marco cotti
12-12-07, 19: 04
Il “Pappagallino del sorriso”
di Alamanno Capecchi
I rivenditore livornese mi disse che erano "Pappagalletti del sorriso", ma io, in
verità, non ho mai trovato questo nome nei libri in italiano che trattano di
Psittaciformi. Ne possedeva due, alloggiati in una gabbia da salotto di media
grandezza, attaccata al trespolo.
Di piumaggio prevalentemente verde, soffuso di giallo sulla fronte e ai lati
della testa, avevano iride bruna, becco grigiastro, zampe grigio chiaro e coda
molto corta. La taglia era quella dei roseicollis: nel comportamento ricordavano
le Amazzoni allevate "a mano". Sono nati in cattività e molto domestici: me li
ha portati una signora straniera che è ritornata in America", chiarì. Così dicendo li fece uscire dalla gabbia, porgendomene uno che mi salì, senza alcuna paura, sul dito proteso ad accoglierlo. Mi piacque e decisi di acquistarlo. Lo pagai quindicimila lire, piuttosto caro per quei tempi (eravamo nel gennaio del 1970), ma ne valse la spesa. Abitualmente alloggiava in una gabbia per Canarini, ma il suo posto preferito erano le spalle: le mie e quelle di mia moglie, dimostrado una netta preferenza per lei. Per raggiungere il suo scopo, dato che non poteva volare perché gli erano state tagliate le remiganti, come sono soliti fare con i grandi Pappagalli, non esitava a buttarsi a terra, anche dall'alto e, camminando con un passo lento e dinoccolato, dirigersi verso di noi. Una volta ai nostri piedi saliva sopra le scarpe e aiutandosi con il becco riusciva ad arrampicarsi.
Si metteva allora a becchettare delicatamente un orecchio o una guancia,
con gli occhi socchiusi e le penne della testa leggermente rialzate.
Considerato dal nostro punto di vita, sembrava dividesse le persone in tre
categorie: simpatiche, indifferenti e antipatiche. Da quelle che gli andavano a
genio si faceva toccare e accarezzare; dalle indifferenti si scansava, appena
allungavano una mano; per le antipatiche potevano essere guai. Tra quest'ultime vi era una donna, una certa Mary, che tre volte alla settimana veniva a riordinare la casa e nei confronti della quale dimostrava chiari segni di
avversione, agitandosi e gridando al suo apparire.
Un giorno Mary, visto che lo stavo accarezzando sulla testa, ebbe l'infelice idea di fare altrettanto, introducendo un dito tra i ferretti della gabbia; ricevette una beccata che le produsse una profonda ferita. Non tollerava di essere maltrattato.
Mia moglie, un pomeriggio, tutta indaffarata intorno ai fornelli, non si accorse
che Joe, così lo chiamavamo, attaccandosi alla piega dei suoi pantaloni, piano,
piano le era salito lungo il corpo. Sentendo qualcosa a contatto del collo, istintivamente, con un grido vi assestò un gran colpo con la mano, scaraventandolo in malo modo a terra. Poco dopo mia moglie gridò di nuovo, ma questa volta di dolore: il vendicativo Joe, arrampicatosi di nuovo sulle spalle, le aveva affibbiato una poderosa beccata a un orecchio, facendolo sanguinare.
Quando ci vedeva seduti a tavola per il pranzo o per la cena, se non avevamo l'accortezza di portarlo in un'altra stanza, non ci dava pace. Cominciava a cantare a gran voce (Il richiamo somigliava a quello dell'Ondulato, ma era più forte) per essere liberato, tirando contemporaneamente con il becco, facendoli vibrare, i ferretti
della gabbia in modo da ricavarne un suono simile a quello di una chitarra
scordata. Appena accontentato, saliva sulle nostre spalle; poi camminando
sul braccio arrivava fino alla mano per prendere della carne dalla forchetta o
intrufolare la testa nel bicchiere o nella tazza del caffè mentre noi bevevamo. Era veramente spassoso vederlo stringere nella zampa, tenuta sollevata, un
pezzetto di insaccato pepatissimo o un cioccolatino e iniziare a mangiarli.
Senza dubbio lo avrebbe fatto se noi non l'avessimo impedito. Dopo più di due
anni, nell'estate del 1972, il piccolo Pappagallo trovò una finestra aperta e
volò fuori (non avevo più provveduto a tagliare le penne delle ali). Rimase per
circa un'ora sulla cima di un alto albero al di là della strada, insensibile ai miei
richiami. Poi scomparve e non lo rividi e sentii più.
por los amigos espanol: http://www.tranexp.com:2000/InterTran?type=text&text=&url=http%3A%2F%2Fwww.ornieuropa.com%2Fforum%2Fshow thread.php%3Ft%3D1277&from=ita&to=spe&Submit=Traduci
__________________________________________________ ___________
Alamanno Capecchi
nato a Pontedera (PI) il 25 settembre 1927.
Laureato in farmacia. Zoofilo. Ornitologo dilettante.
Menbro della Società Italiana di Scienze Naturali (Milano)
Rappresentante nazionale C.R.O. ( Commission de ricerche ornithologique) della C.O.M.
