizzare sotto l’etichetta di "molossoidi". In Italia possiamo vantare un discendente diretto di questa antichissima razza: il Mastino Napoletano. Nato forse dall’incrocio tra il Perro da presa spagnolo, arrivato a Napoli al seguito della corte aragonese, e i molossi italici presenti sul territorio, il nuovo mastino si insediò nel territorio partenopeo. Proprio in questa terra sarà amato ed apprezzato, allevato con il calore tipico di questi luoghi, fino a divenirne parte integrante. Il manto, nero cratere del Vesuvio o grigio fuliggine; le rughe, lava che scorre densa tra i sentieri bruciati dal fuoco; il carattere alle volte aspro e alle volte rudemente dolce, ricordano la natura a tratti brulla e rigogliosa della sua terra natale. Come gli altipiani rocciosi campani fanno degradare la loro durezza fino al meraviglioso mare del golfo napoletano, così la rude bellezza del mastino italico sa trasformarsi in dolce affettuosità.
Il mastino napoletano: scomparso e ritrovato
All’inizio del secolo scorso, la guerra spazza via ogni cosa; sotto i bombardamenti si sgretolano dimore, chiese e case, periscono uomini con i loro averi e le loro speranze. Si vive alla giornata la precarietà del futuro e nelle campagne, chi ha avuto la fortuna di sopravvivere, divide il poco pane con galline malconce e qualche cane spelacchiato. Anche il grande mastino, dopo gli sfarzi di secoli di storia, soccombe sotto le bombe, nessuno più si occupa di lui ed i grandi allevamenti, sorti anni prima, vanno perduti. Alla fine del conflitto mondiale solo pochissimi esemplari, ridotti ad animali da soma, sono sopravvissuti. La razza sfiora l’estinzione: nella Campania, fucina di cani dalle enormi prospettive, si contano pochi soggetti e questi, tutto posso sembrare tranne che mastini! La stessa Cinofilia italiana e mondiale da oramai la razza come estinta e molte persone non ricordano nemmeno di aver mai visto un cane del genere. Ma basta la passione vera di una persona, la voglia di ricominciare ad apprezzare la bellezza di un cane antico che subito il fuoco si riaccende, che ciò che era sopito torna a destarsi. Come l’Araba Fenice risorge dalle sue stesse ceneri, così nel 1949 su una rivista cinofila appare la foto di un esemplare finora dimenticato: Il mastino napoletano. Se oggi, durante le esposizioni cinofile, possiamo ammirare ancora quello splendido ed enigmatico sguardo dove sono condensati secoli di storia, non dobbiamo scordarci di ringraziare tutti quegli allevatori che con tenacia hanno voluto riportare il mastino napoletano agli albori di un tempo che fu. I nomi di grandi personaggi si sprecano: Piero Scanziani , giornalista e cinofilo ticinese che scese nel napoletano per cercare gli ultimi superstiti della razza, i suoi Guaglione, Pacchiana, Siente; ed ancora Mario Querci, pratese con la febbre del mastino, che allevò con amore Ovidio, Perseo, Valentino e molti altri. Ma va ringraziata soprattutto quella schiera di impavidi che, ancora oggi con lo stesso amore di allora, allevano questa razza.
Sono i"mastinari", "razza a due zampe" del panorama cinofilo.
IL SUO ASPETTO: LO STANDARD DI RAZZA
Il mastino napoletano è un cane di taglia ragguardevole: la sua altezza oscilla, per i maschi, tra i 65 e i 75 centimetri e per le femmine tra i 60 e i 68 centimetri;il peso è compreso tra i 50 e i 70 chilogrammi.
La parte più appariscente del suo corpo massiccio è sicuramente la testa, che deve essere corta e larga, quasi quadrata. Le labbra devono essere spesse e pendule.
Tratto distintivo del mastino è la numerosità delle rughe, una tra tutte più tipica scende, da sopra l’occhio, fino all’angolo delle labbra.
Le orecchie, oggi sempre più spesso, vengono lasciate integre, ma molti sono ancora gli esemplari che le hanno amputate molto corte e adagiate sul cranio.
Il colore del mantello varia da nero scuro, grigio e fulvo; il pelo è folto e morbido, al tatto vellutato.
Il dorso deve presentare un profilo rettilineo ed il petto deve essere largo e muscoloso.
La sua camminata lo caratterizza appieno: detta "andatura ad orso", è lenta, dinoccolata, quasi felpata.
Nella falcata condensa tutto il suo essere: essa è un gioco tra la potenza e la fermezza;
è una poesia tra l’ardore dei muscoli possenti delle zampe posteriori e la leggerezza dell’appoggio degli anteriori
La mole, a volte enorme, sembra andar contro ad ogni legge di gravità tanto è fluido il suo cammino; non è una corsa ma un passo svelto, silenzioso e sicuro,elementi questi che distinguono il mastino al di sopra di ogni altra razza.
UNA RAZZA AFFINE: IL "MASTINARO"
Se è vero che ogni razza ha un suo fascino che riesce ad attirare a sé estimatori e amanti, è pur vero che una menzione speciale va al mastino napoletano e a tutti quelli che con cura lo allevano. Come il cane da loro amato, così i "mastinari" appaiono, nell’universo cinofilo, una "razza" a parte, un gruppo di persone governate da una passione diversa. Mai questo sostantivo è stato usato in modo più appropriato, perché allevare mastini è non solo gioia ma anche vera "passione", intesa come sofferenza e rigore. Per questo essere "mastinaro" vuole dire qualcosa di più che amare una razza ed allevarla, è più di un semplice hobby, è quasi una "fede", una febbre che ti accompagna per la vita che spesso si trasmette di padre in figlio, che cresce e si alimenta nel tempo. Mai l’allevamento di una razza è stato così imprevedibile, pieno di interrogativi, imprevisti e casualità come l’allevamento del mastino. Per questo, più di altri allevatori, i mastinari sono spinti da questa passione, he trova linfa vitale nella voglia, tipicamente umana, di capire e conoscere,di cercare di scoprire quello che, nella maggior parte dei casi, è nascosto agli occhi degli altri. Allevare mastini vuol dire imparare a conoscere la natura, che va alle volte assecondata ed alle volte plasmata; vuol dire saper aspettare che questa faccia il suo corso; vuol dire saper accettare con pari dignità sconfitte e vittorie. Questa passione totalizzante cresce col tempo, è febbrile e contagiosa e se sei figlio di un mastinaro non te ne potrai sottrarre, la respirerai come l’aria ogni giorno della tua vita, finché non ti accorgerai che fa parte di te. Per chi è nato e cresciuto all’ombra del maestoso Vesuvio, tutto è quasi naturale: il mastino napoletano fa parte della storia campana e del suo folklore. Ma ancora di più fa parte della memoria della gente: da Napoli, Salerno, Avellino ogni uomo ha in mente quel cane "massiccio" che accompagnava nelle sue passeggiate un certo Don Mario, o quel metronotte che come unico compagno aveva quel mastino scuro come le tenebre o ancora quel signorotto benestante che aveva un buon numero di molossi per badare alla guardia della sua villa. Tutti hanno nella mente di aver incontrato almeno una volta sulla propria strada un mastino napoletano e tutti ricordano come questo fosse maestoso e sornione allo stesso tempo. Il rapporto della gente con il cane è simile a quello che anima i sentimenti verso il loro grande vulcano: la montagna incandescente se ne sta lì sopita, ma tutti sanno che ha in sé una tale potenza nascosta che se si ridestasse potrebbe spazzare via città intere; così è il mastino, dall’apparenza sorniona, sembra quasi sempre assopito come se nulla potesse interessarlo veramente, ma chi con lui a condiviso i millenni della storia sa che il suo riposo è vigile e che al minimo imprevisto sarà capace di balzare allerta pronto anche a sferrare un attacco. Per questo è temuto e rispettato, ma soprattutto allevato nel rispetto del suo carattere forte e riservato. Per queste ragioni, anche se non si è nati nella splendida Campania, sarà facile farsi catturare dall’amore per questi soggetti. Altrettanto nutrita è quindi la schiera di mastinari che risiedono fuori dal territorio partenopeo: estimatori di questo nero gioiello, sembrano essere stregati dalla sua magia, dal suo carattere austero, dalla voglia di cercare il "tipo"perfetto. Sicuramente uomini particolari, alle volte bizzarri, credo che, più di altri nel mondo cinofilo, sappiano capire ed apprezzare veramente il proprio compagno a quattro zampe, proprio per le difficoltà che questo racchiude in sé, le quali, non sono solo legate all’ambito dell’allevamento, ma alla psicologia complessa e per questo profondamente affascinante, dei soggetti stessi.
IL PADRONE GIUSTO: SOLO PER VERI ESTIMATORI
Sape condividere l’affetto di un boxer o un maltese è cosa facile, queste razze si sanno far ben volere; ma il mastino è cosa diversa!
Non scodinzolerà al vostro ritorno dall’ufficio, un poserà la sua zampa sulla vostra coscia per chiedere qualche coccola, non pretenderà di dividere con voi il vostro letto; si limiterà ad accucciarsi accanto a voi, pronto a destarsi ad ogni rumore; per reminescenze ataviche, sa infatti che il suo "lavoro" non è darvi compagnia , ma badare alla vostra incolumità.
Ma non dovrete cercate in lui solo il cane da guardia: se lo terrete recluso in un giardino non scoprirete mai la sua dolcezza. Vedrete la "mostruosità" delle forme ma non apprezzerete la morbidezza del suo manto di velluto. Ammirerete la possenza del suo corpo, ma non capirete la profondità della sua anima. Vedrete solo un ammasso di rughe, ma non scoverete la brillantezza del suo sguardo. Amare un mastino è sapere andare al di là degli occhi, vedere col cuore, scoprire qualcosa di celato: è trovare una gemma preziosa tra la grezza e dura roccia. Questo non è un cane per quei tipi di persone che hanno solo un po’ di tempo da dedicargli. Il suo affetto va conquistato, quasi coltivato, giorno per giorno, gesto per gesto. E’ un cane che va vissuto; va amato, ma poco alla volta. Come un grande amore va costruito e non consumato, così il rapporto che dovrete avere con lui dovrà essere fatto di attese, di rifiuti, di fisicità a volte forte e alla fine di rispetto reciproco. Non dovrete mai aver paura di fargli sentire il vostro "potere", se sarà autorevole ma non autoritario saprà rispettarlo. Allo stesso tempo, al momento giusto, non siate parchi d’affetto, saprà ben ricompensarlo. Il rapporto che dovrete essere in grado di creare richiede spirito e fermezza; se quindi non siete tipi energici forse dovrete cercare un’altra razza che meglio fa al caso vostro. Magari non "possederete" mai un mastino, ma la passione per questa razza sicuramente "possederà" il vostro cuore per sempre.
fonte: dott.ssa Gessica Degl'innocenti
- www.psicologiacanina.it (http://www.powerlifterantonioorlando.com/system/errors/NodeNotFound?suri=wuid:gx:4e21f52bcd8c481f)
a proposito di mastinari duri e puri ...
