Il nuovo editoriale dal titolo ""PASSIONE ARRICCIATI "" - a disposizione gratuita dei nostri soci e simpatizzanti, nell'apposita sezione Editoriali dell’A.O.E.
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Discussione: Importante iniziativa in Toscana

  1. #1
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    Importante iniziativa in Toscana

    Cari soci ed amici, attualmente nella Regione Toscana è in fase di predisposizione un nuovo regolamento che, tra le altre cose, andrà a disciplinare la materia dell'allevamento dell'avifauna autoctona. L'AODAT, venuta in possesso della bozza di tale atto, ha doverosamente interessato la Federazione che, valutata l'importanza della questione, ha ritenuto opportuno inviare agli organi politico-istituzionali della regione la nota che segue:

    Al Presidente della
    Giunta Regionale della Toscana

    E, p.c. Assessore all’Agricoltura

    Presidente della Seconda Commissione Consigliare
    Agricoltura e sviluppo rurale

    Presidente Gruppo Consigliare
    Federazione della Sinistra – Verdi

    Presidente Gruppo Consigliare
    Gruppo Misto

    Presidente Gruppo Consigliare
    Il Popolo della Libertà

    Presidente Gruppo Consigliare
    Italia dei Valori

    Presidente Gruppo Consigliare
    Lega Nord Toscana

    Presidente Gruppo Consigliare
    Partito Democratico

    Presidente Gruppo Consigliare
    Unione di Centro

    Oggetto: Bozza del nuovo “regolamento di attuazione della legge regionale 12 gennaio 1994, n. 3 (Recepimento della legge 11 febbraio 1992, n. 157 "Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio") destinato a sostituire l’attuale D.P.G.R. 25 febbraio 2004, n. 13/R – Segnalazione.

    Egr. Sig. Presidente,
    la sottoscritta Federazione Europea Ornitofili-ONLUS, con sede in Parma, via Campioni n. 6, istituita con atto a rogito del Notaio Elia Antonacci, numero 33.052 di repertorio e n. 18.449 di raccolta, in data 27 maggio 2010, avente lo scopo di “tutela e valorizzazione della natura e dell’ambiente” (settore 8 dell’art. 10 del D. Lgs. 460/1997), iscritta nell’anagrafe unica delle ONLUS tenuta presso la Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate dell’Emilia Romagna, porta alla sua attenzione quanto segue.

    Si è appreso che è attualmente in fase di redazione la regolamentazione indicata in oggetto e che, in vista della sua successiva adozione, sono state sentite e/o sono stati acquisiti i contributi delle Province e delle Associazioni venatorie e ambientaliste.

    Purtroppo, si deve rilevare con grande rammarico come sulla formulazione di tale testo – peraltro di estremo interesse per l’intero mondo dell’ornitologia – non vi sia stato alcun coinvolgimento delle Associazioni ornitofile.

    Ad altri settori è stata – giustamente – fornita la possibilità di far sentire la propria voce nell’iter prodromico alla disciplina di una materia complessa come quella venatoria, analoga opportunità dovrebbe essere offerta, per lo meno nella discussione dello specifico settore dell’allevamento avicolo “per passione”, alle organizzazioni che rappresentano i cultori di tale attività.

    Forse non si è a conoscenza che gli allevatori di questo tipo iscritti ad associazioni sono in Italia una realtà in costante aumento ed il loro numero è stimabile in circa 25.000 unità, con oltre un migliaio di presenze in Toscana; tuttavia sono almeno tre volte tanti coloro che, senza adesione attiva o velleità di partecipare a mostre, sono in possesso di uno o più uccellini in cattività.

    Le dimensioni dell’indotto economico che l’ornitocoltura muove (attrezzature, mangimi, medicinali, ecc. ecc.) sono quindi facilmente stimabili ed altrettanto facilmente intuibili sono gli effetti negativi che su tale mondo si ripercuoterebbero nel caso di scelte regolamentari non sufficientemente analizzate sotto tutti i profili coinvolti.

    Inserita la questione nella giusta prospettiva, non si potrà non convenire sulla singolarità del fatto che per dotare di una disciplina organica un determinato settore (nel quale sono presenti realtà organizzative di rilevanza sociale a livello nazionale), non si è ritenuto necessario sentire le uniche voci in grado di conoscerne le problematiche o condividerne le esperienze.

