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Discussione: La Gazza (Alamanno Capecchi)

  1. #1
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    La bandiera di marco cotti

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    La Gazza (Alamanno Capecchi)

    UN'articolo alla settimana

    La Gazza
    di Alamanno Capecchi


    Gazze "ladre", Gazze "nocive"; Gazze allevate allo stecco, domestiche, affezionate, simpatiche, turbolente, invadenti, insopportabili: tutte compagne della mia giovinezza. Fra i tanti ricordi le brevi storie di due "amicizie".

    Prima storia.
    Il sole, al tramonto, ravvivava il rosso e il giallo delle foglie ormai inutili e prossime a cadere e disegnava arabeschi sul sentiero del bosco. Camminavo immalinconito da antichi pensieri che quel luogo, come in un gioco ad incastri, mi riportava alla mente; episodi lontani vissuti con amici da tempo scomparsi e nel ricordo li compiangevo. Non mi rendevo conto di rimpiangere invece una parte di me che se n'era andata con loro. Un tentativo di esorcizzare l'angoscia per il vuoto che con il passare degli anni aumentava lasciandomi sempre più solo.
    All'improvviso un lungo ciuffo di penne, che sbucavano da un cespuglio ai margini del viottolo, attrasse la mia attenzione; mi avvicinai e vidi la proprietaria di quella coda che oscillava ritmicamente:



    era una Gazza completamente sviluppata ma ancora in abito giovanile. Un lungo squarcio sul petto, causato da una fucilata, aveva prodotto una forte emorragia togliendole completamente le forze; se ne stava lì immobile, con la testa reclinata e nascosta tra l'erba, ad attendere la morte.
    La raccolsi e la portai a casa. Non fu necessario tamponare la ferita perché si era formata un'abbondante crosta protettiva; le somministrai direttamente nel becco piccole quantità di acqua vitaminizzata e pezzetti di carne cruda, poi la lasciai riposare in un cestello di vimini. Il mattino seguente, quando la presi per nutrirla, mi guardò con occhi «cattivi» e tentò di beccarmi: stava recuperando le forze.
    Dopo alcuni giorni, ormai ristabilita, la trasferii in uno spazioso gabbione dove rimase per circa cinque mesi. Inizialmente forastica e aggressiva, divenne con il passare del tempo più calma e tollerante permettendomi qualche carezza sulla punta del becco.
    Alla fine di aprile, la caccia era chiusa da un pezzo, la liberai: gironzolò per circa un'ora intorno alla casa, spostandosi da un albero all'altro, poi scomparve, ma sul far della sera mi vide e con un volo dritto di un centinaio di metri si posò a terra vicino a me; mi seguì di pedina e rientrò tranquilla nel suo gabbione per trascorrervi la notte.
    Da allora non si allontanò più, anche se in seguito preferì dormire sugli alberi, e rimase in giar¬ino a giocare con il cane accorrendo sempre al mio richiamo. Aveva un curioso comportamento per chiedere il cibo quando non riusciva a trovarne a sufficienza nel prato o tra le aiuole: si posava sul davanzale della finestra di cucina e assestava grandi colpi con il becco nei vetri per richiamare la mia attenzione; appena mi vedeva spalancava la bocca e sbatteva le ali come i nidiacei facendo udire contemporaneamente un sonoro ghe-ghe¬ghe-ghe; poi afferrava il pezzo di carne che le davo e volava via.
    Una mattina un insistente rumore di spari mi ricordarono che la caccia era stata aperta, mi alzai e corsi a chiamarla: "cecca-cecca-cecca", nessuna risposta: era scomparsa. Non mi diedi per vinto e per tutta la mattinata la cercai insistentemente ma senza successo; intanto nei campi vicini i cacciatori continuavano a sparare.
    Nel pomeriggio, con poca convinzione, feci un ultimo tentativo spingendomi fino al limite di un pianoro, dal quale inizia una piccola valle divisa a metà da un filare di alberi. Fu dal folto di uno di questi che echeggiarono nell'aria alcuni suoni metallici e, immediatamente dopo, un uccello dalla lunga coda, bianco e nero, volò via verso le macchine dei cacciatori.
    Chiamai disperato: "cecca-¬cecca-cecca-cecca" e riuscii a farla tornare indietro e, pian piano, ad avvicinarla a casa; appena vide il gabbione vi entrò velocemente: erano mesi che non lo faceva. Si fermò sul posatoio e dalla lucentezza dello sguardo, dal becco semiaperto e dall'ansimare vidi che era estremamente tesa e impaurita.
    Poi si calmò e con la testa inclinata e l'occhio indagatore, cominciò a raccontarmi la sua brutta avventura con una serie indescrivibile di gridi. Chiusa la caccia, la liberai nuovamente, ma questa volta, dopo tre giorni, si allontanò per sempre.




