marco cotti
28-05-08, 20: 37
Il Picchio muraiolo Tichodroma muraria (Linnaeus) 1766
Alamanno Capecchi
Ottobre 2000
Gianni, il mio nipotino mi chiede spesso il permesso di andare in soffitta.
La soffitta è formata da otto stanze piene di cose in disuso e lui apre vecchi armadi, rovista in bauli e cassapanche e trova sempre qualcosa che gli interessa.
L’ultima volta scese con il fioretto e la maschera di quando da
giovane “duellavo” con gli amici all’Università, e un sacchetto sigillato.
Lo aprimmo, dentro c’erano i resti quasi irriconoscibili di un Picchio muraiolo impagliato. Gianni volle sapere. “Presto detto” risposi. Non so come fosse capitato in casa, ma quando avevo la tua età, bello che sembrava vivo, stava su una mensola attaccato a una finta roccia di cartapesta nel
cosiddetto “scrittoio nuovo”. Poi passò la guerra e fu ritrovato tra le macerie ormai completamente rovinato e qualcuno lo “seppellì” in soffitta, nella parte della casa rimasta in piedi. Io nemmeno me lo ricordavo. “Nonno i Picchi muraioli si possono tenere in voliera?” “Soltanto quando il clima, l’ambiente e il cibo sono adatti e la voliera molto grande”. In realtà ne sapevo ben poco di Picchi muraioli e la domanda di Gianni mi spinse a saperne di più, così cominciai a consultare libri di ornitologia e tra questi ne trovai uno che riporta la descrizione sul comportamento del Picchio muraiolo in gabbia, fatta da un naturalista svizzero, quasi 140 anni fa che inizia così:
“Chi ama i monti ama anche il picchio muraiolo che ne fa l’ornamento. La breve strofa di questo uccelletto, risuonando improvvisamente in quello imponenti solitudini dominate da mortale silenzio interrotto soltanto dallo scrosciare del tuono, dall’urlare dei venti e dal rumore delle frane e delle valanghe, ci rallegra il cuore, e lo sguardo del viandante riposa pieno di compiacenza sulla vivente rosa delle Alpi che tanta vita infonde in quella maestosa ma severissima natura. E col cuore confortato prosegue il sue difficile cammino attraverso quelle regioni ancora si poco studiate malgrado tante bellezze”.
Tutto questo per dire come è “nato” l’articolo.
“La vivente rosa delle Alpi”
Il Picchio muraiolo, per i colori contrastanti del piumaggio, per le forme, per il modo di vita e per l’habitat nel quale vive è uno dei più straordinari uccelli della nostra avifauna. Quando dispiega le ampie ali arrotondate, con il rosso cremisi delle copritrici che risalta sul nero e bianco delle remiganti, spostandosi nell’aria alla maniera dei pipistrelli, ricorda una grande e variopinta farfalla.
Specie rupicola per eccellenza predilige le pareti rocciose spesso a strapiombo dove trova gli ambienti più adatti alle sue esigenze. In inverno durante i periodi più freddi scende a quote più basse e allora non è difficile vederlo sulle pareti delle vecchie costruzioni abbandonate, sulle torri e perfino all’interno delle città intento ad ispezionare, con il lungo becco, le crepe tra i mattoni alla ricerca di insetti.
Il nido ben costruito con muschio, peli ed altro materiale morbido è posto nelle fenditure delle rocce e delle muraglie, in località inaccessibili. Le uova (4-5) bianche, con il polo ottuso spruzzato di piccole macchie rosse, covate dalla sola femmina schiudono dopo 18-19 giorni.
I piccoli abbandonano il nido dopo tre o quattro settimane. Periodo riproduttivo maggio-giugno. Una e, molto raramente, due covate. I Picchi muraioli sono uccelli solitari che appena raggiunta l’indipendenza difendono il loro territorio personale dai propri simili. Dimostrano una certa socievolezza soltanto nel periodo della cova.
Classificazione e distribuzione geografica.
Famiglia Sittidae
Sottofamiglia Tichodromadinae
Genere Tichodroma
Specie Tichodroma muraria
Sottospecie tipica T. m. muraria
S & E Europe, Turkey, NW Iran
Sottospecie
T m.nepalensis
C Asia, Pakistan, Himalayas, China
Il picchio muraiolo in cattività.