    In ogni caso, la scrivente – per il tramite dell’affiliata referente locale Associazione Ornitologica dell’Alto Tirreno con sede a Pietrasanta – è comunque venuta in possesso di una copia della bozza di regolamento in circolazione (voci non confermate assicurerebbero la sua imminente approvazione) ed è rimasta sconcertata su come sarebbe stata riformulata la parte relativa agli allevamenti hobbystici di avifauna autoctona.

    Qualora lo scritto esaminato (allegato per comodità di consultazione – all. 1) fosse effettivamente quello in adozione, ad avviso della scrivente, si avrebbe un forte regresso rispetto al passato, con pressoché totale disconoscimento del ruolo delle Associazioni del settore.

    Le disposizioni contenute nei vigenti articoli 39, 40 e 41 del DPGR 13-R (che pur con la necessità di un adeguamento ai principi nazionali e comunitari, come indicato dal Difensore Civico regionale con nota n. 8428 dell’11 dicembre 2009 – all. 2) risultano completamente cancellate. Gettata nel dimenticatoio la peculiarità dell’allevamento per hobby e del ruolo delle federazioni ornitologiche, con la nuova normativa non sussisterebbe più alcuna distinzione tra chi alleva per semplice passione e/o per la partecipazione a mostre e chi, invece, dell’allevare fa una professione.

    Di più, la regolamentazione in itinere, da un lato, risulta altamente penalizzante nei confronti di chi coltiva l’attività a livelli puramente di diletto, passione e conservazione della natura; dall’altro, potrebbe incentivare – per la mancata previsione di precisi obblighi di marcatura –, chi è spinto da altre finalità (soprattutto non lecite), alla cattura di uccelli in natura.

    In particolare, non risulterebbe più prevista la mera “detenzione” (art. 35 del DPGR 13.R) e ciò significa che, alla luce del divieto generalizzato sancito dalla legge, anche chi viene in possesso di una coppia di cardellini o di qualsiasi altra specie indigena (nata in cattività e regolarmente anellata), per non rischiare sanzioni deve necessariamente chiedere l’autorizzazione all’istituzione di un allevamento. Obiettivamente, l’imposizione di tale onere è da ritenersi sproporzionata ed eccessiva.

    Tanto più che la proposta formula dell’art. 52, prevede la necessità di indicare:
    d) le tecniche di allevamento che si intendono adottare,
    e) le strutture in dotazione all’allevamento.

    Orbene, balza immediatamente all’occhio che, se tali precisazioni possono avere un senso per gli allevamenti non amatoriali o comunque per animali diversi dell’avifauna minuta, risultano assurdi per coloro che sono in possesso al massimo di una decina di gabbie, magari sistemate sul balcone!

    Forse un semplice esempio può essere di maggiore ausilio per rilevare l’irragionevolezza degli oneri richiesti: il pensionato A, riceve in dono dall’amico B, un cardellino (dotato di anello inamovibile). Poiché la detenzione di tale esemplare non è consentita, il nostro A dovrà necessariamente chiedere l’autorizzazione ad istituire un allevamento (domanda in bollo più un ulteriore bollo da apporre sull’atto autorizzativo). Si dubita che tale autorizzazione possa essere rilasciata visto che è impossibile far riprodurre un unico soggetto (e quindi per A scatterebbe l’obbligo di acquistare un altro animale della stessa specie) ma, in ogni caso, che cosa dovrebbe scrivere nella domanda per rispondere alla voce “tecniche di allevamento”? Forse “riproduzione spontanea”? O “accoppiamento auspicabile”? Oppure, in caso di non fornitura del nido, “stretto controllo delle nascite”?

    E per quanto attiene alle “strutture in dotazione”? Gabbia di cm. xx, munita di cassetto estraibile, mangiatoie, beverino ed asticelle (e tutti gli altri optional come pinza porta osso di seppia, linguetta per sali minerali, ecc. ecc.)? Ma se per caso quella gabbia venisse sostituita?

    Lasciando da parte le facezie, il mondo dell’ornitofilia chiede certezze e semplificazioni, non orpelli e lassismi.

    Sottoporre alcuni ad oneri spropositati e non sancire l’obbligatorietà dell’inanellamento di tutti i soggetti dell’avifauna indigena allevati amatorialmente (prevista, invece, soltanto per quelli utilizzabili anche come richiami vivi oppure esposti in fiere e mostre), sono scelte inesplicabili e non condivisibili.

