marco cotti
24-10-07, 20: 19
Adattamento alla cattività di Specie ornitiche “difficili”
Il Genere Pericrocotus e divagazioni sul tema.
di Alamanno Capecchi
Pericrocotus, noti anche come Minivets, sono Passeriformi Oscini ascritti, secondo la
classificazione corrente, alla Famiglia dei Campefagidi (Campeghagidae), Tribù (Sottofamiglia?)
Pericrocotini. L'altra Tribù (Sottofamiglia?) è quella dei Campefagini (Campephaginidae).
I Pericrocotini sono tutti riuniti nel Genere Pericrocotus formato da dieci Specie e cinquantanove
Pericrocotus flammeus xanthogaster - Scarlet Minivet
Sottospecie.
Pericrocotus roseus
P. divaricatus
P. cinnamomeus
P. lanshergei
P. erydiropygius
P. solaris
P. ethologus
P. brevirostris
P. miniatus
P. flammeus
Ashy Minivet (Pericrocotus divaricatus)
Grey-Chinned Minivet
Il Pericrocotus flammeus,
Pericrocotus flammeus
per il vastissimo areale che occupa, è il più ricco di forme subspecifiche (20), seguito da P. cinnamomeus con undici.
Due Specie sono monotipiche: il P. lansbergei delle isole Sumbawa e Flores e P. miniatus presente a Sumatra e Giava.
Questi graziosi e appariscenti Uccelli sono propri dell'Asia sudorientale dal Pakistan al Giappone, all'arcipelago della Sonda e alle Filippine.
Di forme eleganti, hanno ali e coda lunghe e appuntite, zampe corte e deboli con dita brevi, becco uncinato e seghettato all'apice della mascella superiore, setole intorno alla base vicino alle narici.
Caratteristico è un ciuffo di penne rigide e acuminate sulla parte bassa del dorso che si staccano con grande facilità al minimo attrito; vengono considerate una forma di difesa contro i predatori.
I colori
predominanti, nei maschi, sono il rosso e il nero; nelle femmine, il giallo e il grigio.
In alcune Specie, (P. roseus), parte del nero è sostituito dal grigio o sono presenti ampie zone del corpo ricoperte da piume bianche come nel P. erythropygius.
La lunghezza varia dai quindici ai ventitre centimetri, secondo la Specie o la Razza.
Uccelli essenzialmente arboricoli vivono in piccoli gruppi nella parte alta degli alberi, impegnati alla continua caccia d'insetti, soprattutto larve di farfalle.
(Il nome della famiglia Campephagidae deriva dal greco Kampe: bruco e phagein: mangiare e significa appunto "mangiatori di bruchi").
Spesso ricercano il cibo in compagnia di altri uccelli come Silvini e Muscicapini.
Si riproducono in piccoli nidi, più simili nella forma a scodelle che a coppe, ben costruiti con steli, muschio e tele di ragno, posti su rami sottili di alberi d'alto fusto tra i cinque e i dodici metri da terra.
Le uova (tre-cinque) sono per la maggior parte delle Specie color verde tenue con macchie e strie scure, ma in alcune Sottospecie possono essere quasi bianche, punteggiate di rosso mattone.
L'incubazione dura tredici-quattordici giorni. Alle cure parentali accudiscono sia il maschio che la femmina. Sono stazionari, eccetto il P. divaricatus, che durante la stagione invernale migra verso Sud-Est ed è considerato l'unico vero migratore fra tutti i Campefagidi.
Vita in cattività
Se le notizie sulla vita in Natura di questi Uccelli, reperibili nei libri in italiano, sono ridotte all'osso e quasi sempre limitate al P. flammeus, ancora più scarse sono quelle che si riferiscono alla cattività. - "Nel Mondo della Natura" - Zologia Vol. 1° Ed. Motta è riportato: "Tutti i Campefagidi, così irrequieti e carichi di vitalità nella vita all'aperto, perdono, se imprigionati, tutta la loro vivacità, intristiscono e non tardano a morire". -
"Il Mondo degli Animali" - Vol. III Ed. Rizzoli, a proposito del P. flammeus riferisce: "I Cinesi e gli Indiani tengono volentieri in cattività l'Uccello vermiglio il quale però è Specie delicatissima".
