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Discussione: L'emocromatosi nei Lori e gli eccessi di ferro

  1. #1
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    L'emocromatosi nei Lori e gli eccessi di ferro

    Qualche anno fa, mi sono imbattuto in diversi casi di emocromatosi con alcuni soggetti di lori allora in mio possesso e, nonostante sia riuscito - in modo del tutto fortuito - ad identificare la patologia prima del decesso dei soggetti, ho inevitabilmente perso una parte di animali ormai in stadio troppo avanzato per essere recuperata.
    Da allora, ho preso atto di come buona parte degli esperti del settore si trovasse del tutto all'oscuro dell'esistenza di questa patologia, seppur essa stia rappresentando una problematica di non poca rilevanza nell'allevamento in ambiente protetto di talune specie di lori e lorichetti.
    Con il fardello dell'esperienza trascorsa, trovo sia giusto pubblicare un semplice articolo su ciò che ritengo opportuno conoscere riguardo alla cosiddetta "Malattia del Ferro", per chiunque voglia avvicinarsi al vasto e stupendo mondo dei lori.

  2. #2
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    L'emocromatosi, o malattia da eccesso di ferro, è una patologia metabolica che provoca un consistente accumulo di tale elemento nei tessuti corporei. Purtroppo, per quanto concerne le specie aviarie, non sono ancora state concretizzate con successo le nozioni riguardanti cause, effetti e sintomi di simili disturbi, i quali - anche al giorno d'oggi - restano alquanto complessi da identificare.
    L'emocromatosi nei Lori rappresenta un problema potenzialmente letale, sotto alcuni aspetti ancora celato alla medicina aviaria moderna; tuttavia, in seguito alle ultime ricerche, si è più propensi ad individuare la causa scatenante nella combinazione di diversi fattori, tra cui la dieta, l'evoluzione e la genetica. Inutile sottolineare come questa patologia sia stata verificata unicamente in animali mantenuti in ambiente protetto, in particolar modo tra uccelli frugivori quali Maine, tucani e uccelli del paradiso, che risultano maggiormente predisposti all'accumulo sanguigno di ferro: come ovvio, nell'ambiente naturale gli esemplari usufruiscono di una nicchia ecologica costruita «ad hoc» per i fabbisogni specie-specifici e pertanto gli errori di mantenimento sistematici risultano ridotti ai minimi termini.
    I pappagalli inclusi nella sottofamiglia dei loriini, in quanto maggiori rappresentanti della dieta frugivora e nettarivora, sono esposti ad un alto tasso di vulnerabilità a questo disturbo: soprattutto negli ultimi tempi, sembrano essere aumentate le casistiche di ricoveri in ambulatori veterinari per accumulo di ferro.
    Non vi sono stati molti studi specifici condotti sull'emocromatosi aviaria e di conseguenza molto di ciò che comunemente si crede causa disordine e speculazione nei nostri allevamenti: buona parte delle informazioni relative alla malattia è aneddotica e, come tale, non fornisce sempre i dati appropriati per una discussione scientifica vera e propria.

    Il recupero degli individui è spesso complicato, in quanto l'emocromatosi è talvolta asintomatica fino a poco prima della morte. Quando evidente, i sintomi possono includere difficoltà respiratorie, liquido nelle sacche d'aria, paralisi locali e addome gonfio. La diagnosi effettiva è di solito eseguita nel corso di una necroscopia e, talvolta, i test di verifica possono essere condotti sul tessuto recuperato da una biopsia epatica, permettendo la compilazione di un quadro clinico specifico. Al contrario, radiografie e analisi del sangue su campioni viventi possono indicare disturbi del fegato interessato dall'accumulo di ferro, ma non diagnosticare con precisione la malattia stessa.
    Se l'emocromatosi viene individuata quando l'animale è ancora in vita, è possibile ricorrere ad alcuni trattamenti, i quali tuttavia non garantiscono una piena probabilità di riuscita: il più comune e praticato consiste nel salasso, ossia un prelievo di sangue pari al 1% del peso corporeo dell'esemplare su base regolare. Anche la chelazione può rappresentare una possibile terapia: al termine del processo, si auspica che il metallo perda la sua tossicità e possa così essere smaltito in modo più rapido; inoltre farmaci a base di Deferoxamina risultano adoperati sperimentalmente sugli uccelli, rivelando un successo limitato.