    Non marcare i propri soggetti non rappresenta un vantaggio per l’allevatore serio, ma si presta ad essere una sorta di facilitazione per coloro che, di serietà, ne hanno poca.

    Un aforisma che la FEO-ONLUS ha coniato e che propaganda in ogni sede è: “Allevare: una passione; proteggere: un dovere”. La nostra presa di distanza da coloro che prelevano illegalmente in natura (senza precisi vincoli di marcatura ciò sarà indubbiamente più agevole) è totale e, nel perseguimento di quegli scopi di tutela ambientale sui quali si fonda lo status di ONLUS ottenuto, non ci sentiamo di condividere l’abolizione dell’obbligo di anellamento delle specie tutelate.

    Un esemplare munito del regolare anello dimostra la sua provenienza captiva, può essere ricondotto a chi lo ha allevato e rende molto più agevole l’attività di controllo delle autorità preposte a tale attività: per questi motivi possono diventare superflui numerosi adempimenti cartacei che, alla fine, non garantiscono i medesimi risultati.

    NOI ANELLIAMO E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE CI SEMPLIFICHI LA VITA: questa, in buona sostanza, è la nostra richiesta.

    Insomma un qualcosa di analogo a quanto avviene per le specie di uccelli contemplati negli specifici allegati del regolamento comunitario n. 338/1997 e cioè il riconoscimento che la marcatura del soggetto è sufficiente a garantirne la corretta provenienza e agevola i controlli.

    L’ammissione di tale specifico metodo, peraltro già generalmente utilizzato nel resto dei paesi europei, è stata ulteriormente estesa anche in Italia a seguito della pubblicazione (G.U. Serie Generale, n. 58, dell'11 marzo 2011) del D.M. 5 ottobre 2010 titolato "Integrazione al decreto 8 gennaio 2002, recante l'istituzione del Registro di detenzione degli esemplari di specie animali e vegetali".

    Tale decreto, in particolare, indica che sono esclusi dall’obbligo di tenuta del Registro “i soggetti detentori di esemplari appartenenti a specie di uccelli incluse nell'allegato B del regolamento (CE) n. 338/1997 e successive attuazioni e modificazioni, facilmente e comunemente allevate in cattività, il cui prelievo in natura risulta, in base ai dati disponibili, non significativo, incluse nell'allegato 1 al presente decreto, purché denunciati ai sensi dell'art. 8-bis della legge 7 febbraio 1992, n. 150 e marcati secondo modalità conformi alle disposizioni di cui all'art. n. 66 comma 2, del regolamento (CE) n. 865/2006”.

    Si suppone che, in linea con la via tracciata a livello nazionale ed europeo, analoga procedura potrebbe (anzi dovrebbe) essere prevista dalla regolamentazione regionale con riferimento agli esemplari dell’avifauna autoctona, in modo da realizzare una sorta di uniformità nei criteri seguiti per il raggiungimento dei medesimi scopi.

    Ad ogni buon fine, tornando al testo in esame, si rileva ancora:

    Art. 52: con le già citate disposizioni di cui alle lettere d) ed e) (“tecniche di allevamento che si intendono adottare” e “strutture in dotazione all’allevamento”), l’attuale formulazione risulta molto più penalizzante rispetto a quella del corrispondente art. 39 del DPGR 13-R che, infatti, recita: “Nella domanda di autorizzazione o nella comunicazione sono indicati le specie allevate, i soggetti destinati alla riproduzione, la loro provenienza e la sede dell’allevamento”.

    Art. 53: le lettere e) (“eventi patologici significativi”) e f) (“controlli sanitari ed amministrativi eseguiti”) del primo comma paiono avere ben poco senso per degli allevamenti amatoriali.
    Il quarto comma prevede l’obbligo, in caso di cessione, di indicazione del numero dell’anello identificativo per le sole specie da utilizzare come richiami vivi. Si rinnova l’interrogativo sui motivi per i quali (scartando a priori l’incentivo alla cattura illegale) vengano escluse specie quali il Cardellino, il Verdone, il Lucherino, il Fringuello, ecc.

