Oltre alla testimonianza bella ed interessante, la chiusura dell'articolo vale secondo me un trattato di Ornitologia
OSSERVAZIONI SUL COMPORTAMENTO IN CATTIVITÀ
DI UNA COPPIA DI AMARANTI FIAMMANTI
Hipargos niveoguttatus (Peters, 1868)
di A. Capecchi
Di questo appariscente astrildide africano è stato pubblicato non molto
tempo fa (1.0., 5/'87, pp. 19-21) un profilo dettagliato a cura del dott.
Quercellini al quale rimando gli interessati limitandomi a focalizzare, con
l'aiuto della solita agenda d'allevamento, le annotazioni più salienti.
C'è subito da rilevare che esiste una rivalità spiccata tra Hypargos
niveoguttatus e Euschistospiza dybowskii.
Nella primavera del 1985 ero in possesso di un solo soggetto, una
femmina, di questa specie che introdussi in voliera ai primi di maggio perché
vivesse in migliori condizioni, ma fui costretto a toglierla poco
dopo. Sebbene, come riportato nel precedente articolo, l'aviario sia lungo
più di 20 metri, si diede ad inseguire le dybowskii terrorizzandole al punto
che si nascosero tra l'erba: testa in giù coda in alto, come paralizzate. La
cosa si ripeté l'anno successivo aggravata dal fatto che questa volta gli
Amaranti fiammanti erano due avendo acquistato, il 3 novembre 1985, un
maschio; non mi rimase che rinchiudere in gabbia i due rissosissimi Hypargos.
Nel 1987 feci un nuovo tentativo e il risultato fu diverso. Le « vittime
», un maschio e tre femmine, si difesero energicamente e i due prepotenti
sconfitti ripiegarono nel lato opposto della voliera stabilendo un loro
territorio. La divisione della voliera in due territori rese possibile la
convivenza dando luogo solamente a piccole scaramucce, quando un
membro di una delle due coppie invadeva il territorio dell'altra. Vi fu
anche una sorpresa: le femmine prive di maschio, scacciate da quella
accoppiata, si rifugiarono nella zona degli Hypargos e furono tollerate
come del resto tutti i piccoli ospiti presenti nell'aviario.
Vennero effettuate tre deposizioni, una in un nido a cassetta già
preparato nascosto in una fitta macchia di arbusti, e due a terra in nidi
naturali. Nel primo furono deposte quattro uova, tre chiare e uno
embrionato che non schiuse; nel secondo tre, dalle quali nacquero due
pulli, portati felicemente all'indipendenza; nel terzo, ancora tre uova, ma i
due nidiacei fecero una misera fine. Esattamente il 26 agosto, al mattino,
ebbi la sgradita sorpresa di trovare a terra, nei pressi del nido un foro
rotondo, parte terminale di un cunicolo, e poco distante i miseri resti dei
due corpicini dilaniati; quasi sicuramente il misfatto era stato compiuto da
un topolino di campagna (Apodemus sylvaticus)
che, a differenza del più innocuo e quasi identico topolino delle case (Mus musculus), non si limita a rosicchiare le uova, ma uccide e mangia i piccoli Uccelli.
II secondo e il terzo nido, come ho scritto, furono costruiti a terra (la prima deposizione, con ogni probabilità, fu effettuata nella cassetta per mancanza di tempo) in una lieve depressione del terreno, ai piedi di un arbusto, così che
sembravano avere forma a guscio di Tartaruga ma in realtà erano ovali;
un'abbondante rivestimento interno di cotone idrofilo, pappi e piume
assicurava un ambiente asciutto e confortevole anche dopo un acquazzone;
l'accesso era appena sufficiente e nascosto con foglie secche; nell'insieme
risultavano ben costruiti e robusti.
Degno di nota mi sembra il comportamento della femmina all'epoca degli
amori: la « danza » nuziale con il fuscello di paglia nel becco praticamente
identica a quella del maschio.
Per l'alimentazione dei pulli non vi furono difficoltà perché, oltre alla
consueta sistematica ricerca sul terreno e in tutti gli angoli di insettucci,
che soltanto loro vedevano, utilizzarono larve e pupe di Tenebrior molitor,
piccoli grilli, spighe di miglio e panico immature; ignorati invece i
pastoncini all'uovo; poco appetite le verdure (centocchio, tarassaco,
ecc.). La femmina si rivelò per tutto l'arco dell'anno una assidua
consumatrice di insetti, mentre il maschio vi fece ricorso soltanto per
allevare i piccoli. Quando entravo in voliera la femmina veniva ai piedi a
prendere gli insetti; il maschio, più forastico, rimaneva nascosto tra le
piante a debita distanza.
La mia impressione, confortata anche dall'aspetto del maschio (taglia
leggermente più piccola e snella, coda più lunga, macchie bianche meno
fitte, rispetto le stesse caratteristiche somatiche presenti in due maschi avuti
in passato) è stata quella di una coppia costituita da due forme subspecifiche.
Nessun problema per le condizioni ambientali, anche loro come le due
specie trattate in precedenza, hanno svernato nella solita stanza fredda e
umida.
Chi ha letto questi tre articoletti, avrà notato convergenze ma anche
divergenze tra la mia esperienza e quanto riportano alcuni « sacri testi ».
Non deve meravigliare se una stessa specie è considerata di facile o
difficile riproduzione, socievole o aggressiva, poco paurosa o forastica.
Questo avviene perché gli Autori riportano esperienze personali, o altrui,
legate quasi sempre ad episodi singoli o sporadici. I processi di adattamento
alla cattività, sempre difficili e compiessi, possono manifestarsi con
comportamenti diversi, non solamente tra coppie della stessa specie, ma
anche nella stessa coppia con il passare degli anni.
Senza una lunga e numerosa sperimentazione, senza una casistica imponente, si
fanno soltanto presuntuosi castelli in aria. Bisognerebbe di fronte ad un
comportamento osservato domandarci se rappresenta la regola o piuttosto
un'eccezione di una regola che ancora non conosciamo.
Sarebbe come pretendere di ricostruire un grande mosaico con tre
pietruzze di diverso colore. Tre piccole pietruzze come nel mio caso
appunto!
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Alamanno Capecchi
nato a Pontedera (PI) il 25 settembre 1927.
Laureato in farmacia. Zoofilo. Ornitologo dilettante.
Menbro della Società Italiana di Scienze Naturali (Milano)
Rappresentante nazionale C.R.O. ( Commission de ricerche ornithologique) della C.O.M.
Autore di circa trecento articoli pubblicati da riviste italiane ed estere (Avifauna, Uccelli, Italia Ornitologica, Atualidades Ornitologicas, O Paporrubio
Oltre alla testimonianza bella ed interessante, la chiusura dell'articolo vale secondo me un trattato di Ornitologia
Grazie come sempre Marco!