    Ma come ha origine questa malattia? Il ferro in eccesso, ossia la quantità non necessaria per creare l'emoglobina, viene immagazzinato in diversi organi, principalmente fegato e altri tessuti epatici: tali dosi di metallo vengono assunte tramite l'alimentazione, attraverso prodotti di origine sia vegetale che animale.
    Le piante immagazzinano ferro attraverso particolari polipeptidi, come le fitochelatine, che riducono l'effettivo assorbimento di metalli pesanti e permettono di trarne nutrimento, mantenendo contante l'omeostasi cellulare; nei cibi di origine animale, invece, il ferro è contenuto principalmente in alcune sezioni anatomiche, come ossa e sangue, i quali contengono una percentuale di metallo biodisponibile di gran lunga maggiore rispetto alla materia vegetale, peculiarità che ne rende più agevole la sintesi e l'immagazzinamento nei tessuti.
    Di conseguenza, le diete maggiormente ricche di proteine ​​animali saranno parimenti caratterizzate da un elevato contenuto di ferro, sicuramente in maniera più consistente rispetto ai programmi nutrizionali basati su vegetali.
    Ciò non deve lasciar dedurre che le proteine nobili vadano totalmente eluse dall'alimentazione dei nostri lori, e che una dieta completamente basata su vegetali sia esente da rischi di emocromatosi: alcuni frutti come mango, zucca, verdure a foglia verde carnosa, patate, uva, banane, fragole, kiwi, melone, ananas, papaya e agrumi presentano un contenuto di ferro superiore ad altri prodotti. In particolare, la dannosità di tali alimenti risiede nella quantità di vitamina C che sono in grado di apportare, che - come vedremo - possiede una notevole influenza sull'ossidazione del ferro, da Fe(2) a Fe(3).
    Difatti, l'acido ascorbico incide notevolmente sull'assorbimento dell'elemento, rilasciando e rendendo disponibile le quantità di metallo presenti nelle piante.
    Pertanto, sarà prudente per l'avicoltore coscienzioso limitare l'integrazione di tale vitamina nella dieta degli animali, atteso il fatto ormai assodato che tutti i pappagalli risultano in grado di autosintetizzarla.



    Nonostante l'alimentazione rientri tra i principali fattori capaci di innescare l'emocromatosi, essa può verificarsi anche in presenza di livelli di ferro nella dieta relativamente bassi. L'altro fattore decisamente influente risiede nella genetica del ceppo e nel percorso evolutivo che quest'ultimo ha compiuto: la predisposizione per il disturbo può essere ereditaria e trasmessa attraverso determinate linee di sangue ed, in tal senso, i Lori appartenenti al genere Chalcopsitta (duivenbodei, atra, scintillata e cardinalis) rivelano una maggiore sensibilità all'emocromatosi rispetto ad altre specie della famiglia. Tuttavia, alla luce di queste nozioni, resta pressoché impossibile poter risalire ai legami evolutivi che potrebbero replicare una simile delicatezza nei restanti Loriinae.
    La peculiarità deriva dal fatto che, nell'ambiente naturale caratteristico dei lori, gli alimenti ricchi di ferro risultano pressochè irreperibili e, per poter fronteggiare il problema, gli uccelli che vi dimorano hanno sviluppato una particolare capacità di elaborare e immagazzinare il ferro, massimizzando le ridotte quantità presenti nella dieta. Tenuti in cattività, questi uccelli vengono nutriti con un'alimentazione che, per quanto possa essere reputata povera di ferro, presenta un contenuto di metallo di gran lunga superiore a quello riscontrabile nella sistema nutrizionale selvatico originario: ciò comporta che i volatili inclini ad ammalarsi non possano presentare l'abilita fisiologica di regolare il metabolismo quando l'accumulo di ferro nei tessuti tende a risultare sovrabbondante, esponendosi - per l'appunto - agli effetti dell'emocromatosi.