    Art. 55: il primo comma stabilisce che “Negli allevamenti di fauna selvatica autoctona a fini amatoriali, ornamentali e per il mantenimento di tradizioni locali non possono essere detenuti più di sei riproduttori per ogni specie cacciabile allevata”. Si auspica che la dizione “sei riproduttori” significhi almeno “sei coppie riproduttrici”, perché con sole tre coppie chi intenda fare “selezione” per la partecipazione a mostre, dovrà inevitabilmente rinunciare alla sua passione.
    Con il comma 3, in ogni caso, si raggiunge l’apice dell’incomprensibilità: “Tutti gli uccelli allevati appartenenti alle specie selvatiche non stanziali possono essere esposti nelle fiere e per le manifestazioni canore, purché identificabili mediante anello inamovibile e numerato”: e gli uccelli indigeni non stanziali? Un passero non può essere esposto?

    Art. 56: al comma 4 vengono stabilite le caratteristiche degli anelli inamovibili da utilizzare negli allevamenti di uccelli da utilizzare come richiami vivi. Non si rinviene cenno di come devono essere quelli da usare negli allevamenti “a fini ornamentali, amatoriali e per il mantenimento di tradizioni locali”. Da nessuna parte si fa riferimento agli anelli inamovibili rilasciati dalle associazioni legalmente costituite.

    Infine, la bozza regolamentare in questione non pare tenere in alcun conto degli allevamenti attualmente in essere e regolarmente autorizzati.

    Necessariamente premesso quanto sopra, si auspica che le pregiudiziali osservazioni formulate siano sufficienti ad evidenziare la peculiarità di un settore non sufficientemente considerato nel testo esaminato e che, comunque, per le prossime consultazioni inerenti alla specifica tematica in argomento, sia riconosciuta l’opportunità di sentire le associazioni del mondo ornitologico.

    A titolo di sommario e introduttivo contributo nonché di eventuale spunto di discussione, sempre con le espresse finalità di assicurare i condivisi obiettivi della corretta difesa dell’ambiente, della facilità dei controlli e della necessaria semplificazione amministrativa, si unisce una preliminare proposta di integrazione al redigendo regolamento (all. 3).

    Nella certezza che le istanze rappresentate potranno trovare accoglimento, si resta a disposizione per ogni eventuale, ulteriore precisazione fosse ritenuta necessaria.
    Distinti saluti.
    14 marzo 2011

    Federazione Europea Ornitofili-Onlus

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  2. #2
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    salve sono amato vivo a firenze proprio la scorsa settimana mi sono recato in provincia per l'autorizzazione all'allevamento di cardellini la sig.ra xy capo dell'ufficio mi ha proposto piu' di una volta di aspettare qualche settimana perche' con la nuova disposizione diceva fosse piu' facile e meno oneroso bastava l'iscrizione ad una federazione ornitologica ....ora invece ho letto quel che propongono innanzitutto trovo ingiusto e di cattivo gusto il fatto che sono stati presi tutti in considerazione traNNE noi diretti interessati con noi intento le varie federazioni foi-feo ecccc ma poi quale assurdita' se non ce piu' bisogno di anellare i nostri amici allora facciamo come in xxxx e xxxx dove la cattura di soggetti e' quasi legale....cosi' si autorizza a catturare soggetti in natura...che schifo e poi trovo ingiusto anche il discorso dell'allevamento io allevo cardellini in gabbie da 90 e 60 cm e sono d'accordo con lei descrivo come composta la mia gabbia e se poi la cambio che devo fare ....mando una raccomandata "scusate ma per motivi personali ho tolto un beverino???? che assurdita' spero davvero che chi di dovere fermi tutto e discuta con i diretti interessati che sapranno consigliare per il bene dei nostri amici
    Ultima modifica di massimiliano gallo; 20-03-11 a 21: 58

  3. #3
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    Caro Amato, purtroppo finchè le norme verranno costruite a tavolino senza ascoltare chi ha - almeno un minimo di - esperienza, problemi di questo tipo sorgeranno sempre. Noi cerchiamo di far sentire la nostra voce, confidiamo che le altre federazioni non stiano "al palo" e, soprattutto, che chi ha "orecchie" ascolti.
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  4. #4
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    Un eccellente documento.

    Purtroppo il problema, volendo semplificare a rischio di banalizzare, è che per il Legislatore, sia nazionale che regionale, l'allevamento degli indigeni è una questione che riguarda il mondo della caccia.