UNA QUESTIONE DI IDEE
Bisogna sostenere chi si sforza di creare dei soggetti oltre che belli anche sani e funzionali ,sono in tanti gli allevatori che amano profondamente questa antica razza e lavorano cucciolo dopo cucciolo per migliorarne le caratteristiche, bisogna sostenerli, io personalmente ne conto un tre quattro ,questo è il mio allevamento preferito per le convinzioni e le idee che sostiene:
Toscana, provincia di Grosseto, comune di Ribolla.
... una razza, un gruppo di amici uniti da una inguaribile passione, un’idea-progetto: da tutto questo nascono gli
“Alleri - Allevatori Riuniti”
ISTRUZIONI PER UN MASTINO-LEONE:
di Virgilio Alleri
Manto: fulvo o mogano
Lunghezza del tronco: più lungo rispetto allo standard, avambraccio "appare" più corto (anche se non lo è...)
Incollatura: larghissima
Stop: poco, basso, ben scavato
Rughe: poche, giuste, ben marcate (che è 'sta confusione in capa..???), giogaia invece spessa e ben riconoscibile (è la nostra criniera!)
Occhi: sempre aperti e ben visibili, che ti studiano, ti sfidano
Angolo della spalla: più aperto rispetto allo standard e quindi...
Punto-scapola: più evidente e rialzato rispetto allo standard, che "pistona" in movimento
Angolo posteriore in movimento: più chiuso rispetto allo standard, metatarso più lungo, (mai impalato o con metatarso corto!)
Linea dorsale: più flessibile ed elastica rispetto allo standard, mai rigida
Larghezza della coscia: impressionante
Groppa e coda: groppa lunga, coda attaccata bassa, a scimitarra (mai a tromba!)
Temperamento: diffidente, nobile e dominante, mangia le persone
CONSIGLI d´USO: non portatelo in un ring, godetevelo in campagna, da soli, mettetelo in un recinto a far la guardia. È troppo "fuori-standard", i pregi forse diventeranno "difetti" per un giudice chiamato solo a interpretare uno standard da rivedere, ma almeno Lui è "bestiale", "straordinario"
.... e come dice don alfonso: "intanto sig. giudice, facitelo vvuie accussì...!!"
A noi ci garba eccome, è una gradevole "variazione di tipo" e ha un grande carattere (non dimentichiamoci mai del carattere)!!!
ciao a tutti!
Virgilio
[URL="http://sites.google.com/site/powerlifterantonioorlando/templari/bafometto-e-sacra-sindone/mastino-napoletano/arnoldo.jpg?attredirects=0"] (http://www.powerlifterantonioorlando.com/system/errors/NodeNotFound?suri=wuid:gx:681baee21f2bdb6)
Il mastino napoletano: un guerriero della compagnia dei veterani
Uno che non avesse mai visto i cani di razza italiana si figurerebbe il mastino napoletano un duro per modo di dire, facendosi fuorviare da quel "napoletano". Lo immaginerebbe un po' buontempone, allegro e scanzonato; affidabile sì, ma più per un spensierata compagnia che per un lavoro da mastino. Rimarrebbe scioccato, invece, a vedere questo mastino com'è: niente mandolino, niente parole di troppo, niente smancerie, ma una faccia che ti fissa "imperturbabile, occhi non ostili e non gentili, uno sguardo che non dà e non chiede ... rimira".
E' così che lo descrive Piero Scanziani.
Ha lo sguardo di un guerriero della compagnia dei veterani che se ne sta solo con i suoi pensieri; e nel suo viso segnato dalle rughe ci puoi immaginare la storia di guerre, conquiste e difese ad oltranza. Insomma la vita di un mastino napoletano è stata tutto il contrario di canzonette e mandolino.
Da quando il suo antenato scese sulla terra, questo cane l'uomo lo volle con sé al fianco di tutti i suoi condottieri che muovevano alla conquista del mondo.
Ho detto "scese sulla terra" perché ad alimentare la fama di questi grandi cani, mastini e molossi, c'è un'origine divina: la leggenda, e cito ancora Scanziani, vuole che "il primo avo del molosso partenopeo è Sirio, il fedele cane di Orione.
Sirio che segue il suo padrone gigantesco nell'immensità del firmamento e diventa in tal guisa la stella più fulgida del nostro cielo. Così l'origine del mastino napoletano si perde nel paradiso degli dei".
E di padroni giganteschi il nonno del mastino ne ha avuti a iosa:
dall'Estremo Oriente, sempre in testa agli eserciti, si è spinto fino al Medio Oriente intruppandosi prima con Fenici, Assiri, Babilonesi, poi con Greci, Latini, Iberici, Galli.
Fu quindi al fianco di Serse, Ciro, Filippo il Macedone, Alessandro il Grande e di tutti i condottieri Romani; i Conquistadores spagnoli se lo portarono oltre Atlantico per assicurare alla corona l'oro dell'America Latina, gli Aragonesi e i Borboni in Italia.
Qui però il papà dell'attuale mastino napoletano c'era già dai tempi dei Romani, ma quello spagnolo certamente servì a rinsanguare la razza e, soprattutto, a rivalutarla agli occhi dei più anche con una abbondante iconografia che gli spagnoli, non lesinarono di produrre facendosi ritrarre con i grandi molossi quasi a voler ribadire, anche col cane, la loro potenza e temibilità.
Tutti, poi, giusto per non fargli perdere l'attitudine al combattimento, usarono il Mastino Napoletano, suo padre e suo nonno, a caccia, al cinghiale naturalmente, tanto per rendergli la vita sempre difficile.
Questa millenaria, dura e impegnativa frequentazione con i forti, i potenti ed i coraggiosi che ha dovuto proteggere e di cui ha dovuto sempre difendere case, tenute e ricchezze d'ogni genere, ha chiaramente influito sul carattere del Mastino Napoletano. E così questo monumento della razze canine è venuto su con un coraggio da leone, con la consapevolezza di dover contare solo sulle sue forze e con la determinazione di chi sa che ogni confronto può mettere in gioco la vita.
Il nostro napoletano quindi, ora che se ne sta nelle nostre case come un guerriero della compagnia dei veterani che ha compiti di sentinella e di protezione, non transige sulla violazione del territorio e non guarda, come si dice, in faccia a nessuno.
E' ostinato ma senza ottusità, determinato ma senza capricci né impulsività, fedele ma senza troppe cerimonie e di poche parole "pronto ad azzannar senza latrato" come di lui dice D'Annunzio.
Ma la stoffa del soldato gli è rimasta e sono solo i nemici che devono temerlo, con il capo di casa e i bambini è di una dolcezza inaspettata e commovente.
Vito Buono
un monumento vivente e parte della nostra cultura...
Mesopotamia
La prima testimonianza dell'esistenza di un molossoide in compagnia dell'uomo è un bassorilievo Assiro, antico di 2500 anni, che raffigura un cane di grossa mole con arti possenti e struttura leonina, con pelle che si raccoglie in pliche e pieghe sul collo e sulla testa; è tenuto da un uomo molto piccolo in materia dimensionale e porta in mano un bastone, che probabilmente vuole consapevolizzare lo spettatore riguardo al carattere dell'animale.
In Medio Oriente (Assiria, Persia) e persino in India, i cani esistevano già almeno 8000 anni fa. Di fatto non si hanno notizie di un cane della Mesopotamia che avrebbe conservato le stesse caratteristiche dal tempo dei Sumeri fino all’epoca di Dario (dal 4000 al 500 a.C.). I molossi furono addomesticati nel Neolitico dagli abitanti dell’attuale Iran; allevati in branchi e sovente addestrati per la guerra, furono utilizzati dai Babilonesi, dagli Assiri, dai Medi e dai Persiani.Questi cani temibili venivano utilizzati per il combattimento, la sorveglianza dei templi e delle grandi proprietà, ma anche per la caccia al cinghiale e al leone. Sebbene gli antichi popoli Ariani possedessero greggi, la pastorizia era considerata un’attività secondaria, solitamente affidata agli adolescenti. E dunque poco probabile che i molossi fossero destinati anche alla sorveglianza del bestiame.
GRECIA
I primi molossi furono introdotti in Grecia come prede di guerra dopo la sconfitta di Serse I, re di Persia, avvenuta nel 480 a.C.I mastini erano noti col nome generico di «molossi» dalla regione greca Molossia del popolo dei Molossi, che anticamente occupava l'Epiro, nella penisola greca, in cui venivano utilizzate alcune razze di molossoidi per affiancare l'esercito in guerra.
lo stesso Alessandro Magno importò questi cani dall’India, loro Paese d’origine, e li schierò in battaglia per scompaginare le formazioni nemiche, con le sue guerre di conquista nei piu`lontani territori asiatici, ha contribuito alla loro diffusione. È cosa certa che già all'epoca del Macedone i mastini, soprattutto pesanti, fossero altamente considerati. Gli Elleni inoltre avevano grande considerazione per i cani da guardia, usati per sorvegliare i templi di Asclepio. Si diceva che essi fossero stati capaci di distinguere i difensori indigeni dai barbari che tentavano di introdursi nel tempio di Minerva. Si narrava poi che i cani avessero salvato la città di Corinto da un attacco di sorpresa durante le guerre del Peloponneso. Quarantanove dei cinquanta cani a guardia dell’abitato furono uccisi dal nemico, ma il cinquantesimo riuscì a dare l’allarme. I cittadini, riconoscenti nei confronti dei loro difensori a quattro zampe, innalzarono un monumento in loro onore e il superstite ricevette un collare d’argento con incisa la dedica: “Al protettore e salvatore di Corinto”.
Nella letteratura e nella vita degli antichi Greci i cani erano una presenza costante.
Quasi assente nell'arte greca l'antico molosso non è però ignorato dalla tradizione letteraria e mitologica: ne scrisse Aristotele, filosofo e naturalista, considerato il padre della zoologia.
Stagirita cita, nelle sue opere, 7 diverse razze di cani, senza però descriverle dettagliatamente e chiamandole col nome delle regioni dove erano diffuse (cani di Sparta, d'Epiro, d'Egitto...). In particolare nel "De animalibus historia", al lib. IX leggiamo: «La razza dei cani d'Epiro, anch'essa da caccia non differisce in niente dalle altre, se non perché accompagna i greggi e spicca per grandezza e forza, per cui debella le fiere. Poi sono prestanti, e per forza, e per sagacità quei cani che nascono dall'una e dall'altra razza, degli epirotici e dei spartani.
I Greci immolavano vittime canine anche a Proserpina, Mercurio, Marte e Diana. In una città della Focide, Daulide, nel tempio dedicato a Minerva, erano allevati cani che, docili con i Greci, erano particolarmente feroci con gli stranieri. E in Sicilia, nel tempio di Vulcano, presso l'Etna, era osservata la stessa consuetudine della madre patria.
I molossi di Alessandro...