Autore di circa trecento articoli pubblicati da riviste italiane ed estere (Avifauna, Uccelli, Italia Ornitologica, Atualidades Ornitologicas, O Paporrubio
di Alamanno Capecchi
I rivenditore livornese mi disse che erano "Pappagalletti del sorriso", ma io, in
verità, non ho mai trovato questo nome nei libri in italiano che trattano di
Psittaciformi. Ne possedeva due, alloggiati in una gabbia da salotto di media
grandezza, attaccata al trespolo.
Di piumaggio prevalentemente verde, soffuso di giallo sulla fronte e ai lati
della testa, avevano iride bruna, becco grigiastro, zampe grigio chiaro e coda
molto corta. La taglia era quella dei roseicollis: nel comportamento ricordavano
le Amazzoni allevate "a mano". Sono nati in cattività e molto domestici: me li
ha portati una signora straniera che è ritornata in America", chiarì. Così dicendo li fece uscire dalla gabbia, porgendomene uno che mi salì, senza alcuna paura, sul dito proteso ad accoglierlo. Mi piacque e decisi di acquistarlo. Lo pagai quindicimila lire, piuttosto caro per quei tempi (eravamo nel gennaio del 1970), ma ne valse la spesa. Abitualmente alloggiava in una gabbia per Canarini, ma il suo posto preferito erano le spalle: le mie e quelle di mia moglie, dimostrado una netta preferenza per lei. Per raggiungere il suo scopo, dato che non poteva volare perché gli erano state tagliate le remiganti, come sono soliti fare con i grandi Pappagalli, non esitava a buttarsi a terra, anche dall'alto e, camminando con un passo lento e dinoccolato, dirigersi verso di noi. Una volta ai nostri piedi saliva sopra le scarpe e aiutandosi con il becco riusciva ad arrampicarsi.
Si metteva allora a becchettare delicatamente un orecchio o una guancia,
con gli occhi socchiusi e le penne della testa leggermente rialzate.
Considerato dal nostro punto di vita, sembrava dividesse le persone in tre
categorie: simpatiche, indifferenti e antipatiche. Da quelle che gli andavano a
genio si faceva toccare e accarezzare; dalle indifferenti si scansava, appena
allungavano una mano; per le antipatiche potevano essere guai. Tra quest'ultime vi era una donna, una certa Mary, che tre volte alla settimana veniva a riordinare la casa e nei confronti della quale dimostrava chiari segni di
avversione, agitandosi e gridando al suo apparire.
Un giorno Mary, visto che lo stavo accarezzando sulla testa, ebbe l'infelice idea di fare altrettanto, introducendo un dito tra i ferretti della gabbia; ricevette una beccata che le produsse una profonda ferita. Non tollerava di essere maltrattato.
Mia moglie, un pomeriggio, tutta indaffarata intorno ai fornelli, non si accorse
che Joe, così lo chiamavamo, attaccandosi alla piega dei suoi pantaloni, piano,
piano le era salito lungo il corpo. Sentendo qualcosa a contatto del collo, istintivamente, con un grido vi assestò un gran colpo con la mano, scaraventandolo in malo modo a terra. Poco dopo mia moglie gridò di nuovo, ma questa volta di dolore: il vendicativo Joe, arrampicatosi di nuovo sulle spalle, le aveva affibbiato una poderosa beccata a un orecchio, facendolo sanguinare.
Quando ci vedeva seduti a tavola per il pranzo o per la cena, se non avevamo l'accortezza di portarlo in un'altra stanza, non ci dava pace. Cominciava a cantare a gran voce (Il richiamo somigliava a quello dell'Ondulato, ma era più forte) per essere liberato, tirando contemporaneamente con il becco, facendoli vibrare, i ferretti
della gabbia in modo da ricavarne un suono simile a quello di una chitarra
scordata. Appena accontentato, saliva sulle nostre spalle; poi camminando
sul braccio arrivava fino alla mano per prendere della carne dalla forchetta o
intrufolare la testa nel bicchiere o nella tazza del caffè mentre noi bevevamo. Era veramente spassoso vederlo stringere nella zampa, tenuta sollevata, un
pezzetto di insaccato pepatissimo o un cioccolatino e iniziare a mangiarli.
Senza dubbio lo avrebbe fatto se noi non l'avessimo impedito. Dopo più di due
anni, nell'estate del 1972, il piccolo Pappagallo trovò una finestra aperta e
volò fuori (non avevo più provveduto a tagliare le penne delle ali). Rimase per
circa un'ora sulla cima di un alto albero al di là della strada, insensibile ai miei
richiami. Poi scomparve e non lo rividi e sentii più.
por los amigos espanol: http://www.tranexp.com:2000/InterTran?type=text&text=&url=http%3A%2F%2Fwww.ornieuropa.com%2Fforum%2Fshow thread.php%3Ft%3D1277&from=ita&to=spe&Submit=Traduci
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Alamanno Capecchi
nato a Pontedera (PI) il 25 settembre 1927.
Laureato in farmacia. Zoofilo. Ornitologo dilettante.
Menbro della Società Italiana di Scienze Naturali (Milano)
Rappresentante nazionale C.R.O. ( Commission de ricerche ornithologique) della C.O.M.
Autore di circa trecento articoli pubblicati da riviste italiane ed estere (Avifauna, Uccelli, Italia Ornitologica, Atualidades Ornitologicas, O Paporrubio