    L'ignoranza ed il disinteresse rallentano enormemente il processo di presa di coscienza che c'è un equivoco di fondo di dimensioni macroscopiche.

    Se vogliamo rompere questo meccanismo credo che l'equivoco vada denunciato con maggior forza rispetto al passato, e credo che, costi quel che costi, l'ornitofilia dovrebbe prendere, anche ufficialmente, le distanze dal mondo della caccia.

    Se per l'animalista la caccia è il nemico ideologico, per l'ornicoltore la caccia ed i cacciatori sono l'ostacolo pratico principale all'ottenimento di una disciplina che consenta di allevare in libertà e di sviluppare il nostro mondo. E, a dirla tutta, è anche per lui, almeno in parte, un nemico ideologico.

    Volutamente banalizzando: se non esistesse la caccia non avremmo gran parte dei nostri problemi.

    E' evidente che una parte degli allevatori sono cacciatori ma, pur non avendo dati statistici ufficiali, ritengo che dei 25.000 iscritti alle associazioni ornitofile la percentuale di cacciatori sia molto contenuta.

    Il movimento degli allevatori deve fare le sue scelte, anche coraggiose. Se quegli allevatori che sono pure cacciatori non condivideranno, pazienza.

    A presto

    Roberto
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  5. #5
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    Raccolgo molto volentieri la "provocazione" di Roberto.
    Premetto che pur essendo cacciatore, condivido il fatto che l'allevamento amatoriale debba essere scisso dalla disciplina venatoria perchè con questa ha a che fare soltanto marginalmente. Tuttavia, la voluta banalizzazione sull'esistenza della caccia ed i problemi del mondo dell'ornitofilia, va presa per quello che è ... una semplice banalizzazione. E ciò non solo in quanto non si può risolvere la problematica di un settore semplicemente eliminandone un altro (la cui esistenza può essere condivisa o meno, ma che spesso reca con sè una serie di pregiudizi qualunquistici destinati a colpire l'immaginario collettivo con una serie di accostamenti che ben poco hanno a che vedere con la pratica venatoria svolta secondo le regole), ma soprattutto perchè, se i cacciatori rappresentano una minoranza all'interno dei 25.000 allevatori nazionali, sono pur sempre la maggioranza o quasi di quelli dediti all'allevamento degli indigeni.
    I richiami utilizzati provengono per il 90% dagli allevamenti e sono numerosissimi i cacciatori che allevano da sè gli uccelli che utilizzano nella pratica venatoria, dai richiami veri e propri (tordi, sasselli, merli e cesene), agli "zimbelli" (colombacci, piccioni, anatidi), ai "volantini" (colombi, germani, ecc.) ... qui non aggiungo altro per non rischiare di andare fuori tema.
    E' quindi necessario un distinguo tra il cacciatore e il cacciatore che è anche allevatore. Mentre il primo, che rappresenta la maggioranza della categoria, si disinteressa delle questioni concernenti l'allevamento, il secondo - come l'allevatore cui siamo abituati a riferirci - ama profondamente i suoi soggetti, applica criteri selettivi per il miglioramento degli esemplari e, soprattutto, non vuole essere accomunato al "bracconiere" e non ha alcun interesse ad incentivare il prelievo in natura.
    Comprendo che le questioni possano essere di difficile comprensione per chi non è "addentro" ad un mondo diverso da quello della nostra passione comune, ma senza una seria riflessione si corre il rischio di attuare, nei confronti di altri, il medesimo comportamento di scarsa considerazione che lamentiamo nei nostri confronti.
    Quindi non esiste il "cacciatore nemico ideologico", ma può esistere il "cacciatore non informato" ... come esiste "l'ambientalista non informato" ... o "l'ignorante generalizzato".
    Il cacciatore, anzi le associazioni di cacciatori, non richiedono il mantenimento della disciplina dell'allevamento amatoriale dell'avifauna indigena nell'ambito della normativa inerente all'ars venandi, tutt'altro. Le problematiche considerate prioritarie per il settore sono ben altre e pertanto non esiste alcuna preclusione di principio ad una regolamentazione specifica dell'ornitocoltura quale è intesa dalle "nostre" federazioni: il problema è soltanto quello di farlo comprendere al legislatore che, nella stragrande maggioranza dei casi, non ha alcuna sensibilità nei "nostri" confronti.
    Questa, a mio modesto avviso, è la nostra grande sfida: far giungere la voce là dove non è udita ... senza cercare nemici dove non ci sono.
    Quod omnes tangit, debet ab omnibus approbari


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  6. #6
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    Caro Alberto,

    in attesa di approfondire il tema quando riusciremo ad avere momenti di incontro appropriati, vorrei tentare di esprimere in modo ancor più chiaro quanto ho detto, tenendo bene a mente le tue osservazioni.