    Seconda storia.
    Un pomeriggio,verso la fine di giugno del 2005, affacciato alla finestra del mio studio guardavo la campagna senza uno scopo preciso, breve parentesi in un noiosissimo lavoro che stavo facendo al computer. Fu allora che una Gazza nascosta tra i rami di un albero poco lontano volò verso di me, si posò un attimo sul davanzale, poi entrò nella stanza dando chiari segni di essere affamata.
    Da quel momento si instaurò un rapporto di “amicizia” durato, purtroppo, soltanto pochi mesi ma che mi diede la possibilità di interessanti osservazioni sul comportamento di questi intelligenti uccelli allevati dall’uomo.
    La prima cosa che notai furono il piumaggio in condizioni perfette,l’ottimo stato di salute e l’estrema domesticità, segno evidente che era stata prelevata dal nido poco dopo la schiusa e allevata nel migliore dei modi.
    Questa mia impressione fu confermata nel tempo, gli uomini erano per lei
    conspecifici: era un “uomo” e viveva tra gli uomini. Frequentava un “Circolo ricreativo” vicino a casa mia e in piena notte era ancora là a saltare sui tavoli, mentre le persone cenavano, o a posarsi sulle spalle dei ballerini tra le luci abbaglianti e il suono dell’orchestra. Non tutti sono ornitofili, non tutti hanno l’aureola di San Francesco.
    Una mattina la trovai vicino alla porta di casa con una gamba ferita e alcune penne della coda spezzate: sembrava chiedermi aiuto. Per evitare il peggio misi in atto alcuni accorgimenti per reinserirla in Natura. L’operazione non si presentava facile con una Gazza che si sentiva uomo, incapace di procurarsi il cibo e che aggrediva i conspecifici quando entravano in giardino. Con pazienza alternando quattro giorni, durante i quali la tenevo isolata in una soffitta, a un giorno di libertà, piano piano il suo comportamento cominciò a cambiare. Non frequentò più il “Circolo”, iniziò a cacciare Insetti e Lucertole e a passare la notte tra i rami di un vecchio Salice in giardino. Smisi allora di tenerla chiusa e le diedi completa libertà.
    L’ “amicizia” rimase: tutti i giorni veniva a trovarmi, bussava con il becco ai vetri della finestra e mi chiamava con quella sua voce forte e aspra; io mi avvicinavo l’accarezzavo sulla testa e sulle spalle, lei ricambiava con un pigolio sommesso, poi volava via. Un giorno mancò all’appuntamento e inutilmente la chiamai dalla finestra. D’allora non la vidi più. Non credo che, ora, ricuperata la sua vera natura, voli con i suoi simili, ho il sospetto sia stata uccisa. Si fidava ancora troppo degli uomini, posandosi sui balconi, sugli indumenti stesi ad asciugare al sole, entrando nelle case… e qualcuno, forse, ebbe paura dell’influenza aviaria. Misteriosa anche la sua comparsa. Nessuno in paese aveva una Gazza addomesticata. Molto probabilmente, per la stessa paura, il proprietario se ne liberò “lanciandola” dal finestrino di una automobile in transito: la strada è a pochi metri da casa mia.