Per le caratteristiche e le esigenze proprie della specie e per la difficoltà di venire in possesso di qualche nidiaceo o adulto, quasi inesistente è la descrizione sull’argomento di esperienze dirette.
H. Psenner, direttore dello zoo di Insbruch, nel nono volume della “Vita degli
animali” dello Grzimek ne accenna appena con queste parole: “Da quando tuttavia lo zoo alpino di questa città, unico fra i giardini zoologici, ospita questo stupendo esemplare, molti alpinisti, che prima lo trascuravano o lo ignoravano del tutto, hanno imparato a conoscerlo”. Altri autori, compreso il Rota (opera citata ) cosi esaustivo nelle esperienze personali, da consigli di come ospitare i Picchi muraioli in cattività senza alcuna descrizione, per questa specie, di esperienze personali.
Pertanto, penso, sia interessante quanto scrive il naturalista svizzero Girtanner che ebbe l’opportunità di possedere per diversi mesi, a partire dal febbraio del 1864 e dopo due anni di ricerche, un bel maschio adulto.
Ecco le sue parole:
« Da lunga pezza desiderava possedere uno di questi uccelletti che più volte avevo ammirato nelle mie escursioni alpine. Infatti appena reduce a casa dall’ Università mi procacciai una gran gabbia di legno alta quattro, profonda due, e lunga tre piedi che aveva già servito per un vispo picchiotto, adattandola al nuovo prigioniero.
Quando la gabbia fu ben disposta la riposi sul solaio d’onde 1’avevo tratta fuori, ben sapendo che senza un miracolo non avrei potuto procacciarle abitatori. Fra tanti cacciatori miei amici o conoscenti non uno che ricordasse di aver visto un picchio muraiolo in gabbia.
Offrii ricompense agli uccellatori di professione, mi trattenni più giorni sui monti, tesi reti, panie ad altro insidie nei luoghi che parevami più acconci, ma la fortuna non favorì me più dei miei compagni. Trascorsero due anni, giunse cioè il febbraio dal 1864, prima che potessi averne uno, ed anche quello (era un bel maschio) non sarebbe stato preso se, dal gran freddo, non avesse commesso l’imprudenza di penetrare in una stanza di una casa poco lungi da San Gallo. Ventiquattro ore dopo era in mio potere…
Posi la gabbia, come ben s’intende, in una stanza non riscaldata ma esposta al sole.
Il mio prigioniero, postosi su una delle scabrosità della parete, si scrollava e si
guardava dattorno, poscia discese e, con mia grande soddisfazione, ingoiò tutte le larve di tenebrioni che gli posi innanzi ed un bel mucchietto di uova secche di formica. Sulle prime mi ero tenuto nascosto, ma poi mi lasciai vedere ben sapendo che non 1’avrei spaventato, e confesso che lo trovai molto più confidente di quello che mi ero aspettato. In brevissimo tempo si era addomesticato ed avvezzato al nuovo genere di vita. Nella quarta notte cominciò a far uso della cavità che io aveva appositamente disposta perché gli servisse di ricovero notturno , e , dopo d’allora, non l’abbandonò più. Nei primi giorni cibavasi con piacere di larve: invece, sebbene avesse mangiato dapprima uova di formiche per saziare la fame delle prime ore, dopo non le voleva, e, lasciandole intatte, preferiva sporgere il lungo becco dai
cancelli per prendere le larve che io gli presentava. Quando aveva fame le beccava senza difficoltà sul palmo della mano. Siccome dapprima io non osava costringerlo ad altro cibo, continuai per dieci settimane a fornirgli giornalmente settanta larva di tenebrione, quantità che non avrei potuto fornirgli se non fossi stato in possesso già da anni di grande provvista di simili larve. Alla fine mi decisi di cangiare il genera del nutrimento, e, mentre scemava giornalmente le larve, accresceva le uova di formica ; tuttavia par quanto queste fossero fresche non ne voleva sapere e preferiva patire la fame. Una mattina erano venute a mancare affatto le larva, e piuttosto che
cibarsi delle uova di formica patì ostinatamente il digiuno per trentasei ore. Temendo di perderlo io stava già per ritornare all’antico sistema, quando m’accorsi che la fame lo aveva persuaso a far sparire le uova; aveva preferito il vivere di queste al morire per mancanza di larve. Da quall’ istante cibassi sempre di uova alternate di quando in quando con le ghiotte larve, ma intanto prosperava benissimo e cantava allegramente come aveva incominciato a fare pochi giorni dopo la cattura. Pare non fosse troppo amico dell’acqua, infatti non si bagnava mai, e non mi accadde mai vederlo con le piume bagnate. Una volta sola vidi che aveva il becco bagnato :suppongo quindi che beva di quando in quando. Una volta avendogli lavato le ali insudiciate seguitò per lunga pezza a scuotersi coi segni più manifesti di profondo disgusto, se ne stette quasi tutto il giorno con le piume irte, e quando si arrampicava
procedeva lentamente quasi che temesse accingersi su quegli scabrosi sentieri senza il valido soccorso delle ali.