    Io non ho particolari pregiudizi nei confronti della caccia. E' una pratica che anzi mi incuriosisce, anche se poi, quando vedo qualche programma o parlo con qualche cacciatore, spesso la mia iniziale apertura tende a lasciare il passo a diverse perplessità. Non mi piacciono certi toni, certe scelte, certi atteggiamenti, e l'ostinata negazione di alcuni elementi di fatto.

    Il punto, tuttavia, è un altro, e quello che penso io conta poco.

    Quello che conta, al di là di tutte le distinzioni che hai fatto fra le varie figure di cacciatore, alle quali, volendo, potrei anche contribuire allungando la lista, è un'altra cosa.

    Quello che conta è che il Legislatore si è occupato di noi allevatori di indigeni, e continua a farlo, SOLO ED ESCLUSIVAMENTE perchè esiste la caccia e servono regole per controllarla.

    Se la caccia fosse semplicemente proibita, o fosse vietata la pratica dei richiami, dell'allevamento in quella Legge nazionale del 1992 ed in tutte le Leggi regionali derivate, non vi sarebbe traccia.

    Non è un caso che di altri volatili in cattività (canarini, esotici ecc.) il nostro ordinamento nazionale non si occupa in modo sistematico, ed è solo recente il tentativo di alcune regioni di disciplinarlo, come nel caso della regione Piemonte.

    Insomma, siamo sotto la lente di ingrandimento perchè lo è la caccia.

    Viaggiamo sullo stesso binario, e quando il Legislatore o l'opinione pubblica si occupano di caccia, si occupano inevitabilmente anche di noi.

    In un mondo normale persone come te o come me, o come tanti altri, ben potrebbero far capire agli interlocutori istituzionali quanto sia diverso l'allevare dal cacciare, e l'enorme solco che divide un allevatore di cardellini da un cacciatore che alleva i richiami.

    In un mondo normale.

    Qui no, e secondo me dobbiamo prenderne atto.

    A questo punto, a mio avviso, se l'interlocutore è rozzo, occorre che anche noi si proceda in modo adeguato.

    Dobbiamo sganciarci da questa scomoda associazione mentale.

    E tale esigenza è talmente avvertita che in parte lo facciamo già adesso. Non è un caso che gran parte degli utenti di questo Forum inserisca in firma il logo dello "stop agli uccelli di cattura". Molti infatti sembra vogliano dire: "Guarda che io sono contro la cattura. Io non sono un predatore. Io non sono un bracconiere".

    Questo è il sintomo di un disagio profondo degli allevatori di indigeni. Si vogliono distinguere, si vogliono dissociare.

    Il problema principale, lo sappiamo tutti, è che questo lo si fa a livello individuale. Prendere le distanze in modo ufficiale, collettivo, costa iscritti. Questa è la ragione assolutamente prevalente per cui la FOI non ha mai avuto il coraggio di farlo, nè probabilmente mai lo avrà.

    Tu affermi che la gran parte degli allevatori di indigeni sono cacciatori. Non ho ovviamente dati statistici, se non di natura assolutamente casereccia. Io però conosco circa una cinquantina di allevatori di indigeni, e di questi solo uno è anche cacciatore.

    Certo, vivo a Roma e faccio poco testo. Però il dato mi fa riflettere.

    E poi, Alberto, anche ammettendo che così fosse, e ne dubito, resta una considerazione evidente: siamo un Movimento di allevatori o di allevatori/ cacciatori? Se si dovesse ritenere, a torto o a ragione, che prendere le distanze dalla caccia, in modo fermo e senza gli attuali tentennamenti, potesse giovare alla causa, rendendo le nostre richieste più credibili e inducendo gli interlocutori a prestare maggiore attenzione, sarebbe opportuno farlo o no?

    A noi, con tutto il rispetto, che ci frega dei cacciatori?

