UN'articolo alla settimana
La Gazza
di Alamanno Capecchi
Gazze "ladre", Gazze "nocive"; Gazze allevate allo stecco, domestiche, affezionate, simpatiche, turbolente, invadenti, insopportabili: tutte compagne della mia giovinezza. Fra i tanti ricordi le brevi storie di due "amicizie".
Prima storia.
Il sole, al tramonto, ravvivava il rosso e il giallo delle foglie ormai inutili e prossime a cadere e disegnava arabeschi sul sentiero del bosco. Camminavo immalinconito da antichi pensieri che quel luogo, come in un gioco ad incastri, mi riportava alla mente; episodi lontani vissuti con amici da tempo scomparsi e nel ricordo li compiangevo. Non mi rendevo conto di rimpiangere invece una parte di me che se n'era andata con loro. Un tentativo di esorcizzare l'angoscia per il vuoto che con il passare degli anni aumentava lasciandomi sempre più solo.
All'improvviso un lungo ciuffo di penne, che sbucavano da un cespuglio ai margini del viottolo, attrasse la mia attenzione; mi avvicinai e vidi la proprietaria di quella coda che oscillava ritmicamente:
era una Gazza completamente sviluppata ma ancora in abito giovanile. Un lungo squarcio sul petto, causato da una fucilata, aveva prodotto una forte emorragia togliendole completamente le forze; se ne stava lì immobile, con la testa reclinata e nascosta tra l'erba, ad attendere la morte.
La raccolsi e la portai a casa. Non fu necessario tamponare la ferita perché si era formata un'abbondante crosta protettiva; le somministrai direttamente nel becco piccole quantità di acqua vitaminizzata e pezzetti di carne cruda, poi la lasciai riposare in un cestello di vimini. Il mattino seguente, quando la presi per nutrirla, mi guardò con occhi «cattivi» e tentò di beccarmi: stava recuperando le forze.
Dopo alcuni giorni, ormai ristabilita, la trasferii in uno spazioso gabbione dove rimase per circa cinque mesi. Inizialmente forastica e aggressiva, divenne con il passare del tempo più calma e tollerante permettendomi qualche carezza sulla punta del becco.
Alla fine di aprile, la caccia era chiusa da un pezzo, la liberai: gironzolò per circa un'ora intorno alla casa, spostandosi da un albero all'altro, poi scomparve, ma sul far della sera mi vide e con un volo dritto di un centinaio di metri si posò a terra vicino a me; mi seguì di pedina e rientrò tranquilla nel suo gabbione per trascorrervi la notte.
Da allora non si allontanò più, anche se in seguito preferì dormire sugli alberi, e rimase in giar¬ino a giocare con il cane accorrendo sempre al mio richiamo. Aveva un curioso comportamento per chiedere il cibo quando non riusciva a trovarne a sufficienza nel prato o tra le aiuole: si posava sul davanzale della finestra di cucina e assestava grandi colpi con il becco nei vetri per richiamare la mia attenzione; appena mi vedeva spalancava la bocca e sbatteva le ali come i nidiacei facendo udire contemporaneamente un sonoro
ghe-ghe¬ghe-ghe; poi afferrava il pezzo di carne che le davo e volava via.
Una mattina un insistente rumore di spari mi ricordarono che la caccia era stata aperta, mi alzai e corsi a chiamarla: "cecca-cecca-cecca", nessuna risposta: era scomparsa. Non mi diedi per vinto e per tutta la mattinata la cercai insistentemente ma senza successo; intanto nei campi vicini i cacciatori continuavano a sparare.
Nel pomeriggio, con poca convinzione, feci un ultimo tentativo spingendomi fino al limite di un pianoro, dal quale inizia una piccola valle divisa a metà da un filare di alberi. Fu dal folto di uno di questi che echeggiarono nell'aria alcuni suoni metallici e, immediatamente dopo, un uccello dalla lunga coda, bianco e nero, volò via verso le macchine dei cacciatori.