Scendeva rare volte sul suolo della gabbia, di solito quando qualche vermiciattolo più grosso degli altri attraeva particolarmente la sua attenzione ; s’accostava al vasetto del cibo descrivendo dei zig-zag, e scendendo dalla parete ora volava ora si arrampicava; mangiava standosene appeso.
Avvezzo da natura a cercarsi un luogo opportuno al pernottare, verso sera si poneva sotto il crepaccio che io gli aveva preparato, ma se si vedeva osservato volava in un altro angolo della gabbia. Nel crepaccio non entrava finché gli astanti non si fossero allontanati – probabilmente usa, quando è libero, questa precauzione per meglio garantirsi dagli assalti dei predoni. – Se qualcuno si accostava mentre era già accovacciato nel giaciglio, si credeva tosto minacciato, e salendo silenzioso per lo spacco fino al cielo della gabbia, volava senza indugio ad un punto diametralmente opposto evidentemente con l’ intenzione d’ ingannare chi lo stava spiando circa il vero sito ove soleva passare la notte.
La mia gioia non fu di lunga durata. Il battaglione cui apparteneva in qualità di
medico fu traslocato a Ginevra, e, sebbene avessi affidato il mio picchio muraiolo a mani espertissime, non potei scacciare un triste presentimento; poco dopo ebbi infatti la notizia che era morto il 13 ottobre. Un amico lo imbalsamò or ne possiedo sempre la spoglia. Reduce a casa dall’ incruenta guerra, ne esaminai il corpo conservato nell’alcool e mi convinsi che il mio protetto era morto d’infiammazione polmonare.
Mio padre mi disse che una settimana prima della morte dimostravasi più lento e stanco nei movimenti, ma che aveva conservato il buon umore e l’appetito. Un mattino si trovò rannicchiato sul suolo della gabbia e respirava stentatamente; un’ora dopo spirò. Siccome mi dicevano che la notte precedente a quel mattino era stata fredda, mi accorsi che l’errore era stato mio : ed infatti, credendolo abbastanza difeso dal vento e dal freddo, io aveva raccomandato di non ritirare la gabbia so non nel caso di freddo eccessivo. Pare che l’origine del male sia stata un’infreddatura, ed io mi convinsi anche da questo fatto che il vento può riuscir
fatale anche agli uccelli più robusti.”
Terminato di scrivere l’articolo mi alzo e prendo il sacchetto che è ancora sulla
scrivania e do un’ultima occhiata all’interno, prima di riportarlo in soffitta. Sembra impossibile come certe cose possano far rivivere ricordi lontanissimi come se il tempo passato, contratto nello spazio di un secondo, tornasse presente. Per un attimo in fondo al sacchetto non ci sono più i resti quasi irriconoscibili di un Picchio muraiolo: al loro posto c’è lo “scrittoio nuovo” e un bambino di pochi anni che si arrampica su una sedia per vedere da vicino quella meravigliosa “Rosa delle Alpi” che sembra viva.
Bibliografia.
Grzimek B., 1971 “Vita degli Animali” Vol. 9° Bramante Editrice, Milano.
Lessona M., 1890 “Storia Naturale Illustrata” Vol. 2° Sonsogno Editore, Milano.
Rota M., 1979 “Gli Uccelli nostrani insettivori” Edizioni Mediterranee, Roma.
Frugis S., 1981 “ Gli Uccelli. Dizionario illustrato dell’avifauna italiana” Vol. 4°
R.Howard e A.Moore, 1991 “A complete checklist of the Birds of the World”
Academic Press London.
