A Trento il Convegno italiano di Ornitologia che ha fatto il punto sulle Alpi
di Maddalena Di Tolla

Uccelli, politiche per la biodiversità, ricerca scientifica, curiosità intriganti: di tutto questo si è parlato nei giorni scorsi alla facoltà di Lettere dell'Università di Trento, durante il XVII Convegno italiano di Ornitologia. Il Convegno era organizzato dal CISO, Comitato Italiano di Studi Ornitologici , dal MUSE e dall'Ateneo trentino, con la partecipazione anche del mondo scientifico bolzanino. Sullo sfondo resta di certo la bella e impattante relazione dello studioso Raphael Arlettaz dell'Università di Berna, esperto ornitologo ma soprattutto di misure di conservazione orientate alla partecipazione sociale. Arlettaz ha illustrato ai ricercatori, visibilmente colpiti dalla sua relazione, la necessità e il modo di trasformare la conoscenza scientifica in azione socialmente efficace, spronando l'Accademia, come si suol dire, a farsi parte diligente dentro i gangli decisionali della società. Fra i responsabili scientifici dell'evento c'era Paolo Pedrini, Curatore della Sezione di Zoologia dei Vertebrati al MUSE. Lo abbiamo intervistato.

Paolo Pedrini, quale situazione emerge per l'avifauna in Italia dal convegno?

«Il tema della conservazione era uno di quelli trattati al convegno, che ha riunito oltre trecento fra ricercatori e ornitologi, divulgatori e altre figure professionali. Emerge la necessità di conoscere e documentare. La condivisione delle banche dati è un primo passo verso un approccio partecipato. La situazione dell'avifauna rispecchia i cambiamenti in atto. Emerge chiaro come azioni di conservazione diretta abbiano garantito la ripresa delle specie un tempo fortemente minacciate, ad esempio dei rapaci diurni e notturni. Oggi sono considerati buoni bioindicatori, non sono più minacciati. Una volta di più, dai lavori emerge la relazione fra la qualità degli habitat e la presenza delle specie ornitiche e non solo. Importante si conferma anche la conservazione diffusa non solo di ambienti naturali ma anche di quelli seminaturali o artificiali, in alcuni contesti. Fra le specie più minacciate, sono risultate quelle legate al paesaggio antropico, in particolare quelle che vivono nei paesaggi agricoli tradizionali».

Come si presenta la situazione alpina?

«Nelle Alpi osserviamo da un lato l'effetto positivo delle azioni di conservazione e gestione selvicolturale degli ambienti forestali, dall'altro come i cambiamenti ambientali conseguenti all'abbandono dei contesti agricoli tradizionali e il rimboschimento delle aree aperte create a suo tempo dall'uomo, sono accompagnati dal marcato declino di specie un tempo abbondanti ed emblematiche, come il gallo forcello o il cedrone. Soffrono anche altre specie degli spazi aperti o semiaperti, come la coturnice o le allodole, l'averla piccola, gli zigoli, i passeriformi dei prati. Si è discusso ampiamente poi l'effetto del cambiamento del clima sulla scala alpina, più netto che altrove. E' necessario, è emerso, migliorare la raccolta dei dati e fare rete, anche in questo caso».

Emblema della crisi climatica nelle Alpi è la sorte della pernice bianca, di cui si è discusso di recente per il suo interesse venatorio. Cosa ne sappiamo?

«Gli esperti concordano che lo stato di conservazione è di forte declino e che azioni di contenimento o meglio sospensione del prelievo venatorio siano più che giustificate. Difficile è invece capire come avviare azioni di conservazione degli habitat, per la complessità dei cambiamenti in atto, che sembrano indipendenti dalle azioni locali. Per le specie degli ambienti agricoli le azioni di mitigazione per preservare ambienti marginali permettono anche rapide riprese di specie in crisi (come accade per gli ardeidi nelle risaie di pianura), invece per la pernice sembra che la dimensione determinante del cambiamento sia quella climatica globale, che incide anche sulla composizione floristica e dell'entomofauna».

Si è parlato anche delle misure di conservazione, ad esempio per una specie poco nota ma emblematica delle Alpi, il re di quaglie, migratore e nidificante estivo. Le chiedo un quadro.

«Il re di quaglie rappresenta un caso emblematico del nuovo approccio che dobbiamo porre alla base degli studi ornitologici. La specie è legata ai paesaggi agricoli tradizionali, ai prati da sfalcio, dove nidifica. Questo rallide, come altre specie, risente delle trasformazioni e delle nuove pratiche agricole, della meccanizzazione. I prati da sfalcio, tipico paesaggio alpino “da cartolina”, sono anche ricchi di specie oggi in declino. In passato lo abbiamo ricercato nei programmi di monitoraggio, quale specie minacciata. Questo ci ha dato un forte dettaglio conoscitivo su luoghi e trend di presenza. Si conferma in diminuzione su tutte le Alpi italiane. In casi come questo la conservazione passa solo dal dialogo fra le varie componenti sociali, qui gli agricoltori».



29 settembre 2013



il re di quaglie