    Alamanno Capecchi
    nato a Pontedera (PI) il 25 settembre 1927.
    Laureato in farmacia. Zoofilo. Ornitologo dilettante.
    Menbro della Società Italiana di Scienze Naturali (Milano)
    Rappresentante nazionale C.R.O. ( Commission de ricerche ornithologique) della C.O.M.

    Autore di circa trecento articoli pubblicati da riviste italiane ed estere (Avifauna, Uccelli, Italia Ornitologica, Atualidades Ornitologicas, O Paporrubio

  2. #2
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    Grazie come sempre per i suoi racconti, che ancora una volta hanno risvegliato in me bellissimi ricordi,nella mia infanzia per molti anni ho cresciuto gazze cornacchie e ghiandaie,sempre tenute libere,e sempre anche se affezionate,volate via nella primavera seguente.Sono animali intelligentissimi,il vicino rimaneva sbalordito perche cinque minuti prima che arrivasse il pulmino della scuola, venivano ad aspettarmi sulla strada, ognuna con il suo carattere,quando ho letto del bucato,mi sono ricordato di una cornacchia che appoggiandosi sul bucato steso, spesso lo imbrattava,un giorno mia madre trovatala sul fatto la schiaffeggio, da quel giorno dovette uscire con la borsetta sulla testa,visto che la cornacchia(checca 6 o 7 non ricordo bene,usavo sempre quel nome) le faceva delle picchiate sulla testa dall albero vicino.Sono state bellissime esperienze,ma i danni che causano tenendole in "casa"(piante, guarnizioni auto,oggetti di metallo comprese chiavi spariti ecc)sono perdonati solo ad un bambino.

  3. #3

    Un'altra storia, anzi due, bellissime...e che ci riappacificano con le gazze...sono tremende, astute, letali per i nostri amati uccellini...ma poi ne vedi una illuminata da un raggio di sole...come fai a non ammirarla?

  4. #4
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    Che bei racconti... mi è sempre piaciuto istaurare un rapporto del genere con una gazza...

    Grazie ancora!!!!!
    Fioravante Prontera - R.A.E 0017



  5. #5
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    Bello ed istruttivo.

    Belli ed istruttivi anche questi due racconti che al pari degli altri pubblicati fanno amare la natura ed i suoi piccoli esseri viventi anche a chi .. forse... in passato non li aveva considerati.

    Cordiali saluti.

    Sergio
    1--.1--.1--.1--.1--.1--.1--.1--.

  6. #6
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    ciao Alamanno e Marco

    Quote Originariamente inviata da marco cotti Visualizza il messaggio
    UN'articolo alla settimana

    La Gazza
    di Alamanno Capecchi


    Gazze "ladre", Gazze "nocive"; Gazze allevate allo stecco, domestiche, affezionate, simpatiche, turbolente, invadenti, insopportabili: tutte compagne della mia giovinezza. Fra i tanti ricordi le brevi storie di due "amicizie".

    Prima storia.
    Il sole, al tramonto, ravvivava il rosso e il giallo delle foglie ormai inutili e prossime a cadere e disegnava arabeschi sul sentiero del bosco. Camminavo immalinconito da antichi pensieri che quel luogo, come in un gioco ad incastri, mi riportava alla mente; episodi lontani vissuti con amici da tempo scomparsi e nel ricordo li compiangevo. Non mi rendevo conto di rimpiangere invece una parte di me che se n'era andata con loro. Un tentativo di esorcizzare l'angoscia per il vuoto che con il passare degli anni aumentava lasciandomi sempre più solo.
    All'improvviso un lungo ciuffo di penne, che sbucavano da un cespuglio ai margini del viottolo, attrasse la mia attenzione; mi avvicinai e vidi la proprietaria di quella coda che oscillava ritmicamente:



    era una Gazza completamente sviluppata ma ancora in abito giovanile. Un lungo squarcio sul petto, causato da una fucilata, aveva prodotto una forte emorragia togliendole completamente le forze; se ne stava lì immobile, con la testa reclinata e nascosta tra l'erba, ad attendere la morte.
    La raccolsi e la portai a casa. Non fu necessario tamponare la ferita perché si era formata un'abbondante crosta protettiva; le somministrai direttamente nel becco piccole quantità di acqua vitaminizzata e pezzetti di carne cruda, poi la lasciai riposare in un cestello di vimini. Il mattino seguente, quando la presi per nutrirla, mi guardò con occhi «cattivi» e tentò di beccarmi: stava recuperando le forze.
    Dopo alcuni giorni, ormai ristabilita, la trasferii in uno spazioso gabbione dove rimase per circa cinque mesi. Inizialmente forastica e aggressiva, divenne con il passare del tempo più calma e tollerante permettendomi qualche carezza sulla punta del becco.
    Alla fine di aprile, la caccia era chiusa da un pezzo, la liberai: gironzolò per circa un'ora intorno alla casa, spostandosi da un albero all'altro, poi scomparve, ma sul far della sera mi vide e con un volo dritto di un centinaio di metri si posò a terra vicino a me; mi seguì di pedina e rientrò tranquilla nel suo gabbione per trascorrervi la notte.
    Da allora non si allontanò più, anche se in seguito preferì dormire sugli alberi, e rimase in giar¬ino a giocare con il cane accorrendo sempre al mio richiamo. Aveva un curioso comportamento per chiedere il cibo quando non riusciva a trovarne a sufficienza nel prato o tra le aiuole: si posava sul davanzale della finestra di cucina e assestava grandi colpi con il becco nei vetri per richiamare la mia attenzione; appena mi vedeva spalancava la bocca e sbatteva le ali come i nidiacei facendo udire contemporaneamente un sonoro ghe-ghe¬ghe-ghe; poi afferrava il pezzo di carne che le davo e volava via.
    Una mattina un insistente rumore di spari mi ricordarono che la caccia era stata aperta, mi alzai e corsi a chiamarla: "cecca-cecca-cecca", nessuna risposta: era scomparsa. Non mi diedi per vinto e per tutta la mattinata la cercai insistentemente ma senza successo; intanto nei campi vicini i cacciatori continuavano a sparare.
    Nel pomeriggio, con poca convinzione, feci un ultimo tentativo spingendomi fino al limite di un pianoro, dal quale inizia una piccola valle divisa a metà da un filare di alberi. Fu dal folto di uno di questi che echeggiarono nell'aria alcuni suoni metallici e, immediatamente dopo, un uccello dalla lunga coda, bianco e nero, volò via verso le macchine dei cacciatori.
    Chiamai disperato: "cecca-¬cecca-cecca-cecca" e riuscii a farla tornare indietro e, pian piano, ad avvicinarla a casa; appena vide il gabbione vi entrò velocemente: erano mesi che non lo faceva. Si fermò sul posatoio e dalla lucentezza dello sguardo, dal becco semiaperto e dall'ansimare vidi che era estremamente tesa e impaurita.
    Poi si calmò e con la testa inclinata e l'occhio indagatore, cominciò a raccontarmi la sua brutta avventura con una serie indescrivibile di gridi. Chiusa la caccia, la liberai nuovamente, ma questa volta, dopo tre giorni, si allontanò per sempre.