    Il disturbo tende a comparire con maggior probabilità dopo il 5°-6° anno di vita, quando gli effetti di una dieta erronea, replicati per lunghi lassi di tempo, tendono ad accumularsi compromettendo la salute dell'animale; tuttavia, in caso di diete palesemente squilibrate, la problematica può essere rilevata anche in animali parecchio più giovani: in definitiva, l'emocromatosi si tratta di una malattia mortale che può richiedere mesi, anche anni, di incubazione per potersi aggravare a tal punto da provocare la morte.
    Il tasso di diffusione della patologia in ambiente captivo non risulta sufficientemente documentato, pertanto la mancanza di fonti scientifiche sottolinea l'importanza di eseguire una necroscopia completa su ogni lori deceduto: per tale ragione, la volontà di ogni ornicoltore nel contribuire ad approfondire la conoscenza scientifica sulla specie resta determinante.
    Ad esempio, un deposito di ferro - non necessariamente associato ad un caso di emocromatosi in stadio avanzato - può essere diagnosticato tramite una semplice macchia sul fegato: anche quando l'accumulo del metallo non sembra rappresentare la causa principale della morte, è importante effettuare l'istopatologia per determinare se il disturbo si sia sviluppato in maniera parzialmente letale nell'individuo.
    Solo attraverso questi test e la raccolta sistematica di informazioni risulterà possibile concretizzare un discreto livello di conoscenza sulla patologia, individuando corrette modalità di prevenzione.



    L'emocromatosi non può certo suscitare grande preoccupazione nel piccolo-medio proprietario privato; tuttavia il pericolo di accumulo di ferro dovrà essere mantenuto in grande considerazione da un collezionista o serio allevatore di Lori, anche in termini di elaborazione della dieta più appropriata per questi uccelli: mantenere la quantità totale di ferro alimentare al di sotto all'asticella di 70 ppm (parti per milione) può già rappresentare un ottimo deterrente contro simili disturbi.
    Ormai da alcuni anni, le aziende mangimistiche si sono attivate per commercializzare prodotti specifici per lori che rispondano ai requisiti ritenuti necessari dalle attuali conoscenze scientifiche: mentre il valore nutrizionale complessivo non è ancora stato valutato, si è riscontrato che il contenuto di ferro di nettari commerciali, polveri per l'allevamento a mano, estrusi e pastoni è sceso sotto i 100 ppm: il punto di forza di questi mangimi risiede nella quasi completa mancanza di ferro aggiunto, reso possibile tramite la verifica delle componenti analitiche col processo di fresatura.
    Tuttavia, come sappiamo, considerate le abissali differenze tra le esigenze nutrizionali di ciascun lori e preso atto della necessità di un'alimentazione fresca e variegata, non è sufficiente appellarsi unicamente ai prodotti commerciali: ecco quindi che occorre scegliere con attenzione quali tipologie di cibi conviene aggiungere alla dieta.
    Innanzi tutto occorre fornire giornalmente un vasto assortimento di vegetali freschi: ecco allora che dovremo preoccuparci di evitare la somministrazione delle tipologie di frutti e verdure precedentemente citate. Al loro posto, preferiremo altri alimenti, come mele, carote, pesche, prugne, ciliegie, pere, erbe prative, germogli e via discorrendo.
    Per quanto riguarda i legumi, anch'essi contengono una moderata quantità di ferro, nonostante il range di elemento presente possa essere considerato accettabile; oltretutto essi svolgono un ruolo primario durante l'allevamento dei piccoli, motivo per cui potranno essere somministrati pur moderando le dosi.
    Stesso ragionamento può considerarsi valido per le proteine animali e il cibo vivo.

    In conclusione, tengo a sottolineare la necessità di approfondire sempre più la ricerca scientifica su questi animali, al fine di realizzare la simulazione in ambiente protetto delle condizioni di vita ancestrali: occorre essere diligenti nel rispettare le caratteristiche etologiche della specie, in quanto il nostro contribuito potrà andare a costituire una linea guida fondamentale per il futuro del mondo dell'avicoltura, ormai privato di qualsiasi rifornimento genetico dalle popolazioni selvatiche.

    Saluti,
    Luca Marani.



    Il mio sito: allevamentomarani.jimdo.com

  3. #3
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    Molto interessante Luca, bellissime anche le foto.
    Per quali altre specie vi è un rischio consistente di emocromatosi?
    I tricoglossi possono ritenersi vulnerabili?
    Marco


  4. #4
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    Bene LUCA.. articolo molto esaudiente, certuni sottovalutano o addirittura neanche la conoscono questa patologia.
    Invece bisogna stare molto attenti - molti anni addietro ho subito danni, causa la mia ignoranza, somministrando la mela schiacciandola sulla rete della gabbia.... cosa che ho visto fare ancora....

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