I cronisti dell'epoca raccontano che il Macedone ricevette in dono dal re indiano Poros un gigantesco molosso, impressionato dal suo aspetto, volle opporlo senza indugi a cinghiali e orsi. L'animale non dimostro` per questi avversari alcun interesse e rimase pigramente coricato a guardarli, Alessandro, deluso, lo fece uccidere. Quando apprese la notizia, il re indiano invio` un secondo molosso gigante, di nome Peritas, e avvertí che, come il precedente, era abituato a combattere soltanto contro avversari degni di lui ed era per questo che il precedente non si era mosso, che al mondo non vi erano altri molossi pari alla bestia in questione e che se avesse fatto sopprimere anche l'ultimo non ne avrebbe potuto mandare di uguali. Alessandro fece allora combattere Peritas contro un leone e successivamente contro un elefante. In ambedue gli scontri l'animale si comporto` con eccezionale valore, tanto che il Macedone, alla morte del cane, diede il suo nome ad una città.Le cronache del tempo riportano inoltre che nel 326 a.C. 156 molossi, che Alessandro nel frattempo si era messo ad utilizzare regolarmente contro leoni ed elefanti, furono opposti nelle arene a belve e gladiatori. Proprio Aristotele era solito chiamare i grandi mastini «leontonix», cioà «discendenti dei leoni», tale era l'impressione che su di lui avevano provocato. Per capire di che tempra erano i mastini in quei Tempi duri e barbari basti un anedoto,Curtius, uno dei biografi di Alessandro Magno, narra che un altro re indiano, Sophites, volendo persuadere Alessandro della forza e della ferocia dei suoi molossi, fece condurre un leone di grossa taglia e lo fece assalire da quattro di essi ( Strabone scrive che per fronteggiare un leone occorrevano quattro molossi ) che immediatamente se ne impadronirono. Un arciere, per separarne uno dal leone al quale si era tenacemente avvinghiato, lo prese per una gamba e gliela recise; ma poichà il forsennato non si decideva a lasciare la presa, gliene taglià una seconda e così di seguito, fino a privarlo di tutte e quattro le membra. Ma nonostante fosse mezzo morto l'indistruttibile mastino non rinuncio` alla sua vittima.
Tempi bui per gli uomini e gli animali.
I Molossi, sarebbero stati portati nell'area mediterranea da Pirro, re dell'Epiro, durante una delle sue numerose guerre d'espansione.
ROMA
(http://www.powerlifterantonioorlando.com/mastino-napoletano/IMG_7331-1.JPG?attredirects=0)
Capua, il più importante centro d'armi e d'allevamento dell'impero. Era lì che si allevavano e addestravano uomini, cavalli e cani da guerra. Non è vero quindi che da Roma, dalla capitale dell'impero, i mastini scesero nel napoletano. E' invece vero il contrario, erano gia lì. Sì, proprio così: erano già Mastini Napoletani... Allevati e selezionati per una precisa funzione: la Guerra. Nei campi di battaglia, dove probabilmente erano utilizzati soggetti più resistenti e in grado di affrontare lunghe marce, nelle arene, dove invece si esibivano combattendo con fiere, tori e gladiatori i soggetti più grandi e poderosi.
I mastini di tipo leggero resi pressoché invulnerabili contro le frecce da corazze e maglie di ferro, precedevano le fanterie nell'attacco, dimostrandosi spesso decisivi per le sorti della battaglia. In seguito intervenivano i mastini pesanti che con pochissimi soldati, rendevano praticamente inespugnabili i capisaldi conquistati.
Il molosso fu opportunamente allevato ed addestrato per diversi scopi, quali:
combattente in battaglia; combattente nelle arene contro belve e gladiatori; guardiano di edifici pubblici, di case e di ville patrizie;ausiliario nella caccia grossa.
Il Molosso Romano, pertanto, era un cane funzionalmente completo e nelle terre conquistate dalle Legioni Romane di cui era al seguito, dette origine a cani che poi vennero utilizzati per funzioni similari: ad esempio,
in Spagna originò il Perro da presa spagnolo
in Francia il Dogue de Bordeaux
in Germania il Rottweiler
Inoltre contribuì alla formazione di altri cani che ora fanno parte di altre razze europee, come: il Komondor, l’Old English Mastiff, il San Bernardo, il cane dei Pirenei, il Bovaro Svizzero...
i cani da guerra avevano tre funzioni ben precise: attaccare il nemico, difendere gli accampamenti e recapitare ordini. Utilizzati come messaggeri, erano costretti a inghiottire capsule di rame contenenti documenti segreti da portare a destinazione sgusciando attraverso le linee nemiche. I dispacci venivano recuperati uccidendo gli animali. Gli esemplari allevati per l’attacco o la difesa erano quasi certamente discendenti dei molossi sumeri che i Greci avevano allevato dopo averli sottratti ai Persiani. Per il loro coraggio essi erano addirittura leggendari: si racconta che un generale romano avesse equipaggiato i suoi cani con basti riempiti di materiale incandescente e li avesse scagliati contro i nemici per ustionare il ventre dei loro cavalli.
I Romani furono i primi a classificare i cani secondo il loro impiego nella caccia:
Seguges: (segugi) che grazie al sensibilissimo olfatto seguivano le tracce della selvaggina; Celeres: (levrieri) che la inseguivano velocemente; Pugnaces: (molossoidi) che l’attaccavano.
La caccia preferita dai romani antichi era condotta attraverso grandi battute, possibilmente a cavallo se il terreno lo permetteva: i molossi, una volta circondata la preda, scovata dai seguges ed inseguita dai celeres, le venivano aizzati contro e la bloccavano fino all’arrivo dei cacciatori che, richiamati i cani, per dimostrare il loro coraggio l’affrontavano con il giavellotto (o anche con la daga) da distanza ravvicinata. I Romani impiegarono diffusamente i cani da guardia negli edifici pubblici e nelle case private (specie in quelle patrizie). Erano tenuti per tutto il giorno legati alla catena entro una nicchia all’ingresso dell’edificio e di notte venivano liberati. Spesso la loro aggressività provocò incidenti tali da richiedere l’istituzione di apposite leggi. Da ciò prese origine la consuetudine di sostituire in molti casi la presenza del cane con un suo simulacro recante la nota iscrizione “Cave canem”.
Negli anfiteatri romani, durante i “ludi gladiatori”, si affrontavano in combattimenti all’ultimo sangue belve, molossi e gladiatori. Migliaia di orsi furono catturati ed impiegati nelle arene. L’imperatore Caligola, nel I° secolo D.C. organizzò un feroce combattimento che vide opporsi a ben 400 orsi un manipolo di gladiatori affiancati dai loro cani. I ‘venatores’ o i ‘bestiari’, che venivano addestrati in scuole simili a quelle dei gladiatori, ma a differenza di questi ultimi non erano tenuti in gran considerazione dagli spettatori, vestivano una corta tunica con maniche, portavano fasce alle gambe, avevano come armi da offesa una lancia a punta larga e una frusta di cuoio
IL MEDIOEVO
La deposizione di Romolo Augustolo nel 476 d.C. segnò la fine dell’Impero Romano d’Occidente e diede anche inizio alle invasioni di popoli barbari che distrussero ogni traccia di vita urbana e rurale. I contadini, venute a mancare tutte le altre risorse, dovettero rifugiarsi nelle foreste per evitare le orde che li minacciavano e i cani seguirono i loro padroni nella fuga.
Nel Medioevo, cane e cavallo formarono l’identità del Cavaliere i veri molossi erano appannaggio di una ristrettissima cerchia di nobili. Se si considera l’atteggiamento della cultura aristocratica e religiosa medioevale di prevalente disprezzo nei confronti del lavoro manuale e del commercio, le due sole attività da cui ci si poteva a quel tempo ricavare prestigio, ricchezza e potere erano la guerra e la caccia. Era pertanto indispensabile il permanente possesso di ampie scuderie e di mute di cani che dimostrassero particolare efficacia nella caccia (levrieri, molossi e segugi), nella guardia e nella difesa delle fortificazioni e, soprattutto, nei frequenti conflitti armati che ad ogni piè sospinto scoppiavano fra i Signori del tempo per il dominio sui territori.
Il signore medioevale era proprietario di un elevatissimo numero di cani ma la loro cura era riservata, come doveri di vassalli, ai propri sudditi le tenute erano immense.I Borbone di Napoli erano i migliori selezionatori di cani e cavalli ritenuti per i francesi e inglesi i migliori al mondo per la guerra e la caccia.
I Molossi da combattimento, presenti in quasi tutti gli eserciti medioevali erano bardati di protezioni di cuoio rinforzate con lamelle metalliche, era loro affidato il risolutivo compito di assalitori: eccitati dalle grida di battaglia, si lanciavano sul nemico azzannando cavalli e cavalieri e scomponendo così la cavalleria nemica.
Nel Medioevo il legame con il cane da guerra e da guardia o da difesa fu particolarmente forte tanto è vero che il Clero prese più volte drastici provvedimenti al fine di impedire l’accesso in chiesa a questi animali da cui i cavalieri non volevano separarsi nemmeno durante le funzioni religiose. Ma gli aristocratici, non volendo separarsene, fecero aprire le porte delle chiese per poter seguire la messa sul sagrato e far benedire così anche i loro compagni.
tratto da:linux.med.unifi.e TMQ.
Furono verosimilmente discendenti del Molosso Romano importati dal Regno di Castiglia quei Mastini a cui nel 1494 Cristoforo Colombo fece ricorso contro gli Indios del Nuovo Mondo:
“E’ il 15 maggio 1494: la seconda spedizione di Cristòbal Colòn (Cristoforo Colombo) …. Qualche giorno prima aveva compiuto una carneficina di indios ostili, pressoché indifesi, utilizzando prima frecce di ferro scagliate con le balestre, poi feroci cani mastini d’assalto.”
“… il mondo seppe che catturasti schiavi indiani come pesci in trappola, nutristi mastini delle loro carni come scherzo spagnolo” (“Cristòbal Colòn : il sogno di un marinaio”, prosa di Duane Niatum e Salish Klallam).
Pizarro, non gli fu da meno e riportò che i suoi cani furono, come nell’antichità, alimentati anche di carne umana. Il domenicano spagnolo Bartolomé De Las Casas, che difese gli indigeni dalle barbarie dei “Conquistadores”, scrisse che questi cani avevano imparato a nutrirsi di carne umana.
Siccome si dice che i cani assomigliano ai padroni..
Diego De Landa descrive la barbara usanza degli spagnoli di appendere i cadaveri degli sventurati Maya agli alberi:” un grande albero ai rami del quale un capitano aveva impiccato un gran numero di indiane; e alle loro caviglie aveva appeso per la gola i loro figlioletti.Commisero crudeltà inaudite, mozzando mani, braccia e gambe, tagliando i seni alle donne, gettandole in laghi profondi e trafiggendo con la spada i bambini perché non camminavano abbastanza svelti insieme alle madri. E se gli indiani trascinati con la corda al collo non camminavano abbastanza svelti, tagliavano loro la testa per non fermarsi a slegarli”.
Passano i secoli ma i Tempi rimangono bui.
e poi...
NAPOLI
In uno strano avanti e indietro...