Brichetti P.A.,1987 “Atlante degli Uccelli delle Alpi italiane” Ramperto Editore
Brescia___________________________________________ ______________________
Alamanno Capecchi
Alamanno Capecchi
Ottobre 2000
Gianni, il mio nipotino mi chiede spesso il permesso di andare in soffitta.
La soffitta è formata da otto stanze piene di cose in disuso e lui apre vecchi armadi, rovista in bauli e cassapanche e trova sempre qualcosa che gli interessa.
L’ultima volta scese con il fioretto e la maschera di quando da
giovane “duellavo” con gli amici all’Università, e un sacchetto sigillato.
Lo aprimmo, dentro c’erano i resti quasi irriconoscibili di un Picchio muraiolo impagliato. Gianni volle sapere. “Presto detto” risposi. Non so come fosse capitato in casa, ma quando avevo la tua età, bello che sembrava vivo, stava su una mensola attaccato a una finta roccia di cartapesta nel
cosiddetto “scrittoio nuovo”. Poi passò la guerra e fu ritrovato tra le macerie ormai completamente rovinato e qualcuno lo “seppellì” in soffitta, nella parte della casa rimasta in piedi. Io nemmeno me lo ricordavo. “Nonno i Picchi muraioli si possono tenere in voliera?” “Soltanto quando il clima, l’ambiente e il cibo sono adatti e la voliera molto grande”. In realtà ne sapevo ben poco di Picchi muraioli e la domanda di Gianni mi spinse a saperne di più, così cominciai a consultare libri di ornitologia e tra questi ne trovai uno che riporta la descrizione sul comportamento del Picchio muraiolo in gabbia, fatta da un naturalista svizzero, quasi 140 anni fa che inizia così:
“Chi ama i monti ama anche il picchio muraiolo che ne fa l’ornamento. La breve strofa di questo uccelletto, risuonando improvvisamente in quello imponenti solitudini dominate da mortale silenzio interrotto soltanto dallo scrosciare del tuono, dall’urlare dei venti e dal rumore delle frane e delle valanghe, ci rallegra il cuore, e lo sguardo del viandante riposa pieno di compiacenza sulla vivente rosa delle Alpi che tanta vita infonde in quella maestosa ma severissima natura. E col cuore confortato prosegue il sue difficile cammino attraverso quelle regioni ancora si poco studiate malgrado tante bellezze”.
Tutto questo per dire come è “nato” l’articolo.
“La vivente rosa delle Alpi”
Il Picchio muraiolo, per i colori contrastanti del piumaggio, per le forme, per il modo di vita e per l’habitat nel quale vive è uno dei più straordinari uccelli della nostra avifauna. Quando dispiega le ampie ali arrotondate, con il rosso cremisi delle copritrici che risalta sul nero e bianco delle remiganti, spostandosi nell’aria alla maniera dei pipistrelli, ricorda una grande e variopinta farfalla.
Specie rupicola per eccellenza predilige le pareti rocciose spesso a strapiombo dove trova gli ambienti più adatti alle sue esigenze. In inverno durante i periodi più freddi scende a quote più basse e allora non è difficile vederlo sulle pareti delle vecchie costruzioni abbandonate, sulle torri e perfino all’interno delle città intento ad ispezionare, con il lungo becco, le crepe tra i mattoni alla ricerca di insetti.
Il nido ben costruito con muschio, peli ed altro materiale morbido è posto nelle fenditure delle rocce e delle muraglie, in località inaccessibili. Le uova (4-5) bianche, con il polo ottuso spruzzato di piccole macchie rosse, covate dalla sola femmina schiudono dopo 18-19 giorni.
I piccoli abbandonano il nido dopo tre o quattro settimane. Periodo riproduttivo maggio-giugno. Una e, molto raramente, due covate. I Picchi muraioli sono uccelli solitari che appena raggiunta l’indipendenza difendono il loro territorio personale dai propri simili. Dimostrano una certa socievolezza soltanto nel periodo della cova.
Classificazione e distribuzione geografica.
Famiglia Sittidae
Sottofamiglia Tichodromadinae
Genere Tichodroma
Specie Tichodroma muraria
Sottospecie tipica T. m. muraria
S & E Europe, Turkey, NW Iran
Sottospecie
T m.nepalensis
C Asia, Pakistan, Himalayas, China
Il picchio muraiolo in cattività.
Per le caratteristiche e le esigenze proprie della specie e per la difficoltà di venire in possesso di qualche nidiaceo o adulto, quasi inesistente è la descrizione sull’argomento di esperienze dirette.