    Seconda storia.
    Un pomeriggio,verso la fine di giugno del 2005, affacciato alla finestra del mio studio guardavo la campagna senza uno scopo preciso, breve parentesi in un noiosissimo lavoro che stavo facendo al computer. Fu allora che una Gazza nascosta tra i rami di un albero poco lontano volò verso di me, si posò un attimo sul davanzale, poi entrò nella stanza dando chiari segni di essere affamata.
    Da quel momento si instaurò un rapporto di “amicizia” durato, purtroppo, soltanto pochi mesi ma che mi diede la possibilità di interessanti osservazioni sul comportamento di questi intelligenti uccelli allevati dall’uomo.
    La prima cosa che notai furono il piumaggio in condizioni perfette,l’ottimo stato di salute e l’estrema domesticità, segno evidente che era stata prelevata dal nido poco dopo la schiusa e allevata nel migliore dei modi.
    Questa mia impressione fu confermata nel tempo, gli uomini erano per lei
    conspecifici: era un “uomo” e viveva tra gli uomini. Frequentava un “Circolo ricreativo” vicino a casa mia e in piena notte era ancora là a saltare sui tavoli, mentre le persone cenavano, o a posarsi sulle spalle dei ballerini tra le luci abbaglianti e il suono dell’orchestra. Non tutti sono ornitofili, non tutti hanno l’aureola di San Francesco.
    Una mattina la trovai vicino alla porta di casa con una gamba ferita e alcune penne della coda spezzate: sembrava chiedermi aiuto. Per evitare il peggio misi in atto alcuni accorgimenti per reinserirla in Natura. L’operazione non si presentava facile con una Gazza che si sentiva uomo, incapace di procurarsi il cibo e che aggrediva i conspecifici quando entravano in giardino. Con pazienza alternando quattro giorni, durante i quali la tenevo isolata in una soffitta, a un giorno di libertà, piano piano il suo comportamento cominciò a cambiare. Non frequentò più il “Circolo”, iniziò a cacciare Insetti e Lucertole e a passare la notte tra i rami di un vecchio Salice in giardino. Smisi allora di tenerla chiusa e le diedi completa libertà.
    L’ “amicizia” rimase: tutti i giorni veniva a trovarmi, bussava con il becco ai vetri della finestra e mi chiamava con quella sua voce forte e aspra; io mi avvicinavo l’accarezzavo sulla testa e sulle spalle, lei ricambiava con un pigolio sommesso, poi volava via. Un giorno mancò all’appuntamento e inutilmente la chiamai dalla finestra. D’allora non la vidi più. Non credo che, ora, ricuperata la sua vera natura, voli con i suoi simili, ho il sospetto sia stata uccisa. Si fidava ancora troppo degli uomini, posandosi sui balconi, sugli indumenti stesi ad asciugare al sole, entrando nelle case… e qualcuno, forse, ebbe paura dell’influenza aviaria. Misteriosa anche la sua comparsa. Nessuno in paese aveva una Gazza addomesticata. Molto probabilmente, per la stessa paura, il proprietario se ne liberò “lanciandola” dal finestrino di una automobile in transito: la strada è a pochi metri da casa mia.




    Alamanno Capecchi
    nato a Pontedera (PI) il 25 settembre 1927.
    Laureato in farmacia. Zoofilo. Ornitologo dilettante.
    Menbro della Società Italiana di Scienze Naturali (Milano)
    Rappresentante nazionale C.R.O. ( Commission de ricerche ornithologique) della C.O.M.

    Autore di circa trecento articoli pubblicati da riviste italiane ed estere (Avifauna, Uccelli, Italia Ornitologica, Atualidades Ornitologicas, O Paporrubio
    Da piccolo ho provato ad allevare gazze allo stecco, in quei nidi, ricordo il suo interno, un'infinita sorpresa.
    Si trovava di tutto, ma il massimo erano i filamenti argentati degli addobbi natalizi.