I vari domini che si susseguirono nel Sud-Italia sono stati tutti significativi per la razza; ad esempio i reali di Spagna portarono i cani dei “conquistadores” che erano caratterizzati da grosse teste e da arti corti, erano chiamati “perro da presa” che servirono a rinsanguare il nostro molosso, da qui il nome “cane ‘e presa”, che è rimasto nel gergo partenopeo. Nel susseguirsi degli anni viene attribuito a questa razza il nome “Mastino” che deriva da “massatinus”, ossia guardiano della masseria.
RIDOTTO QUASI ALL’ESTINZIONE
Al Regno Borbonico pose fine la spedizione garibaldina del 1860 cui seguì l’annessione al Regno d’Italia. Tra il 1861 ed il 1870, però, in vaste aree del Meridione deluso dal mito risorgimentalista, oberato da nuove tasse che avrebbero dovuto risanare le casse Savoiarde ormai al verde per le spese belliche, intollerante alla soppressione violenta del Regno Borbonico, centinaia e centinaia di bande partigiane insorsero. L’Esercito Piemontese stentò a piegare quello che con un termine infelice, inappropriato e propagandistico (in quanto intenzionalmente inteso a far passare i resistenti per delinquenti comuni) fu chiamato “Brigantaggio meridionale”. Più giustamente, si deve parlare di vera e propria guerra “di liberazione” contro gli occupanti Piemontesi (che dovettero impiegare più di 125.000 uomini e ve ne persero più che in tutte e tre le guerre d’Indipendenza) condotta dai “cafoni” insorti.
Ai “Briganti” si affiancarono due validi ed indispensabili “amici”: il Cane da presa ed il robusto e resistente Cavallo Murgese. Nel Molise e nelle regioni limitrofe, ad esempio, intorno al 1865-1870 un piccolo esercito di briganti capeggiati da Cascione (soprannome del capo banda perché grande e grosso come un armadio) e da Vulpiano (soprannome del suo braccio destro perché furbo come una volpe) in groppa a cavalli murgesi e con i terribili cani che facevano loro da guardaspalle, mise in difficoltà la cavalleria savoiarda.
Dopo la disfatta di Gaeta lo storico patrimonio si disperse con la devastazione del meridione, il mastino puro si estinse quasi del tutto in quanto troppo grosso e costoso da mantenere, rimase solo qualche esemplare che diede vita al mastino da masseria, un incrocio con i cani dei contadini, il mastino da catena, chiamato anche: Cane ‘e presa (Terra di Lavoro); Cane della masseria (Puglia); Cors’ (Contado del Molise e Abruzzo); Mastino da catena; Cane Corsicano (Basilicata); Cuòrsicu : Alta Lucania; Can’ Huzz : Cane Guzzo (Calabria);Corsu, Cane Guzzo, Vucciuriscu (Sicilia).
‘Il Cane’, 1897; testo universitario del Prof. Errico Tecce (professore di zootecnia nella Regia Scuola Veterinaria di Napoli): “Ha l’espressione superba e orgogliosa: e si rivela in ogni caso assai affezionato al padrone, in guisa da esporre spesso la sua vita per garantire quella del suo signore. E’ detto cane di comando, e non obbedisce che al padrone. Quando questo glie l’ordina, attacca con ferocia insuperabile;assale, atterra, sbrana; tutto è compiuto in un batter d’occhio. A Napoli è il compagno inseparabile del camorrista, al quale accresce la fierezza nella spoliazione dell’innocente. Non è disadatto alla guardia della mandria, avendo l’abilità di restituire alla calma il toro stizzito; profitta del momento favorevole per addentarlo alla bocca, ed allora lo lascia, quando ha la certezza che l’animale infuriato ceda alle sue imposizioni. E’ un lottatore senza paura e senza biasimo, che si batte coll’assassino, col cane ordinario, col lupo, coll’orso e col toro, vero Ercole che, confidando nella forza propria, rifiuta e spregia l’agguato; attacca sempre di fronte e senza esitanza: atterra l’avversario e si contenta di tenerlo semplicemente inchiodato sul suolo, se il malcapitato non oppone nessuna resistenza. E’ generoso coi bambini e coi piccoli cani, non gli piace di attaccar brighe senza ragioni; ma se è provocato, guai all’imprudente, ché il dogue non lascia manomettere la sua dignità. Nella guardia alla casa, ai magazzini, alle merci, è il custode più fiero e più geloso, perché preferisce di morire prima che siano manomesse le sostanze affidate alla sua vigilanza”.
nel 1914 a Milano, in occasione di un’esposizione canina, il Sign. Mario Monti di Bagnocavallo, presentò al giudice Fabio Caielli un soggetto di Molosso Italiano di nome Drago. In quell’occasione il giudice rifiutò di esprimere il suo giudizio affermando che la razza non esisteva e che il Kennel Club non aveva emesso il relativo standard. Il Monti, allora, invitò il Caielli a prendere un biglietto circolare per Napoli e a fermarsi a Bologna, Firenze, Pisa, Livorno, Grosseto, Civitavecchia, Roma, dove, in misura sempre più crescente, avrebbe visto Cani Corso presso privati e guardie notturne. Ne avrebbe poi visti in maggior numero a Napoli, Foggia, Benevento, Barletta e Bari, sia in ambito cittadino che nei dintorni e presso qualunque ceto sociale. Ne nacque una polemica piuttosto vivace, tanto che il Monti scrisse su “Il Cacciatore Italiano” per sostenere che, desiderando essere il primo a presentare in Italia un esemplare di “Cane Poliziotto” e non volendo ricorrere a cani di razza straniera, aveva indagato “…. se in Italia vi erano razze di cani che efficacemente disimpegnavano le mansioni di custodia di beni e di vigilanza di persone e nel contempo siano di bella apparenza ed atti a sopportare eventuali avversità di ambienti. La mia ragionata predilezione, s’è trasformata una volta venutone in possesso grazie alla cortesia di un’eletta persona di nobile casato napoletano, in passione perché la terra e gli uomini che hanno avuto in questo cane rispettivamente il figlio e il compagno hanno trasferito in lui mille ardori e mille virtù.”
Le guerre mondiali del '14-18 e del '40 sicuramente diedero un colpo mortale alla diffusione e allevamento del Molosso, in particolare alle varianti più pesanti "da corte", da catena, più impegnative in termini di mantenimento e impiego rispetto alle varianti più leggere e utilitaristiche maggiormente disperse nelle campagne, si verificano una serie di radicali cambiamenti di pertinenza sia sociale che economica, l’esodo dalle zone rurali dovuto all’urbanesimo.
Inserito in questo contesto il molosso viene a trovarsi in una posizione di marginale utilità che ne decreta il declino.Il sangue di questi animali, antichissimo e che era già stato in gradi di resistere nei secoli guerre, dominazioni e carestie, anche questa volta riusci a sopravvivere.
Giravano leggende su cani grossi, molto feroci, si diceva allevati nelle grotte, i napoletani stessi erano sempre molto riluttanti a mostrarli in giro.
LA RAZZA DI ZACCARO
Interessanti precisazioni dell`autore di questo articolo, che da oltre mezzo secolo bazzica cani e uomini nel giro del mastino.
Leggo su “I Nostri Cani” ( n. 8 dell`82 ) l`interessante articolo del Dott. Perricone.
Non ero precedentemente a conoscenza di esso. Peccato! Se lo avessi letto prima che lo stesso fosse rimesso alle stampe avrei fatto notare una imperfezione ed il presente non sarebbe mai stato steso.
Nel cennato articolo si parla di “ razza zaccara”.
Purtroppo temo che nel futuro la dizione possa dare adito ad interpretazioni errate. Certo la filologia è interessante ed ho sempre ammirato le disquisizioni sulle parole . Dotte di sommo interesse, ma che, purtroppo, danno adito a dubbi e perplessità. Il ragionamento umano, si sa, è soggetto a possibili errori. Percio`, prima che il tempo passi che coloro i quali sanno scompaiano e debbano sorgere le varie ipotesi: lasciamo traccia della verità.
Zaccaro era un personaggio reale, un allevatore di mastini napoletani, anche se il suo nome mai è comparso sui cataloghi delle esposizioni.
Viveva in un paese vicino Napoli ; Afragola.E, arcano nell`arcano, era conosciuto , e lo è da parte di coloro che lo ricordano, come Zaccaro. Ma, con il vizietto tanto caro ai partenopei di corrompere e a volte trasformare le parole, quel signore si chiamava all` anagrafe Giacco Gennaro.
E vediamo chi era costui. Rinvango i miei ricordi ed i “ sentito dire” di tanti e tanti anni fa. Speriamo di non commettere errori.
Proveniva da una famiglia di agricoltori ed era, per forza di cose, nato e vissuto tra i mastini, normali custodi delle “ masserie” napoletane. Aveva avuto una vita intensa come avvenimenti. Era un uomo di interessanti caratteristiche e principalmente un conoscitore del “ cane è presa “.
Egli aveva girato il mondo e per tanto tempo , costretto dagli avvenimenti della vita aveva soggiornato in America.
Ma inquadriamolo nell`epoca piu`vicina a noi, nell`ultimo periodo della sua vita troncatasi improvvisamente 12/14 anni fa.
Viveva solo in un appartamento; lui ed i cani. Si, anche i cani. Ad essi era riservato un ampio vano, il migliore come dimensione, arredato tutt`intorno di ganci infissi al muro ai quali erano attaccate delle catene ed alle catene le fattrici. Un maschio gironzolava per l`intera casa e scortava il nostro Zaccaro nelle sue peregrinazioni in paese facendo rispettare il suo padrone con il suo carattere fermo; docile con il suo padrone, ma deciso ed all` occasione aggressivo con gli estranei.
Zaccaro viveva, mi pare, di una misera pensione della Previdenza Sociale. Poco piu` di 20.000 lire ogni due mesi. Ovvio desumere che era in eterna bolletta. Solo e vecchio, con i suoi cani ed i problemi dell` indigenza; cosi lo ricordo.
Ma chi erano questi cani della riscoperta razza di Zaccaro?
Figli dei figli dei figli … dei suoi cani.
Monte extra moenia le cagne di Zaccaro non ne facevano. Lo sposo era in casa, e cacciare soldi o dare un cucciolo di monta era un assurdo.Un mastinetto si vendeva 20/30.000 lire. Che scherziamo? L`equivalente di un bimestre di pensione.
Il maschio poi faceva pochissime monte fuori casa. E le monte si dovevano pagare, salvo casi eccezionali. Zaccaro era solito dire che avere un maschio significava crearsi liti. Infatti l` accoppiamento straniero aveva , come probabile conseguenza,che il proprietario della fattrice, a parto avvenuto, nascondesse in parte, o meglio completamente, la cucciolata e cio per non dare al proprietario dello stallone un cucciolo a scelta, come di dritto. Di qui un sicuro “ appiccio” ( bisticcio ). E Zaccaro era anziano ; non si sottraeva alle liti, m, se possibile, le evitava.
Cosa avevano di buono e di cattivo i soggetti che provenivano da tale allevamento?