Il Menassé (Enciclopedia dell'ornicoltore - Vol. I° Ed. Encia) non si discosta dal
giudizio espresso in "Nel Mondo della Natura" e sottolinea che i pochi tentativi effettuati per allevare questi Uccelli hanno dato sempre esito negativo, perché non riescono a abituarsi alla cattività e in poco tempo muoiono. Più ottimista il Cristina che nel suo libro "Uccelli da gabbia e voliera di tutto il mondo" Ed. Hoepli, include anche il P. flammeus limitandosi a consigliare di alloggiarlo in una voliera alta e alimentarlo: "come tutti gli insettivori".
Esperienza personale
La mia esperienza si riferisce alla detenzione per un periodo di circa quattordici mesi di una coppia di Pericrocotus flammeus speciosus, alloggiata in una voliera interna, e di due maschi di taglia più piccola, probabilmente due P.cinnamomeus igneus, tenuti in una grossa gabbia da cova.
Erano soggetti in buone condizioni di salute ma appena importati, privi di notizie sull'alimentazione, adatti quindi a tentativi per assuefarli alla vita in cattività senza una base di partenza.
L'unica cosa che sapevo adatta allo scopo erano le larve delle Farfalle,
ma sarebbe stato impossibile trovarne a sufficienza. Ripiegai su un pastoncino per insettivori a becco fine mescolato a modiche quantità di tuorlo d'uovo sodo, ricotta e liofilizzato di manzo "condito" con una diecina di larve di T. molitor che subito inghiottivano con avidità.
I P. flammeus, in inglese Scarlet Minivet, si abituarono con relativa
facilità al nuovo cibo anche se occupò sempre il terzo posto nelle loro preferenze. Per prima cosa mangiavano le larve di T. molitor, poi le pupe di Mosca carnaia (a giorni alterni
distribuivo anche queste), infine si decidevano a mangiare, senza avidità ma a
sufficienza, il pastoncino. Si mantennero vivaci e in forma e non mi crearono problemi; alla muta, però, le piume rosse furono sostituite da altre molto più chiare: rosa pallido.
Diverso fu il comportamento dei Pericrocoti più piccoli che vissero nutrendosi quasi esclusivamente di larve di T. molitor; a giudicare dall'aspetto delle feci dovevano digerirle bene. Mangiavano minime quantità di pastoncino, se lasciavo a disposizione soltanto quello: ben presto intristivano e mettevano il capo sotto l'ala; se non avessi subito ridistribuito il loro cibo preferito, sarebbero certamente morti entro poche ore. Una volta che tardai, fui costretto a alimentarli a viva forza perché incapaci di muoversi e
alimentarsi. Approfittando che con il passare del tempo si erano pian piano abituati a mangiare le larve, prima uccise, poi divise a metà, successivamente tagliate a piccoli pezzi, le mescolai al pastone in modo che fossero costretti a mangiarlo; dopo appena un giorno gli escrementi cambiarono colore e divennero liquidi evidenziando disturbi digestivi.
Nessun interesse per le pupe di Mosca carnaia che, raramente, in mancanza di meglio, mangiavano allo stadio di larva; non riuscivano però a digerirle e le trovavo intatte sul fondo della gabbia.