H. Psenner, direttore dello zoo di Insbruch, nel nono volume della “Vita degli
animali” dello Grzimek ne accenna appena con queste parole: “Da quando tuttavia lo zoo alpino di questa città, unico fra i giardini zoologici, ospita questo stupendo esemplare, molti alpinisti, che prima lo trascuravano o lo ignoravano del tutto, hanno imparato a conoscerlo”. Altri autori, compreso il Rota (opera citata ) cosi esaustivo nelle esperienze personali, da consigli di come ospitare i Picchi muraioli in cattività senza alcuna descrizione, per questa specie, di esperienze personali.
Pertanto, penso, sia interessante quanto scrive il naturalista svizzero Girtanner che ebbe l’opportunità di possedere per diversi mesi, a partire dal febbraio del 1864 e dopo due anni di ricerche, un bel maschio adulto.
Ecco le sue parole:
« Da lunga pezza desiderava possedere uno di questi uccelletti che più volte avevo ammirato nelle mie escursioni alpine. Infatti appena reduce a casa dall’ Università mi procacciai una gran gabbia di legno alta quattro, profonda due, e lunga tre piedi che aveva già servito per un vispo picchiotto, adattandola al nuovo prigioniero.
Quando la gabbia fu ben disposta la riposi sul solaio d’onde 1’avevo tratta fuori, ben sapendo che senza un miracolo non avrei potuto procacciarle abitatori. Fra tanti cacciatori miei amici o conoscenti non uno che ricordasse di aver visto un picchio muraiolo in gabbia.
Offrii ricompense agli uccellatori di professione, mi trattenni più giorni sui monti, tesi reti, panie ad altro insidie nei luoghi che parevami più acconci, ma la fortuna non favorì me più dei miei compagni. Trascorsero due anni, giunse cioè il febbraio dal 1864, prima che potessi averne uno, ed anche quello (era un bel maschio) non sarebbe stato preso se, dal gran freddo, non avesse commesso l’imprudenza di penetrare in una stanza di una casa poco lungi da San Gallo. Ventiquattro ore dopo era in mio potere…
Posi la gabbia, come ben s’intende, in una stanza non riscaldata ma esposta al sole.
Il mio prigioniero, postosi su una delle scabrosità della parete, si scrollava e si
guardava dattorno, poscia discese e, con mia grande soddisfazione, ingoiò tutte le larve di tenebrioni che gli posi innanzi ed un bel mucchietto di uova secche di formica. Sulle prime mi ero tenuto nascosto, ma poi mi lasciai vedere ben sapendo che non 1’avrei spaventato, e confesso che lo trovai molto più confidente di quello che mi ero aspettato. In brevissimo tempo si era addomesticato ed avvezzato al nuovo genere di vita. Nella quarta notte cominciò a far uso della cavità che io aveva appositamente disposta perché gli servisse di ricovero notturno , e , dopo d’allora, non l’abbandonò più. Nei primi giorni cibavasi con piacere di larve: invece, sebbene avesse mangiato dapprima uova di formiche per saziare la fame delle prime ore, dopo non le voleva, e, lasciandole intatte, preferiva sporgere il lungo becco dai
cancelli per prendere le larve che io gli presentava. Quando aveva fame le beccava senza difficoltà sul palmo della mano. Siccome dapprima io non osava costringerlo ad altro cibo, continuai per dieci settimane a fornirgli giornalmente settanta larva di tenebrione, quantità che non avrei potuto fornirgli se non fossi stato in possesso già da anni di grande provvista di simili larve. Alla fine mi decisi di cangiare il genera del nutrimento, e, mentre scemava giornalmente le larve, accresceva le uova di formica ; tuttavia par quanto queste fossero fresche non ne voleva sapere e preferiva patire la fame. Una mattina erano venute a mancare affatto le larva, e piuttosto che
cibarsi delle uova di formica patì ostinatamente il digiuno per trentasei ore. Temendo di perderlo io stava già per ritornare all’antico sistema, quando m’accorsi che la fame lo aveva persuaso a far sparire le uova; aveva preferito il vivere di queste al morire per mancanza di larve. Da quall’ istante cibassi sempre di uova alternate di quando in quando con le ghiotte larve, ma intanto prosperava benissimo e cantava allegramente come aveva incominciato a fare pochi giorni dopo la cattura. Pare non fosse troppo amico dell’acqua, infatti non si bagnava mai, e non mi accadde mai vederlo con le piume bagnate. Una volta sola vidi che aveva il becco bagnato :suppongo quindi che beva di quando in quando. Una volta avendogli lavato le ali insudiciate seguitò per lunga pezza a scuotersi coi segni più manifesti di profondo disgusto, se ne stette quasi tutto il giorno con le piume irte, e quando si arrampicava
procedeva lentamente quasi che temesse accingersi su quegli scabrosi sentieri senza il valido soccorso delle ali.