Tipicità massima. Mastini in ogni regione del corpo, nessuna concessione a quella quota di analeggiante che a volte si vedeva in giro. Ed i difetti? Conseguenza di quanto fin qui detto. Spesso rachitismo e spongiosi, conseguenze del tipo di allevamento e di fissate tare.Mancinismo, curvature innaturali, corte gambe, corti avambracci anche se molto grossi e terminanti con imponente piede leonino.Quindi corto di gambe e lungo fuori misura. Imbattendosi in un soggetto di simili caratteristiche era probabile che fosse uno “ zaccaro”.
Ma se poi incontrava un supertipo senza quei difetti e fornito delle qualità positive surriportate, si trattava di una rara perla che, probabilmente, proveniva da uno dei rari accoppiamenti che lo stallone di Zaccaro effettuava per chi era amico del padrone ed aveva una cagna di tutto rispetto . Perché Don Gennaro il mastino lo capiva ed i risultati dei suoi accoppiamenti lo dimostravano.Queste sono le precisazioni che potevano venire solo da chi , da oltre mezzo secolo ha bazzicato cani e uomini nel giro del mastino.E tutto cio` per precisare che la “razza zaccara” è equivalente di “ razza di Zaccaro” e che Zaccaro era all` anagrafe Giacco Gennaro.
Vincenzo Villani.
TEMPI MODERNI
Grazie all`interesse di alcuni cinofili napoletani all'esposizione canina di Napoli del 1946 parteciparono 8 esemplari che furono notati da un giovane cinofilo svizzero...
Inizialmente vennero mantenute le denominazioni "cane 'e presa", "molosso italiano", "cane mastino", "cane corso", poi attorno alla metà degli anni '60, venne stabilita (forse a seguito di pressioni da parte delle organizzazioni cinofile locali) la denominazione di "mastino napoletano".
GUAGLIONE E PIERO SCANZIANI
"Un molosso non è uno status simbol, è una animale che vive per amare in maniera totale ed incondizionata il suo padrone".
si potrebbe aggiungere... e viceversa
Viaggio intorno al Molosso
di Piero Scanziani
Viaggio cominciato da bambini, quattro anni. Bambino Sbagliato: già i genitori divorziavano. Cucciolo sbagliato: non era un molosso, non era niente, un bastarduccio, quelli che restano piccini (dicevano), basta dargli un quotidiano sorso d'acquavite (dicevano). Forse glielo diedero, certo s'ammalò. Stava acciambellato in un corridoio, cimurro (dicevano), un cataplasma di pece sul fianco, odore di catrame da per tutto, odore nero, corridoio nero, nero anche il cagnino, puzzava di bitume, lagno flebile, tremito febbroso, moriva. Morto, scavarono un buco e ve lo misero, presso il muro d'una sartoria, in Svizzera: era mezzogiorno, le stiratrici uscivano, mi guardavano piangere, ridevano.
Nemmeno il secondo era un molosso, dieci anni dopo. Trovatello raccolto per la strada dalla mamma (Milano, in guerra, soldi rari, fame frequente). Trovatello di pelo giallo, di gambe bassotto, di testa volpino, coda a bandiera. Al mattino esigeva gli s'aprisse, rotolava per le scale, usciva nel gran cortile fra l'incombere degli enormi casamenti, finestre finestre, talvolta donne vi s'affacciavano a lanciare ingiurie, lunghe, motivate, recitate meridionalmente a gesti e grida, forse rivalità o isterie o climateri.
Il trovatello tornava puntuale al pranzo. Se tardava, mi spedivano a cercarlo sul viale, ove stava perdendo tempo dietro qualche femmina. Uscivo acceso di speranza grazie a una ragazzina di nome Carla, non bella, ma si lasciava baciare sulle scale. Si lasciava baciare le labbra, tranquilla, mentre temevo d'essere scoperto e il cuore mi tumultuava. Non l'amavo (ancora non mi riesce d'amare le ragazzine), ma mi bastava il bacio (a cui Carla era come assente) per sentir germinare in quel che più mi mancava: la sicurezza. Correvo via trionfante a cercare il cane e tornavamo a casa, entrambi esultanti. La mamma ci guardava, insospettita. Una sera il cane giallo non tornò. Corsi a cercarlo per il viale, invano. Domandammo da per tutto, per giorni e giorni: non se ne seppe nulla, mai. Sparì anche Carla. Quattordici anni e t'accorgi che gli altri di colpo appaiono e ti sono accanto, li guardi, li ascolti, perfino li tocchi, di colpo spariscono né sai dove, né perché.
Il terzo era davvero un molosso. Allora molosso significava per me un cane raro, di muso corto, anzi non muso, piuttosto faccia. Cani visti solo nelle illustrazioni dei libri, nelle fotografie dei giornali. "Non molossi: bulldog", mi correggeva un compagno esperto. Insistevo testardo: molossi. Il nome m'incantava.
Incontrai il mio primo molosso di sera, forse tre anni dopo. Ormai riuscivo a innamorarmi delle ragazzine: si chiamava Emma era la ragione del mio respiro. Camminavo solo nel crepuscolo per le strade della grande città. La guerra era finita, cominciava la crisi. Adolescente magro, innamorato, malato, forse l'adolescenza è una malattia. Certo l'innamorarsi è una malattia. Sei sensibile alla vita che trascorre, trascinante, la vita che che t'affascina ma è tutta per gli altri, niente per te, la sera violetta si anneriva. Dalla porta d'un grande albergo uscì improvviso un fiotto di luce bianca, stagliata sul marciapiede. Luce opulenta. Fermo contro il muso fissavo la porta girevole aperta ai paradisi: paggi s'inchinavano a sovrani. Uscì una giovane regina, bella, altera e grave, diretta a un'automobile d'argento. L'accompagnava un bulldog (molosso, per me), bianco e fulvo, muscoli, impeto, sì, finalmente, era lui. Si fermò cordiale a guardarmi, mosse il codino. La bella regina lo chiamò passando grave e altera.
Emma portò un cucciolo nel nostro abbaino, d'agosto, sotto il tetto cocente. Era un ********, ma rifiutò la nostra povertà, le nostre patate bollite, il baccalà salato, rifiutò l'arsura canicolare dell'abbaino. infilò le scale e scelse la libertà. Lo rivedemmo, lucido e panciuto, a rosicchiare ossa succulente fra i banchi d'un mercatino che l'aveva adottato. Anch'egli ci vide e scappò. Non ci riuscì di dimenticarlo, a causa delle pulci che ci aveva lasciato, moltitudine beata nella calura sotto il tetto, beata a suggerci il sangue adolescente, profittando dei lunghi nostri languori.
Anni dopo vi fu un randagio che certo avrebbe desiderato essere molosso. Mi scelse in una via di Roma ov'ero capitato cercando lavoro, allora introvabile: la guerra era finita, cominciava la crisi. Grosso cane bianco da gregge, avrebbe voluto essere molosso per piacermi. Mi vide dall'altro marciapiede e mi fissò. Traversò la strada scodinzolando, come gli fossi amico. Doveva aver perduto pastore e pecore. Sonava il mezzogiorno e m'avviai a una panchina per mangiarmi il panino. Non mi riuscì, lo mangiò lui. Mi si era seduto dinanzi, composto, l'occhio eloquente. Era alto, grosso, il lungo pelo nascondeva le magrezze e aumentava il tanfo, così forte che l'avresti riconosciuto al buio. Divorò una pagnotta che gli comprai, poi una seconda, pozzo di san Patrizio. Mangiava tutto e non mi lasciava. Più che pastore si rivelò cane poliziotto: mi sorvegliava a vista, senza staccarsi dal fianco. Sperai di sfuggirgli verso sera, poi verso notte. Tentai di chiuderlo fuori dal portone: vi s'infilò, salì lieto le scale, entrò in casa, si distese ai piedi della branda, mentre restavo silenzioso, senza osar accendere la luce, paventando il risveglio della padrona, facile alla collera e alla cacciata. In tutta la città non v'era un'altra branda più a buon mercato. All'alba me ne uscii, spalancata la finestra per disperdere il tanfo pastorale. Mi seguiva allegro, sorrideva con la coda. Me ne liberai a fatica, infilandomi in edifici dalle doppie entrate. M'era impossibile adottare un simile mangiatutto. Poi, se mai mi fosse avvenuto d'avere un cane, sarebbe stato molosso. Riuscì a lasciarlo dietro un cancello e correr via. Mi guardò per l'ultima volta, da prima incredulo, poi sorpreso, inquieto, disperato, di nuovo derelitto, abbandonato agli accalappiatori.
Dagli accalappiatori si salvò una cagna, era una bulldog. Avevo ormai imparato a distinguere bulldog da molosso, razza (dicevano) scomparsa nei secoli. Era una bulldog d'un anno, chiamata Lady, nata in casa d'un senatore che aveva importato una coppia. Avuti i cuccioli, ne regalò un paio, lasciando Lady alla servitù. Finché un giorno il senatore s'adirò per chissà quale ragione e ordinò ci si liberasse della bestiola. Fu portata al canile municipale. Evitò la camera a gas grazie a un traffichino che fiutò l'affare, pagò il riscatto, mi propose l'acquisto, chiese un prezzo ingordo, l'ottenne. Ne capivo poco di cani a quel tempo, era un tempo dominato dalla luna: luna di miele. Sposo fresco, Lady (bulldog francese) fu la prima a entrarmi in casa, la prima d'una schiera canina che non mi riesce più di numerare.
Nella schiera v'è Esta, una boxer venuta di Germania: Esta von der Blutenau. La razza era allora tanto rara che per strada la gente si radunava intorno a Esta, domandandomi se fosse una scimmia.
Per cinque o sei anni il viaggio intorno al molosso passò fra i bulldog francesi. Me ne nacquero alcuni assai belli, ma sempre fui costretto a venderli, perfino il mio primo campione, Conte di Villanova. Conte era con me in treno la notte in cui morivo dissanguato per emorragia interna. Mi guardava come lo sapesse, forse lo sapeva, mi leccava la mano gelida, era l'unica presenza in quella solitudine in cui me ne morivo a stilla a stilla. Guarito, fui costretto a venderlo: la crisi era finita, cominciava la guerra.
Pure continuò il viaggio verso il molosso: traversai i luoghi abitati dal mastiff inglese, dal dogue bordolese, dal perro de presa spagnolo. Ma non erano il molosso antico, quello dei romani, quello d'Alessandro il Macedone, quello degli assiri, quello del Tibet. Il molosso (dicevano) era scomparso nei secoli. Se così era, avrei voluto almeno un bulldog, il vero, il britannico, con la faccia di Winston Churchill che stava vincendo la guerra. Ma come in quegli anni, vivendo a Berna, trovavi un bulldog inglese?
Un giorno, ai margini della città, capitai in un'osteria. Seduto davanti al boccale di birra, fui circondato da quattro o cinque boxer di due mesi. Mi mordevano i calzoni, salvo uno, sfrontato, che mi saltò in grembo. Ci guardammo: era Arno. Arno von Turnellen, boxer bernese, mutò assai la mia vita. M'indusse a studiare l'addestramento, a scriverne libri, ad aprire un canile allo zoo di Roma (vi ero finito cercando lavoro), a dirigere una rivista che attrasse amici, accese nemici. Arno mi portò a frequentare mostre canine e così mi trovai a Napoli il 12 ottobre 1946. Debbo a lui l'incontro col molosso verace.