Commento
Questa scarna notarella sul comportamento in cattività di quattro Uccelli non autorizza sicuramente a generalizzarne i risultati ritenendo il P. flammeus di facile detenzione e il P. cinnamomeus delicato e difficile. Può darsi benissimo che ad altri sia capitato o possa capitare una situazione completamente opposta, perché, ferme restando quelle che sono le esigenze in senso lato di una determinata Specie esotica, esigenze che, eccetto per poche
allevate regolarmente e divenute ormai domestiche, rimangono ignote o quasi per la scarsissima e generica letteratura in merito, il processo di adattamento per la sopravvivenza di un Uccello a mutate condizioni di vita, può dipendere dalla Sottospecie alla quale appartiene, dagli stress subiti e naturalmente dalla resistenza fisica che non sempre coincide con l'aspetto florido. In questi ultimi anni ho avuto l'opportunità di acclimatare e appastare Uccelli appartenenti a diecine e diecine di generi diversi: Garrulax,
Babax, Pycnonotus, Criniger, Hypsipetes, Leiothrix, Liocichla, Yuhina, Minla, Paradoxornis, Aegithalos, Zosterops, Psarisomus, Uragus, Melophus, Parus, Sitta... tanto per citarne alcuni che
se dovessi riportarli tutti farei un lungo e noiosissimo elenco di desueti nomi latini.
Da questa esperienza ho potuto constatare che il noto assioma: "ogni uomo è un'isola" è applicabile, a volte con significato più ampio, anche in ornitologia.
Alcuni esempi. Nella primavera del 1989 mi furono affidati una quarantina di Astri montani di Reichenow (Cryptospiza reichenovii)
particolarmente difficili da acclimatare e da alimentare, perché avevano bisogno di temperature costanti sui venticinque gradi e
appetivano esclusivamente piccoli semi immaturi di graminacee spontanee, oltre le solite larve di T. molitor.
Qualunque altro cibo veniva ignorato, compresi pastoncini e semi germinati.
Quando in autunno inoltrato non trovai più a sufficienza il loro cibo preferito, iniziarono a morire. Riuscii a salvarne undici che si abituarono ai semi secchi (miglio bianco e scagliola). Se ai circa quaranta avuti in custodia si aggiungono quelli morti nei primi
giorni all'importatore, la percentuale dei sopravvissuti si abbassa ulteriormente.
__________________________________________________ ________
(segue)
Il Genere Pericrocotus e divagazioni sul tema.
di Alamanno Capecchi
Pericrocotus, noti anche come Minivets, sono Passeriformi Oscini ascritti, secondo la
classificazione corrente, alla Famiglia dei Campefagidi (Campeghagidae), Tribù (Sottofamiglia?)
Pericrocotini. L'altra Tribù (Sottofamiglia?) è quella dei Campefagini (Campephaginidae).
I Pericrocotini sono tutti riuniti nel Genere Pericrocotus formato da dieci Specie e cinquantanove
Pericrocotus flammeus xanthogaster - Scarlet Minivet
Sottospecie.
Pericrocotus roseus
P. divaricatus
P. cinnamomeus
P. lanshergei
P. erydiropygius
P. solaris
P. ethologus
P. brevirostris
P. miniatus
P. flammeus
Ashy Minivet (Pericrocotus divaricatus)
Grey-Chinned Minivet
Il Pericrocotus flammeus,
Pericrocotus flammeus
per il vastissimo areale che occupa, è il più ricco di forme subspecifiche (20), seguito da P. cinnamomeus con undici.
Due Specie sono monotipiche: il P. lansbergei delle isole Sumbawa e Flores e P. miniatus presente a Sumatra e Giava.
Questi graziosi e appariscenti Uccelli sono propri dell'Asia sudorientale dal Pakistan al Giappone, all'arcipelago della Sonda e alle Filippine.
Di forme eleganti, hanno ali e coda lunghe e appuntite, zampe corte e deboli con dita brevi, becco uncinato e seghettato all'apice della mascella superiore, setole intorno alla base vicino alle narici.
Caratteristico è un ciuffo di penne rigide e acuminate sulla parte bassa del dorso che si staccano con grande facilità al minimo attrito; vengono considerate una forma di difesa contro i predatori.