    Bada bene, e qui vengo ad un tuo passaggio un po' delicato: qui non si tratta di "attuare nei confronti di altri" gli stessi comportamenti che noi lamentiamo applicati a noi. Noi se prendessimo le distanze non applicheremmo un bel niente. Ci limiteremmo a dividere le nostre strade in modo netto, lasciandoli a curare il loro interessi, e noi i nostri. E, permettimi, sono interessi largamente diversi e divergenti.

    Attenzione, si tratta non di scelte ideologiche di sapore morale, che attengono al modo di essere e di pensare di ognuno di noi, e quindi alla sfera personale, ma di una scelta di STRATEGIA e, permettimi, anche in buona misura di COERENZA.

    Visto che la gran parte degli allevatori non è di cacciatori, in particolare di pennuti (se permetti, un cacciatore di cinghiali, a proposito di distinzioni, è cosa ancor diversa), perchè dobbiamo sacrificare o comunque rendere più difficile la posizione di tutti gli altri (fra cui, contrariamente al sottoscritto, molti hanno una posizione molto rigida nei confronti della caccia), e la cura dei loro interessi?

    Vogliamo provare a fare un sondaggio sul Forum per capire, almeno limitatamente a questo ambiente, quanto la posizione dei cacciatori stia a cuore agli allevatori, e quanti allevatori iscritti alla FEO, per esempio, sono anche cacciatori?

    La FOI sembra avere il terrore di perdere pezzi, e scelte di questo tipo non sono nemmeno prese in considerazione. E la FEO? Qual è la sua posizione?

    Se dipendesse da me, non ho difficoltà a dire che, nell'interesse della comunità degli allevatori non cacciatori e nella convinzione della coerenza e dell'utilità pratica di tale scelta per il Movimento, dovrebbero essere studiate forme di incompatibilità fra l'essere iscritti alla Federazione X e l'essere titolari di licenza di caccia.

    Alla fine le banalizzazioni esplicano sempre concetti semplici, che sono alla base delle scelte. E qui ce n'è uno facile facile: l'allevatore fa nascere e cresce, per ragioni affettive, amatoriali, sportive. Il cacciatore spara e, nel caso sia anche allevatore di richiami, alleva per poter sparare ad un conspecifico dell'uccello allevato.

    Ripeto: è facile e banale, ma difficilmente confutabile.

    Io una differenza la vedo, e mi sembra enorme.

    Il giorno in cui dovessi decidermi a diventare cacciatore, e magari ad allevare richiami (come ho detto potrebbe anche avvenire, perchè non ho personalmente alcun pregiudizio e la caccia, pur con diverse riserve, comunque mi incuriosisce), una cosa è certa: sarò consapevole che come allevatore non sarò più quello di adesso e che la mia posizione sarà molto diversa da quelli che continueranno ad allevare per altri scopi, e riterrei giusto e logico che costoro prendessero le distanze da me.

    A presto

    Roberto

  7. #7
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    Senza entrare nel dibattito "caccia sì / caccia no" - premetto, però, che non concepisco la caccia agli uccelli che non siano un pericolo per l'equilibrio naturale alterato dall'uomo (cornacchie, piccioni, ecc.) - condivido il concetto che allevamento e caccia DEVONO essere trattati e considerati autonomamente. Poi, una volta stabilito chi è il cacciatore e chi l'allevatore, nessuno vieta o deve vietare che l'uno possa essere anche l'altro, nel rispetto delle relative regole e leggi.
    Chiedere una "incompatibilità" tra l'iscrizione ad una federazione ornitologica e l'essere cacciatori mi sembra eccessivo. Altra cosa è dover scrivere e rispettare leggi trasversali...


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  8. #8
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    Alessandro,

    qui nessuno dibatte di caccia sì/caccia no.

    Qui ci si interrogava sulle strategie più utili, ed anche giuste, per ottenere il risultato di una netta distinzione fra allevatori e cacciatori, distinzione che già esiste nella realtà ma che non viene assolutamente percepita dai nostri interlocutori e, diciamolo, dai nostri "avversari".

    E' un problema di giustizia. E' problema di strategia.

    Parlo di strategia in quanto, quale socio attivo sia di AOEtruria che di FEO, ed ora Consigliere di ARO, che si occupa con impegno ed attenzione dei nostri (numerosi) problemi normativi, definire una strategia, e perseguirla, fa parte del naturale procedere quando si vuole raggiungere un risultato, in qualunque campo.

    A presto
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