Si Chiamava Guaglione. V'erano otto cani da presa in quella prima mostra partenopea. Alcuni grigi come Bufariello e Zingarella; alcuni neri come Leone e Catarì; Moschella era serpata; solo Guaglione blu, possente e redivivo. Lo riconobbi all'istante: era uno dei cento che Paolo Emilio il Macedonico aveva portato in Roma al suo trionfo. Era il gran cane d'Epiro, figlio degli assiri, nipote dei tibetani, era il Molossus.
Guaglione, dall'alto dei suoi secoli, mi fissava imperturbabile, occhi non ostili e non gentili, sguardo che non dà e non chiede: rimira. Rimirava Arno, tenuto al mio guinzaglio. Arretrai ricordando D'Annunzio: molosso pronto ad azzannar senza latrato.
I giudici e i competenti venuti a Napoli dal nord beffeggiavano gli otto cani da presa. Li consideravano senza razza, uno alto e l'altro basso (dicevano), questo di tipo alano e quello bordolese, non uniformi neppure nel colore, disparati, simili solo nel linfatismo, nel rachitismo, nella bastardìa, cani incatenati al pagliaio e inetti perfino al camminare, bestiacce (dicevano) che solo l'inventiva napoletana poteva riunire sotto l'etichetta di mastini.
Invano mostravo loro Guaglione, parlavo del molosso antico. Ridacchiavano di me e della mia enfasi. Il più autorevole decretò: "Manca la razza e addirittura manca il cane". La frase parve vietare ogni rinascita. Tuttavia avevo imparato che la vita è imprevedibile e fervida, fuori dalle nostre logiche. Ride dei no Umani, ride dei sì. La vita talvolta si china a raccogliere proprio chi pareva reietto e ne fa un sovrano. Guaglione divenne patriarca.
Molte vicende s'accavallarono, come sempre avviene nella nostra esistenza bifronte: sorrisi e lacrime, lacrime e sorrisi. Commedia e dramma, tragedia e farsa, pure l'esistenza ha nel suo fondo un incanto che spinge tutte le creature sull'immensa scena e rende ognuna interprete della propria parte. Nessuno meglio d'un mastino recita la parte del mastino. Invece allora recitavo male la parte dell` uomo, ambivo a cambiare la mia svigorita maschera di giornalista con quella lucente dello scrittore. Troppo pochi se n'accorgevano e qualche applauso mi veniva soltanto dalle mie declamazioni di canettiere. era dunque quella la mia parte e il mio destino? Ambivo almeno al grado di Gran Cane, che in Oriente sta per imperatore. Imperatore dei molossi così come Laverack e Gordon erano divenuto imperatori dei setter, Bouiet e Korthal dei griffoni, von Stephanitz dei pastori, il granduca Nicola dei borzoi, il guardiacaccia Graham dei pointer e il guardiacarcere Dobermann dei dobermann.
E' tuttavia difficile dar vita a una razza canina assai difficile. 'aiutarono alcune femmine: prima fra tutte Spes di Villanova figlia e sposa di Guaglione, poi la nera Aria di Villanova, figlia del nobile senatore Siento. Passarono molossi neonati fra le mie mani, passarono campioni, il più glorioso forse Ursus di Villanova e suo fratello Uno di Villanova e la bella Calliope di Villanova. Indimenticabili Caesar di Villanova, nero, Brutus di Villanova, blu, Brutus nato nella mia bella casa di Roma e lì visse e morì.
Poi il mio copione cambiò. L'incontro con Guaglione restava indietro nel tempo, cominciarono gli anni sessanta. M'ero messo a recitare solo la parte dello scrittore, tanto da dimenticare le altre, anche quella del canettiere. Nuova gente si andava occupando dei mastini e continuava l'opera. Il molosso m'era rimasto in cuore, primo amore, grande amore, ultimo. perciò non mi riusciva più di vivere con un mastino, troppo e troppo a lungo amato. Il canile di Villanova si chiuse. In Inghilterra comprai un bulldog, Winnie: persona silenziosa, riservata, senza intemperanze, perfino la sua coda aveva pochi gesti. Visse dieci anni, si metteva ai miei piedi mentre scrivevo libri, alzava di tanto in tanto la testa a fissarmi negli occhi, vero cane del pensatore. Winnie morì, i cani muoiono presto, forse è bene, non sopporterebbero il cambio di tanti padroni, come avviene ai cavalli, dalla vita quattro volte più lunga.
Poi conobbi i cani paria in India, i levrieri in Persia, i tosa in Giappone, i cincin a Hong Kong, i boston a New York. Lo scrivere sembra obbligarti mesi e mesi fermo in una stanza e poi d'improvviso induce gli editori a mandarti a girare il mondo. Lo scrivere s'era fermato negli anni settanta in un villaggio svizzero di centocinquanta anime sulle falde d'un monte che si chiamava Generoso e lo è. Ho scelto un cane di mezza montagna, confederato d'Appenzello, ho scelto un bovaro di nome Mani e con lui sono andato a Napoli quando m'han chiamato a giudicare i mastini, l'estate scorsa. Giudice di settanta mastini, in Napoli, anno 1974. Li guardavo davanti a me: mi chiedevano di giudicarli. Trent'anni prima, 12 ottobre 1946, avevo veduto Guaglione in questa stessa Napoli e avevo sognato la razza. Eccoli lì, ormai esisteva, erano i settanta migliori e dovevo giudicarli, ma troppo commosso. Mi dicevano che forse il mio miglior copione era stato quello di canettiere.Certo tutto passa, certo tutto finisce, anche le razze dei cani, eppoi i cani hanno vita breve, anche gli uomini.Eppure può accadere a uno come me di vedersi intorno settanta cani e di sentire d'averli inventati.Sagno, 12 ottobre 1974
IL ROSSOCROCIATO PIERO SCANZIANI muore all’ospedale della Beata Vergine di Mendrisio in seguito a una polmonite il 27 Febbraio 2003…“ l`entronauta” dell’anima Avrebbe compiuto 94 anni. La notizia del decesso è stata annunciata dalla famiglia. Piero Scanziani era nato a Chiasso nel 1908, da Antonio – giornalista – e Linda Tenchio. Trascorse l’infanzia e l’adolescenza a Losanna, Milano, Lugano, Mendrisio e Como. Terminato il liceo Parini di Milano, nel ’ 28 esordì come giornalista alla « Gazzetta Ticinese » . Si trasferì poi a Roma, quindi a Milano.Le sue opere principali sono state tradotte in varie lingue, tra cui inglese, tedesco, francese, spagnolo, sloveno e norvegese.
Dal ’ 38 al ’ 45 si spostò a Berna, dove lavorò dapprima come capo del servizio italiano dell’Agenzia telegrafica svizzera, in seguito quale corrispondente e inviato dei giornali « Der Bund » , « Basler Nachrichten » , « La Suisse » , « Corriere del Ticino » , « Gazette de Lausanne » , « L'Illustré » , « New York Times » , e le agenzie stampa United Press e Reuter.
Nella capitale federale scrisse anche le sue prime opere di narrativa: « La chiave del mondo » e « I cinque continenti » , romanzi pubblicati a Milano nel 1941 e 1942. Dopo la parentesi elvetica, Scanziani fece ritorno a Roma nel 1946 come corrispondente di giornali internazionali. Lì uscirà « Felix » , romanzo del 1952 e miglior opera narrativa al Premio Viareggio e Premio Schiller Naturalista, Scanziani compilò tra l'altro « L'enciclopedia del cane » . Dal 1946 al 1960 nel canile dello zoo di Roma ricostruì e diffuse l'antica razza del molosso romano chiamato poi mastino napoletano.
Lasciato il giornalismo d'informazione intorno al 1950, Piero Scanziani scrisse per vari periodici di Milano e di Roma, per radio e televisione ( una trentina di testi), per il cinema ( sceneggiature e regia di documentari) e un testo teatrale nel 1965, l'unico nella sua produzione letteraria: il dramma « Alessandro » , Premio Ugo Betti.
Nel 1967 fondò a Chiasso le Edizioni Elvetica pubblicando una trentina di volumi d’autori svizzeri di lingua italiana. Nel corso della sua lunga attività, Scanziani fu anche presidente dell’Istituto di relazioni letterarie italo- svizzere dell’Università dell'Aquila, vicepresidente dell’Istituto di cultura italosvizzero di Roma e degli Scrittori. Nel 1969 il romanzo « Libro bianco » ricevette il Premio internazionale Veillon e nel ’ 70 il romanzo « Entronauti » il Premio cattolico Maria Cristina.
A metà del 1971, lo scrittore lasciò Roma, per ritirarsi nel Canton Ticino a Sagno, non lontano da Mendrisio, dove continuò a lavorare. Nel 1975 diventò direttore assieme a Giancarlo Vigorelli della rivista internazionale L`Europa letteraria e artistica. ., mentre nell' 85 ricevette il Premio internazionale Mediterraneo nel 1986 fu finalista al Premio Nobel per la letteratura assieme a Max Frisch e Friedrich Dürrenmatt.
Nel 1978 lUniversita dell'Aquila gli conferma la laurea in lettere ad onore e infine nel 1989 il Premio europeo Lorenzo de Medici per la narrativa.
...Addio Piero ...
MARIO QUERCI PONZANO
Oltre a Piero Scanziani e tanti altri bisogna aggiungere che Mario Querci ha contribuito tantissimo a creare il mastino di oggi .Di lui dice Angelo Dolfi...