Chiamai disperato: "cecca-¬cecca-cecca-cecca" e riuscii a farla tornare indietro e, pian piano, ad avvicinarla a casa; appena vide il gabbione vi entrò velocemente: erano mesi che non lo faceva. Si fermò sul posatoio e dalla lucentezza dello sguardo, dal becco semiaperto e dall'ansimare vidi che era estremamente tesa e impaurita.
Poi si calmò e con la testa inclinata e l'occhio indagatore, cominciò a raccontarmi la sua brutta avventura con una serie indescrivibile di gridi. Chiusa la caccia, la liberai nuovamente, ma questa volta, dopo tre giorni, si allontanò per sempre.
Seconda storia.
Un pomeriggio,verso la fine di giugno del 2005, affacciato alla finestra del mio studio guardavo la campagna senza uno scopo preciso, breve parentesi in un noiosissimo lavoro che stavo facendo al computer. Fu allora che una Gazza nascosta tra i rami di un albero poco lontano volò verso di me, si posò un attimo sul davanzale, poi entrò nella stanza dando chiari segni di essere affamata.
Da quel momento si instaurò un rapporto di “amicizia” durato, purtroppo, soltanto pochi mesi ma che mi diede la possibilità di interessanti osservazioni sul comportamento di questi intelligenti uccelli allevati dall’uomo.
La prima cosa che notai furono il piumaggio in condizioni perfette,l’ottimo stato di salute e l’estrema domesticità, segno evidente che era stata prelevata dal nido poco dopo la schiusa e allevata nel migliore dei modi.
Questa mia impressione fu confermata nel tempo, gli uomini erano per lei
conspecifici: era un “uomo” e viveva tra gli uomini. Frequentava un “Circolo ricreativo” vicino a casa mia e in piena notte era ancora là a saltare sui tavoli, mentre le persone cenavano, o a posarsi sulle spalle dei ballerini tra le luci abbaglianti e il suono dell’orchestra. Non tutti sono ornitofili, non tutti hanno l’aureola di San Francesco.
Una mattina la trovai vicino alla porta di casa con una gamba ferita e alcune penne della coda spezzate: sembrava chiedermi aiuto. Per evitare il peggio misi in atto alcuni accorgimenti per reinserirla in Natura. L’operazione non si presentava facile con una Gazza che si sentiva uomo, incapace di procurarsi il cibo e che aggrediva i conspecifici quando entravano in giardino. Con pazienza alternando quattro giorni, durante i quali la tenevo isolata in una soffitta, a un giorno di libertà, piano piano il suo comportamento cominciò a cambiare. Non frequentò più il “Circolo”, iniziò a cacciare Insetti e Lucertole e a passare la notte tra i rami di un vecchio Salice in giardino. Smisi allora di tenerla chiusa e le diedi completa libertà.
L’ “amicizia” rimase: tutti i giorni veniva a trovarmi, bussava con il becco ai vetri della finestra e mi chiamava con quella sua voce forte e aspra; io mi avvicinavo l’accarezzavo sulla testa e sulle spalle, lei ricambiava con un pigolio sommesso, poi volava via. Un giorno mancò all’appuntamento e inutilmente la chiamai dalla finestra. D’allora non la vidi più. Non credo che, ora, ricuperata la sua vera natura, voli con i suoi simili, ho il sospetto sia stata uccisa. Si fidava ancora troppo degli uomini, posandosi sui balconi, sugli indumenti stesi ad asciugare al sole, entrando nelle case… e qualcuno, forse, ebbe paura dell’influenza aviaria. Misteriosa anche la sua comparsa. Nessuno in paese aveva una Gazza addomesticata. Molto probabilmente, per la stessa paura, il proprietario se ne liberò “lanciandola” dal finestrino di una automobile in transito: la strada è a pochi metri da casa mia.
Alamanno Capecchi
nato a Pontedera (PI) il 25 settembre 1927.
Laureato in farmacia. Zoofilo. Ornitologo dilettante.
Menbro della Società Italiana di Scienze Naturali (Milano)
Rappresentante nazionale C.R.O. ( Commission de ricerche ornithologique) della C.O.M.
Autore di circa trecento articoli pubblicati da riviste italiane ed estere (Avifauna, Uccelli, Italia Ornitologica, Atualidades Ornitologicas, O Paporrubio