    Ma nel tempo, devo ammettere, che per colpa della loro natura, vedendole distruggere qualsiasi cosa incontravano nel loro cammino, oltre a brutte esperienze dirette in allevamenti all'aperto, sono diventate mie nemiche.
    Ma devo ammettere, che guardandole, ancora volteggia nella mia mente quel ....... quasi desiderio nascosto di..........
    Non importa cosa facciamo....
    è come lo facciamo che realmente conta.
    _______________________________________________
    GIANLUCA ANNIBALLI F.E.O.r.a.e 0009 - A.O.E r.n.a SV 370

  7. #7
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    X luca

    C e da dire che quando ero\eravamo piccoli,per vedere da vicino una gazza dovevi allevartela,oggi solo che ti affacci alla finestra....
    Io non le odio,ma anche se porto bellissimi ricordi su di esse,non si puo certamente lasciare che il loro numero cresca ancora,la gazza e bella furba simpatica,ma se ci rimane solo lei.......
    ::-°°-

  8. #8
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    ...storie indecifrabili x chi non ama la natura...

    ..anche questa una bellissima storia...purtroppo non a lieto fine.

    Stendendo un velo pietoso sui cacciatori..sui quali non soffermo i miei giudizi, raramente il nostro soccorso apporta benefici alla natura.

    Si stravolge l'equilibrio seppur questo, è stato messo in discussione dall'uomo stesso.

    ....ma quando scatta quel sentimento di protezione, quell'innato Amore x la natura che ci circonda, c'è poco da fare...cadono le nostre barriere...
    NESSUNA SCOPERTA REGALERA' MAI L'EBBREZZA DEL VOLARE......

  9. #9
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    Con i suoi due racconti Alamanno ci ha mostrato l'altro aspetto della gazza.
    Anche questa e' una lezione!
    La morale: stiamo attenti a giudicare solo guardando un lato della moneta!(questo vale prima di tutto per me che fino ad oggi avevo considerato le gazze delle pestifere e basta)
    La natura sotto certi aspetti e' di una violenza inaudita, (e la gazza sta dentro a questa logica) ma ha un suo ciclo ben preciso che le permette di continuare a vivere.
    Scusate, ho usato il presente ma dovevo usare il passato, perche' non e' piu' cosi.
    L'uomo nella ricerca del benessere (vero o presunto che sia) ha rotto l'equilibrio della catena biologica determinando la scomparsa di alcune speci (penso ai rapaci diurni e notturni) e l'aumento a dismisura di altre (gazze, ghiandaie etc.).
    Forse la gazza ha sempre fatto cio' che la natura le aveva imposto di fare, forse siamo stati noi che abbiamo fatto un po' di piu' di quello che avremmo dovuto fare!

  10. #10
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    ..gazze ladre....loro??

    La natura sotto certi aspetti e' di una violenza inaudita, (e la gazza sta dentro a questa logica) ma ha un suo ciclo ben preciso che le permette di continuare a vivere.
    ...concordo con te Daniele...

    Quando i cicli vengono stravolti x l'intervento inopportuno, è naturale che alcune specie debbano cautelarsi ed in questo l'unico fattore fondamentale che ne determina la sopravvivenza è il tempo.
    Le specie animali mutano le loro caratteristiche, i loro comportamenti le loro abitudini in relazione a questi repentini cambiamenti.
    Quelle che ci riescono nella maniera brillante...vengono definite specie "parassita"..in questo noi ne sappiamo qlcosa.(tra poco andremo ad inquinare pure gli altri pianeti..tanto la popolazione aumenta..)

    In un documentario ieri alla Rai si diceva che negli ultimi 150 anni, l'uomo ha fatto + disastro che negli ultimi 40 mila anni!...
    Oltre 400 specie estinte...senza parlare della deforestazione.

    Ritornando alla gazza....
    Negli ultimi anni il loro incremento è dato dall'astuzia di essersi velocemente adattate alle condizioni attuali.

    A me piace quest'uccello x i colori x la loro "invadenza".
    Più che gracchiare...sembrano ridacchiare di noi..di ciò che le circonda..

    ...un monito che spinge a riflettere..
    NESSUNA SCOPERTA REGALERA' MAI L'EBBREZZA DEL VOLARE......

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