[/URL]
AD : Prima bisogna ricordare lo scopritore della razza, colui che la portò al riconoscimento da parte dell'ENCI e successivamente da parte dell'FCI : Piero Scanziani. Fu lui a dichiarare, dopo aver visto il lavoro di Mario nel riselezionare questi cani :" io ho pensato ad una razza e Mario Querci l'ha realizzata". I primissimi soggetti portati al riconoscimento, avevano si molte cose in comune, ma uno di tipo Zaccaro (basso, tarchiato e con posteriore impalato), uno alto simile all'alano , uno tipo l'attuale corso, uno lungo come un'autobus ecc. Mario riuscì a dare l'omogeneità alla razza, riuscì a fissare i caratteri che rispondevano più fedelmente allo standard. Fu così che in circa 40 anni di allevamento, su un totale di circa 140 campioni, oltre la metà erano solo di Ponzano(circa 50 diretti ed oltre 20 indiretti), l'altra metà suddivisa fra tutti gli altri allevatori italiani. Riuscì a mettere il cane nel rettangolo, a migliorare il movimento, a disegnare le giuste rughe, la giusta quantità di pelle (che non deve essere né troppa né troppo poca, ma giusta), riuscì a fissare nobiltà nell'espressione del Mastino, perché nobile deve essere l'espressione dei nostri cani, seria ma nobile. E' stato a suo tempo, l'unico allevatore a raggiungere così tanti risultati, allevando seriamente non solo per soldi, ma per migliorare veramente la razza. Aveva la creta in mano e la lavorava. Tutti gli allevatori del mondo lo hanno apprezzato apertamente, solo chi lo ha invidiato lo ha disprezzato e poi ha usato i suoi cani di nascosto. In poche parole per raggiungere l'omogeneità del tipo che esiste oggi nella razza, in gran parte lo dobbiamo al lavoro di Mario Querci
EDITORIALE - di Virgilio dal Buono tratto dal Trofeo Mario Querci
In questo numero incontreremo l´Allevamento di Fossombrone che ha fatto, sulle tracce di Querci stesso, della pratica “sportiva”, del giudizio nel ring, il suo unico credo e obiettivo, e proprio per questo può essere più o meno apprezzato da chi la pensa in maniera diversa o da chi crede che, purtroppo, il ring e i giudici di oggi non siano esattamente l´unico riferimento per valutare lo stato di salute di una razza e la sua corretta evoluzione zootecnica-funzionale. Dalle parole di questo allevatore il napoletano è invece ormai, di fatto, quasi esclusivamente un animale da ring, destinato inesorabilmente allo stesso destino del bulldog inglese. Consigliabile soprattutto a chi interessa e coltiva questo aspetto della cinofilia ed è disposto a grossi impegni e sacrifici. E´ un punto di vista legittimo e anche in parte giustificabile, ma rimane il suo punto di vista, più o meno condivisibile. Nei numeri seguenti della nostra rubrica scopriremo che altri possono essere gli approcci all´allevamento, altri gli obiettivi che si possono raggiungere, altro il ruolo che il glorioso molosso napoletano può assumere (o ri-assumere!), fedele rustico compagno e impareggiabile guardiano, come sempre nei secoli.
IL MASTINO OGGI...
MASTINI E MASTINARI: LEGATI DALLA PASSIONE
( a cura della dott.ssa Gessica Degl'innocenti )
Dagli albori della civiltà questo cane, antico quanto l’uomo, è arrivato fino a noi.
Gioiello più grande della cinofilia italiana, il suo sviluppo si lega strettamente al folklore partenopeo, di cui è ancora oggi parte integrante.
Come una fiaba, la sua storia è fatta di coraggio, perdita e rinascita, ma soprattutto è legata alla passione di quegli uomini, quasi una "razza" a parte nel panorama cinofilo, che decenni fa, lo vollero risorto dalle sue stesse ceneri.
LA STORIA: LA RAZZA CHE VISSE DUE VOLTE
Il molosso: il cane nato nella notte dei tempi
La storia di questo cane così antico, sembra essere fortemente legata all’uomo che, nelle varie epoche, ne ha apprezzato e divulgato le doti. Progenitore di molte razze odierne, le prime testimonianze della sua esistenza si trovano nell’ impero Assiro-Babilonese, dove bassorilievi raffigurano scene di caccia in cui è presente un cane forte e robusto; in seguito arriva in Grecia, dove viene definito Cane D’Epiro; lo ritroviamo poi tra i mercanti Fenici, con i quali probabilmente arriva fino in Inghilterra dove sarà il progenitore di razze come il Bulldog, Mastiff e Bull Mastiff; fino ad approdare nell’Antica Urbe, Roma, centro nevralgico di un intero impero. Nei secoli più vicini ai nostri giorni, orme della sua presenza sono disseminate ovunque. Chiamato alle vote "molosso" e alle volte "mastino", viene cantato nella Divina Commedia, dove Dante fa riferimento più volte a cani detti Mastini, caratterizzati da forza e ferocia; la stessa famiglia veronese dei Della Scala annovera tra i suoi componenti un Mastino e un CanGrande Della Scala, nobili che per il loro coraggio si erano meritati il paragone con l’esemplare canino. Il suo uso, nei secoli, è stato suggerito dalla mole possente: impiegato per scopi utilitari, quali la caccia , la guerra e la guardia, ha trovato anche utilizzo in futili e raccapriccianti combattimenti a solo consumo dell’uomo che, come anche oggi accade, finisce per soggiogare l’amicizia canina con il diletto macabro e indegno della nostra razza. Su come, col suo "pellegrinare", tale cane sia riuscito ad arrivare in tutta Europa e qua, a dar vita alle molte razze da lui derivate, rimane ancora quasi un mistero. Certo è che la sua genia, incrociatasi naturalmente con i più svariati esemplari, ha dato vita a moltissime razze attuali, che oggi noi usiamo categorizzare sotto l’etichetta di "molossoidi". In Italia possiamo vantare un discendente diretto di questa antichissima razza: il Mastino Napoletano. Nato forse dall’incrocio tra il Perro da presa spagnolo, arrivato a Napoli al seguito della corte aragonese, e i molossi italici presenti sul territorio, il nuovo mastino si insediò nel territorio partenopeo. Proprio in questa terra sarà amato ed apprezzato, allevato con il calore tipico di questi luoghi, fino a divenirne parte integrante. Il manto, nero cratere del Vesuvio o grigio fuliggine; le rughe, lava che scorre densa tra i sentieri bruciati dal fuoco; il carattere alle volte aspro e alle volte rudemente dolce, ricordano la natura a tratti brulla e rigogliosa della sua terra natale. Come gli altipiani rocciosi campani fanno degradare la loro durezza fino al meraviglioso mare del golfo napoletano, così la rude bellezza del mastino italico sa trasformarsi in dolce affettuosità.
Il mastino napoletano: scomparso e ritrovato
All’inizio del secolo scorso, la guerra spazza via ogni cosa; sotto i bombardamenti si sgretolano dimore, chiese e case, periscono uomini con i loro averi e le loro speranze. Si vive alla giornata la precarietà del futuro e nelle campagne, chi ha avuto la fortuna di sopravvivere, divide il poco pane con galline malconce e qualche cane spelacchiato. Anche il grande mastino, dopo gli sfarzi di secoli di storia, soccombe sotto le bombe, nessuno più si occupa di lui ed i grandi allevamenti, sorti anni prima, vanno perduti. Alla fine del conflitto mondiale solo pochissimi esemplari, ridotti ad animali da soma, sono sopravvissuti. La razza sfiora l’estinzione: nella Campania, fucina di cani dalle enormi prospettive, si contano pochi soggetti e questi, tutto posso sembrare tranne che mastini! La stessa Cinofilia italiana e mondiale da oramai la razza come estinta e molte persone non ricordano nemmeno di aver mai visto un cane del genere. Ma basta la passione vera di una persona, la voglia di ricominciare ad apprezzare la bellezza di un cane antico che subito il fuoco si riaccende, che ciò che era sopito torna a destarsi. Come l’Araba Fenice risorge dalle sue stesse ceneri, così nel 1949 su una rivista cinofila appare la foto di un esemplare finora dimenticato: Il mastino napoletano. Se oggi, durante le esposizioni cinofile, possiamo ammirare ancora quello splendido ed enigmatico sguardo dove sono condensati secoli di storia, non dobbiamo scordarci di ringraziare tutti quegli allevatori che con tenacia hanno voluto riportare il mastino napoletano agli albori di un tempo che fu. I nomi di grandi personaggi si sprecano: Piero Scanziani , giornalista e cinofilo ticinese che scese nel napoletano per cercare gli ultimi superstiti della razza, i suoi Guaglione, Pacchiana, Siente; ed ancora Mario Querci, pratese con la febbre del mastino, che allevò con amore Ovidio, Perseo, Valentino e molti altri. Ma va ringraziata soprattutto quella schiera di impavidi che, ancora oggi con lo stesso amore di allora, allevano questa razza.
Sono i"mastinari", "razza a due zampe" del panorama cinofilo.
IL SUO ASPETTO: LO STANDARD DI RAZZA
Il mastino napoletano è un cane di taglia ragguardevole: la sua altezza oscilla, per i maschi, tra i 65 e i 75 centimetri e per le femmine tra i 60 e i 68 centimetri;il peso è compreso tra i 50 e i 70 chilogrammi.
La parte più appariscente del suo corpo massiccio è sicuramente la testa, che deve essere corta e larga, quasi quadrata. Le labbra devono essere spesse e pendule.
Tratto distintivo del mastino è la numerosità delle rughe, una tra tutte più tipica scende, da sopra l’occhio, fino all’angolo delle labbra.
Le orecchie, oggi sempre più spesso, vengono lasciate integre, ma molti sono ancora gli esemplari che le hanno amputate molto corte e adagiate sul cranio.
Il colore del mantello varia da nero scuro, grigio e fulvo; il pelo è folto e morbido, al tatto vellutato.
Il dorso deve presentare un profilo rettilineo ed il petto deve essere largo e muscoloso.
La sua camminata lo caratterizza appieno: detta "andatura ad orso", è lenta, dinoccolata, quasi felpata.
Nella falcata condensa tutto il suo essere: essa è un gioco tra la potenza e la fermezza;
è una poesia tra l’ardore dei muscoli possenti delle zampe posteriori e la leggerezza dell’appoggio degli anteriori
La mole, a volte enorme, sembra andar contro ad ogni legge di gravità tanto è fluido il suo cammino; non è una corsa ma un passo svelto, silenzioso e sicuro,elementi questi che distinguono il mastino al di sopra di ogni altra razza.