I colori
predominanti, nei maschi, sono il rosso e il nero; nelle femmine, il giallo e il grigio.
In alcune Specie, (P. roseus), parte del nero è sostituito dal grigio o sono presenti ampie zone del corpo ricoperte da piume bianche come nel P. erythropygius.
La lunghezza varia dai quindici ai ventitre centimetri, secondo la Specie o la Razza.
Uccelli essenzialmente arboricoli vivono in piccoli gruppi nella parte alta degli alberi, impegnati alla continua caccia d'insetti, soprattutto larve di farfalle.
(Il nome della famiglia Campephagidae deriva dal greco Kampe: bruco e phagein: mangiare e significa appunto "mangiatori di bruchi").
Spesso ricercano il cibo in compagnia di altri uccelli come Silvini e Muscicapini.
Si riproducono in piccoli nidi, più simili nella forma a scodelle che a coppe, ben costruiti con steli, muschio e tele di ragno, posti su rami sottili di alberi d'alto fusto tra i cinque e i dodici metri da terra.
Le uova (tre-cinque) sono per la maggior parte delle Specie color verde tenue con macchie e strie scure, ma in alcune Sottospecie possono essere quasi bianche, punteggiate di rosso mattone.
L'incubazione dura tredici-quattordici giorni. Alle cure parentali accudiscono sia il maschio che la femmina. Sono stazionari, eccetto il P. divaricatus, che durante la stagione invernale migra verso Sud-Est ed è considerato l'unico vero migratore fra tutti i Campefagidi.
Vita in cattività
Se le notizie sulla vita in Natura di questi Uccelli, reperibili nei libri in italiano, sono ridotte all'osso e quasi sempre limitate al P. flammeus, ancora più scarse sono quelle che si riferiscono alla cattività. - "Nel Mondo della Natura" - Zologia Vol. 1° Ed. Motta è riportato: "Tutti i Campefagidi, così irrequieti e carichi di vitalità nella vita all'aperto, perdono, se imprigionati, tutta la loro vivacità, intristiscono e non tardano a morire". -
"Il Mondo degli Animali" - Vol. III Ed. Rizzoli, a proposito del P. flammeus riferisce: "I Cinesi e gli Indiani tengono volentieri in cattività l'Uccello vermiglio il quale però è Specie delicatissima".
Il Menassé (Enciclopedia dell'ornicoltore - Vol. I° Ed. Encia) non si discosta dal
giudizio espresso in "Nel Mondo della Natura" e sottolinea che i pochi tentativi effettuati per allevare questi Uccelli hanno dato sempre esito negativo, perché non riescono a abituarsi alla cattività e in poco tempo muoiono. Più ottimista il Cristina che nel suo libro "Uccelli da gabbia e voliera di tutto il mondo" Ed. Hoepli, include anche il P. flammeus limitandosi a consigliare di alloggiarlo in una voliera alta e alimentarlo: "come tutti gli insettivori".
Esperienza personale
La mia esperienza si riferisce alla detenzione per un periodo di circa quattordici mesi di una coppia di Pericrocotus flammeus speciosus, alloggiata in una voliera interna, e di due maschi di taglia più piccola, probabilmente due P.cinnamomeus igneus, tenuti in una grossa gabbia da cova.
Erano soggetti in buone condizioni di salute ma appena importati, privi di notizie sull'alimentazione, adatti quindi a tentativi per assuefarli alla vita in cattività senza una base di partenza.
L'unica cosa che sapevo adatta allo scopo erano le larve delle Farfalle,
ma sarebbe stato impossibile trovarne a sufficienza. Ripiegai su un pastoncino per insettivori a becco fine mescolato a modiche quantità di tuorlo d'uovo sodo, ricotta e liofilizzato di manzo "condito" con una diecina di larve di T. molitor che subito inghiottivano con avidità.