Scendeva rare volte sul suolo della gabbia, di solito quando qualche vermiciattolo più grosso degli altri attraeva particolarmente la sua attenzione ; s’accostava al vasetto del cibo descrivendo dei zig-zag, e scendendo dalla parete ora volava ora si arrampicava; mangiava standosene appeso.
Avvezzo da natura a cercarsi un luogo opportuno al pernottare, verso sera si poneva sotto il crepaccio che io gli aveva preparato, ma se si vedeva osservato volava in un altro angolo della gabbia. Nel crepaccio non entrava finché gli astanti non si fossero allontanati – probabilmente usa, quando è libero, questa precauzione per meglio garantirsi dagli assalti dei predoni. – Se qualcuno si accostava mentre era già accovacciato nel giaciglio, si credeva tosto minacciato, e salendo silenzioso per lo spacco fino al cielo della gabbia, volava senza indugio ad un punto diametralmente opposto evidentemente con l’ intenzione d’ ingannare chi lo stava spiando circa il vero sito ove soleva passare la notte.
La mia gioia non fu di lunga durata. Il battaglione cui apparteneva in qualità di
medico fu traslocato a Ginevra, e, sebbene avessi affidato il mio picchio muraiolo a mani espertissime, non potei scacciare un triste presentimento; poco dopo ebbi infatti la notizia che era morto il 13 ottobre. Un amico lo imbalsamò or ne possiedo sempre la spoglia. Reduce a casa dall’ incruenta guerra, ne esaminai il corpo conservato nell’alcool e mi convinsi che il mio protetto era morto d’infiammazione polmonare.
Mio padre mi disse che una settimana prima della morte dimostravasi più lento e stanco nei movimenti, ma che aveva conservato il buon umore e l’appetito. Un mattino si trovò rannicchiato sul suolo della gabbia e respirava stentatamente; un’ora dopo spirò. Siccome mi dicevano che la notte precedente a quel mattino era stata fredda, mi accorsi che l’errore era stato mio : ed infatti, credendolo abbastanza difeso dal vento e dal freddo, io aveva raccomandato di non ritirare la gabbia so non nel caso di freddo eccessivo. Pare che l’origine del male sia stata un’infreddatura, ed io mi convinsi anche da questo fatto che il vento può riuscir
fatale anche agli uccelli più robusti.”
Terminato di scrivere l’articolo mi alzo e prendo il sacchetto che è ancora sulla
scrivania e do un’ultima occhiata all’interno, prima di riportarlo in soffitta. Sembra impossibile come certe cose possano far rivivere ricordi lontanissimi come se il tempo passato, contratto nello spazio di un secondo, tornasse presente. Per un attimo in fondo al sacchetto non ci sono più i resti quasi irriconoscibili di un Picchio muraiolo: al loro posto c’è lo “scrittoio nuovo” e un bambino di pochi anni che si arrampica su una sedia per vedere da vicino quella meravigliosa “Rosa delle Alpi” che sembra viva.
Bibliografia.
Grzimek B., 1971 “Vita degli Animali” Vol. 9° Bramante Editrice, Milano.
Lessona M., 1890 “Storia Naturale Illustrata” Vol. 2° Sonsogno Editore, Milano.
Rota M., 1979 “Gli Uccelli nostrani insettivori” Edizioni Mediterranee, Roma.
Frugis S., 1981 “ Gli Uccelli. Dizionario illustrato dell’avifauna italiana” Vol. 4°
R.Howard e A.Moore, 1991 “A complete checklist of the Birds of the World”
Academic Press London.
Brichetti P.A.,1987 “Atlante degli Uccelli delle Alpi italiane” Ramperto Editore
Brescia___________________________________________ ______________________
Alamanno Capecchi