UNA RAZZA AFFINE: IL "MASTINARO"
Se è vero che ogni razza ha un suo fascino che riesce ad attirare a sé estimatori e amanti, è pur vero che una menzione speciale va al mastino napoletano e a tutti quelli che con cura lo allevano. Come il cane da loro amato, così i "mastinari" appaiono, nell’universo cinofilo, una "razza" a parte, un gruppo di persone governate da una passione diversa. Mai questo sostantivo è stato usato in modo più appropriato, perché allevare mastini è non solo gioia ma anche vera "passione", intesa come sofferenza e rigore. Per questo essere "mastinaro" vuole dire qualcosa di più che amare una razza ed allevarla, è più di un semplice hobby, è quasi una "fede", una febbre che ti accompagna per la vita che spesso si trasmette di padre in figlio, che cresce e si alimenta nel tempo. Mai l’allevamento di una razza è stato così imprevedibile, pieno di interrogativi, imprevisti e casualità come l’allevamento del mastino. Per questo, più di altri allevatori, i mastinari sono spinti da questa passione, he trova linfa vitale nella voglia, tipicamente umana, di capire e conoscere,di cercare di scoprire quello che, nella maggior parte dei casi, è nascosto agli occhi degli altri. Allevare mastini vuol dire imparare a conoscere la natura, che va alle volte assecondata ed alle volte plasmata; vuol dire saper aspettare che questa faccia il suo corso; vuol dire saper accettare con pari dignità sconfitte e vittorie. Questa passione totalizzante cresce col tempo, è febbrile e contagiosa e se sei figlio di un mastinaro non te ne potrai sottrarre, la respirerai come l’aria ogni giorno della tua vita, finché non ti accorgerai che fa parte di te. Per chi è nato e cresciuto all’ombra del maestoso Vesuvio, tutto è quasi naturale: il mastino napoletano fa parte della storia campana e del suo folklore. Ma ancora di più fa parte della memoria della gente: da Napoli, Salerno, Avellino ogni uomo ha in mente quel cane "massiccio" che accompagnava nelle sue passeggiate un certo Don Mario, o quel metronotte che come unico compagno aveva quel mastino scuro come le tenebre o ancora quel signorotto benestante che aveva un buon numero di molossi per badare alla guardia della sua villa. Tutti hanno nella mente di aver incontrato almeno una volta sulla propria strada un mastino napoletano e tutti ricordano come questo fosse maestoso e sornione allo stesso tempo. Il rapporto della gente con il cane è simile a quello che anima i sentimenti verso il loro grande vulcano: la montagna incandescente se ne sta lì sopita, ma tutti sanno che ha in sé una tale potenza nascosta che se si ridestasse potrebbe spazzare via città intere; così è il mastino, dall’apparenza sorniona, sembra quasi sempre assopito come se nulla potesse interessarlo veramente, ma chi con lui a condiviso i millenni della storia sa che il suo riposo è vigile e che al minimo imprevisto sarà capace di balzare allerta pronto anche a sferrare un attacco. Per questo è temuto e rispettato, ma soprattutto allevato nel rispetto del suo carattere forte e riservato. Per queste ragioni, anche se non si è nati nella splendida Campania, sarà facile farsi catturare dall’amore per questi soggetti. Altrettanto nutrita è quindi la schiera di mastinari che risiedono fuori dal territorio partenopeo: estimatori di questo nero gioiello, sembrano essere stregati dalla sua magia, dal suo carattere austero, dalla voglia di cercare il "tipo"perfetto. Sicuramente uomini particolari, alle volte bizzarri, credo che, più di altri nel mondo cinofilo, sappiano capire ed apprezzare veramente il proprio compagno a quattro zampe, proprio per le difficoltà che questo racchiude in sé, le quali, non sono solo legate all’ambito dell’allevamento, ma alla psicologia complessa e per questo profondamente affascinante, dei soggetti stessi.
IL PADRONE GIUSTO: SOLO PER VERI ESTIMATORI
Sape condividere l’affetto di un boxer o un maltese è cosa facile, queste razze si sanno far ben volere; ma il mastino è cosa diversa!
Non scodinzolerà al vostro ritorno dall’ufficio, un poserà la sua zampa sulla vostra coscia per chiedere qualche coccola, non pretenderà di dividere con voi il vostro letto; si limiterà ad accucciarsi accanto a voi, pronto a destarsi ad ogni rumore; per reminescenze ataviche, sa infatti che il suo "lavoro" non è darvi compagnia , ma badare alla vostra incolumità.
Ma non dovrete cercate in lui solo il cane da guardia: se lo terrete recluso in un giardino non scoprirete mai la sua dolcezza. Vedrete la "mostruosità" delle forme ma non apprezzerete la morbidezza del suo manto di velluto. Ammirerete la possenza del suo corpo, ma non capirete la profondità della sua anima. Vedrete solo un ammasso di rughe, ma non scoverete la brillantezza del suo sguardo. Amare un mastino è sapere andare al di là degli occhi, vedere col cuore, scoprire qualcosa di celato: è trovare una gemma preziosa tra la grezza e dura roccia. Questo non è un cane per quei tipi di persone che hanno solo un po’ di tempo da dedicargli. Il suo affetto va conquistato, quasi coltivato, giorno per giorno, gesto per gesto. E’ un cane che va vissuto; va amato, ma poco alla volta. Come un grande amore va costruito e non consumato, così il rapporto che dovrete avere con lui dovrà essere fatto di attese, di rifiuti, di fisicità a volte forte e alla fine di rispetto reciproco. Non dovrete mai aver paura di fargli sentire il vostro "potere", se sarà autorevole ma non autoritario saprà rispettarlo. Allo stesso tempo, al momento giusto, non siate parchi d’affetto, saprà ben ricompensarlo. Il rapporto che dovrete essere in grado di creare richiede spirito e fermezza; se quindi non siete tipi energici forse dovrete cercare un’altra razza che meglio fa al caso vostro. Magari non "possederete" mai un mastino, ma la passione per questa razza sicuramente "possederà" il vostro cuore per sempre.
fonte: dott.ssa Gessica Degl'innocenti
- www.psicologiacanina.it (http://www.powerlifterantonioorlando.com/system/errors/NodeNotFound?suri=wuid:gx:4e21f52bcd8c481f)
a proposito di mastinari duri e puri ...
UNA QUESTIONE DI IDEE
Bisogna sostenere chi si sforza di creare dei soggetti oltre che belli anche sani e funzionali ,sono in tanti gli allevatori che amano profondamente questa antica razza e lavorano cucciolo dopo cucciolo per migliorarne le caratteristiche, bisogna sostenerli, io personalmente ne conto un tre quattro ,questo è il mio allevamento preferito per le convinzioni e le idee che sostiene:
Toscana, provincia di Grosseto, comune di Ribolla.
... una razza, un gruppo di amici uniti da una inguaribile passione, un’idea-progetto: da tutto questo nascono gli
“Alleri - Allevatori Riuniti”
ISTRUZIONI PER UN MASTINO-LEONE:
di Virgilio Alleri
Manto: fulvo o mogano
Lunghezza del tronco: più lungo rispetto allo standard, avambraccio "appare" più corto (anche se non lo è...)
Incollatura: larghissima
Stop: poco, basso, ben scavato
Rughe: poche, giuste, ben marcate (che è 'sta confusione in capa..???), giogaia invece spessa e ben riconoscibile (è la nostra criniera!)
Occhi: sempre aperti e ben visibili, che ti studiano, ti sfidano
Angolo della spalla: più aperto rispetto allo standard e quindi...
Punto-scapola: più evidente e rialzato rispetto allo standard, che "pistona" in movimento
Angolo posteriore in movimento: più chiuso rispetto allo standard, metatarso più lungo, (mai impalato o con metatarso corto!)
Linea dorsale: più flessibile ed elastica rispetto allo standard, mai rigida
Larghezza della coscia: impressionante
Groppa e coda: groppa lunga, coda attaccata bassa, a scimitarra (mai a tromba!)
Temperamento: diffidente, nobile e dominante, mangia le persone
CONSIGLI d´USO: non portatelo in un ring, godetevelo in campagna, da soli, mettetelo in un recinto a far la guardia. È troppo "fuori-standard", i pregi forse diventeranno "difetti" per un giudice chiamato solo a interpretare uno standard da rivedere, ma almeno Lui è "bestiale", "straordinario"
.... e come dice don alfonso: "intanto sig. giudice, facitelo vvuie accussì...!!"
A noi ci garba eccome, è una gradevole "variazione di tipo" e ha un grande carattere (non dimentichiamoci mai del carattere)!!!
ciao a tutti!
Virgilio
[URL="http://sites.google.com/site/powerlifterantonioorlando/templari/bafometto-e-sacra-sindone/mastino-napoletano/arnoldo.jpg?attredirects=0"] (http://www.powerlifterantonioorlando.com/system/errors/NodeNotFound?suri=wuid:gx:681baee21f2bdb6)
Il mastino napoletano: un guerriero della compagnia dei veterani
Uno che non avesse mai visto i cani di razza italiana si figurerebbe il mastino napoletano un duro per modo di dire, facendosi fuorviare da quel "napoletano". Lo immaginerebbe un po' buontempone, allegro e scanzonato; affidabile sì, ma più per un spensierata compagnia che per un lavoro da mastino. Rimarrebbe scioccato, invece, a vedere questo mastino com'è: niente mandolino, niente parole di troppo, niente smancerie, ma una faccia che ti fissa "imperturbabile, occhi non ostili e non gentili, uno sguardo che non dà e non chiede ... rimira".
E' così che lo descrive Piero Scanziani.
Ha lo sguardo di un guerriero della compagnia dei veterani che se ne sta solo con i suoi pensieri; e nel suo viso segnato dalle rughe ci puoi immaginare la storia di guerre, conquiste e difese ad oltranza. Insomma la vita di un mastino napoletano è stata tutto il contrario di canzonette e mandolino.
Da quando il suo antenato scese sulla terra, questo cane l'uomo lo volle con sé al fianco di tutti i suoi condottieri che muovevano alla conquista del mondo.
Ho detto "scese sulla terra" perché ad alimentare la fama di questi grandi cani, mastini e molossi, c'è un'origine divina: la leggenda, e cito ancora Scanziani, vuole che "il primo avo del molosso partenopeo è Sirio, il fedele cane di Orione.
Sirio che segue il suo padrone gigantesco nell'immensità del firmamento e diventa in tal guisa la stella più fulgida del nostro cielo. Così l'origine del mastino napoletano si perde nel paradiso degli dei".
E di padroni giganteschi il nonno del mastino ne ha avuti a iosa:
dall'Estremo Oriente, sempre in testa agli eserciti, si è spinto fino al Medio Oriente intruppandosi prima con Fenici, Assiri, Babilonesi, poi con Greci, Latini, Iberici, Galli.
Fu quindi al fianco di Serse, Ciro, Filippo il Macedone, Alessandro il Grande e di tutti i condottieri Romani; i Conquistadores spagnoli se lo portarono oltre Atlantico per assicurare alla corona l'oro dell'America Latina, gli Aragonesi e i Borboni in Italia.
Qui però il papà dell'attuale mastino napoletano c'era già dai tempi dei Romani, ma quello spagnolo certamente servì a rinsanguare la razza e, soprattutto, a rivalutarla agli occhi dei più anche con una abbondante iconografia che gli spagnoli, non lesinarono di produrre facendosi ritrarre con i grandi molossi quasi a voler ribadire, anche col cane, la loro potenza e temibilità.
Tutti, poi, giusto per non fargli perdere l'attitudine al combattimento, usarono il Mastino Napoletano, suo padre e suo nonno, a caccia, al cinghiale naturalmente, tanto per rendergli la vita sempre difficile.
Questa millenaria, dura e impegnativa frequentazione con i forti, i potenti ed i coraggiosi che ha dovuto proteggere e di cui ha dovuto sempre difendere case, tenute e ricchezze d'ogni genere, ha chiaramente influito sul carattere del Mastino Napoletano. E così questo monumento della razze canine è venuto su con un coraggio da leone, con la consapevolezza di dover contare solo sulle sue forze e con la determinazione di chi sa che ogni confronto può mettere in gioco la vita.
Il nostro napoletano quindi, ora che se ne sta nelle nostre case come un guerriero della compagnia dei veterani che ha compiti di sentinella e di protezione, non transige sulla violazione del territorio e non guarda, come si dice, in faccia a nessuno.
E' ostinato ma senza ottusità, determinato ma senza capricci né impulsività, fedele ma senza troppe cerimonie e di poche parole "pronto ad azzannar senza latrato" come di lui dice D'Annunzio.
Ma la stoffa del soldato gli è rimasta e sono solo i nemici che devono temerlo, con il capo di casa e i bambini è di una dolcezza inaspettata e commovente.
Vito Buono