I P. flammeus, in inglese Scarlet Minivet, si abituarono con relativa
facilità al nuovo cibo anche se occupò sempre il terzo posto nelle loro preferenze. Per prima cosa mangiavano le larve di T. molitor, poi le pupe di Mosca carnaia (a giorni alterni
distribuivo anche queste), infine si decidevano a mangiare, senza avidità ma a
sufficienza, il pastoncino. Si mantennero vivaci e in forma e non mi crearono problemi; alla muta, però, le piume rosse furono sostituite da altre molto più chiare: rosa pallido.
Diverso fu il comportamento dei Pericrocoti più piccoli che vissero nutrendosi quasi esclusivamente di larve di T. molitor; a giudicare dall'aspetto delle feci dovevano digerirle bene. Mangiavano minime quantità di pastoncino, se lasciavo a disposizione soltanto quello: ben presto intristivano e mettevano il capo sotto l'ala; se non avessi subito ridistribuito il loro cibo preferito, sarebbero certamente morti entro poche ore. Una volta che tardai, fui costretto a alimentarli a viva forza perché incapaci di muoversi e
alimentarsi. Approfittando che con il passare del tempo si erano pian piano abituati a mangiare le larve, prima uccise, poi divise a metà, successivamente tagliate a piccoli pezzi, le mescolai al pastone in modo che fossero costretti a mangiarlo; dopo appena un giorno gli escrementi cambiarono colore e divennero liquidi evidenziando disturbi digestivi.
Nessun interesse per le pupe di Mosca carnaia che, raramente, in mancanza di meglio, mangiavano allo stadio di larva; non riuscivano però a digerirle e le trovavo intatte sul fondo della gabbia.
Commento
Questa scarna notarella sul comportamento in cattività di quattro Uccelli non autorizza sicuramente a generalizzarne i risultati ritenendo il P. flammeus di facile detenzione e il P. cinnamomeus delicato e difficile. Può darsi benissimo che ad altri sia capitato o possa capitare una situazione completamente opposta, perché, ferme restando quelle che sono le esigenze in senso lato di una determinata Specie esotica, esigenze che, eccetto per poche
allevate regolarmente e divenute ormai domestiche, rimangono ignote o quasi per la scarsissima e generica letteratura in merito, il processo di adattamento per la sopravvivenza di un Uccello a mutate condizioni di vita, può dipendere dalla Sottospecie alla quale appartiene, dagli stress subiti e naturalmente dalla resistenza fisica che non sempre coincide con l'aspetto florido. In questi ultimi anni ho avuto l'opportunità di acclimatare e appastare Uccelli appartenenti a diecine e diecine di generi diversi: Garrulax,
Babax, Pycnonotus, Criniger, Hypsipetes, Leiothrix, Liocichla, Yuhina, Minla, Paradoxornis, Aegithalos, Zosterops, Psarisomus, Uragus, Melophus, Parus, Sitta... tanto per citarne alcuni che
se dovessi riportarli tutti farei un lungo e noiosissimo elenco di desueti nomi latini.
Da questa esperienza ho potuto constatare che il noto assioma: "ogni uomo è un'isola" è applicabile, a volte con significato più ampio, anche in ornitologia.
Alcuni esempi. Nella primavera del 1989 mi furono affidati una quarantina di Astri montani di Reichenow (Cryptospiza reichenovii)
particolarmente difficili da acclimatare e da alimentare, perché avevano bisogno di temperature costanti sui venticinque gradi e
appetivano esclusivamente piccoli semi immaturi di graminacee spontanee, oltre le solite larve di T. molitor.
Qualunque altro cibo veniva ignorato, compresi pastoncini e semi germinati.
Quando in autunno inoltrato non trovai più a sufficienza il loro cibo preferito, iniziarono a morire. Riuscii a salvarne undici che si abituarono ai semi secchi (miglio bianco e scagliola). Se ai circa quaranta avuti in custodia si aggiungono quelli morti nei primi
giorni all'importatore, la percentuale dei sopravvissuti si abbassa ulteriormente.
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