Il Diamante di Gould : esperienze e considerazioni
Scrivere su questo astrildide australiano, per uno come me che non è un vero allevatore, potrebbe essere pericoloso; correrei il rischio di fare un discorso ovvio, banale e quindi ripetitivo e inutile.
Di questo " importante " uccellino si sono occupati, più o meno estesamente, la quasi 'totalità degli autori di libri di ornitologia e di ornitofilia attualmente in commercio.
Da anni all'estero e in questa ultima decade anche in Italia, ornicoltori validi, per teoria e per pratica, allevano in modo razionale, secondo i moderni sistemi zootecnici, ottenendo risultati positivi. Per questo, proprio perché non ho le basi né l'esperienza per affrontare l'argomento dal punto di vista dello " specializzato "; desidero focalizzarlo da un'altra angolazione che mi sta particolarmente a cuore.
Come ho già detto non mi sono mai considerato un allevatore nel senso esatto della parola, ma piuttosto un osservatore del comportamento degli uccelli in cattività ai quali ho cercato, nei limiti del possibile, di approntare habitat simili a quelli originali, o almeno accettabili.
Uno pseudoetologo dilettante teso a conservare negli animali allevati quelle caratteristiche naturali e istintive che li rendano il più possibile simili ai conspecifici che vivono in natura.
Prima di addentrarmi a parlare delle mie esperienze con questa specie e delle possibili timide considerazioni, desidero sottolineare che il mio discorso, per ovvie ragioni, non può né deve essere generalizzato.
Lo scopo di queste note è quello di evidenziare i lati negativi di un certo tipo di allevamento che, per lucro, viene spinto alle estreme conseguenze e che per alcune specie, come nel caso del Gould, rende estremamente difficile ricreare ceppi rustici e naturali, dato che ai grossi problemi di acclimatazione se ne aggiungono altri prodotti dall'uomo che in molti casi ne ha affievolito gli istinti o indebolito le resistenze organiche.
Il mio contatto diretto con questa specie risale a più di venti anni fa. Inizialmente acqustai solo maschi che tenevo in gabbie da salotto, o liberi come piccoli animali da compagnia.
Dal 1970 pensai alla riproduzione per fissare ceppi rustici e autosufficienti.
Avevo notato che il Diamante di Gould con quei suoi colori incredibili polarizzava l'attenzione degli adulti e dei bambini. Più volte avevo sorpreso, con gli occhi resi più grandi dallo stupore, dei bambini con la testa rivolta all'insù a guardare la grande gabbia nella quale tenevo questi arcobaleni alati, resi più belli dalla luce dorata del sole prossimo al tramonto.
Il Diamante di Gould pensai "vende" bene la passione per l'ornitofilia. Se riuscissi ad allevarne anche pochi ma rustici potrei regalarli a qualche piccolo amico indirizzandolo verso un passatempo positivo. Da qui nacque il mio tentativo e anche se i risultati non furono brillanti credo valga la pena di esporli.
Prima però di parlare del comportamento del Gould in riproduzione desidero descriverlo come " singolo " anche per sottolineare, nell'arco di questi venti anni, le differenze che ho notato tra i primi, credo provenienti dall'Olanda se non proprio dall'Australia, i successivi " giapponesi " e gli ultimi " italiani ".
Nella seconda metà degli anni cinquanta, per motivi di lavoro, abitavo per lunghi periodi a Siena. Vi era a quei tempi, non so se vi sia ancora, in piazza del Campo, una uccelleria tenuta da un simpatico e appassionato ornitofilo con il quale, approfittando del fatto che la strada che percorrevo a piedi dall'albergo all'ospedale costeggiava la piazza, mi fermavo spesso a fare quattro chiacchiere.
Fu in quel negozio che per la prima volta vidi i Diamanti di Gould. Si trattava di una magnifica coppia a testa nera alloggiata in una elegante gabbia, come se ne vedevano allora, di lucente ottone cromato e vetri parasporco, che faceva bella mostra di se dall'alto di un trespolo posto in un angolo accanto alla vetrina. In un primo momento il negoziante, sembrò disposto a cedermela, successivamente ci ripensò e non se ne fece nulla.
Se veniva in possesso di qualche uccellino che a lui piaceva particolarmente, l'ornitofilo aveva il sopravvento sul rivenditore e difficilmente era disposto a disfarsene. Mi era già successo con un Diamante rosso e con una coppia di Diamanti variopinti.
Trascorsero così alcuni mesi in quel loro angolo della bottega: poi non li vidi più. Agli inizi della primavera ricomparvero, povere spoglie impagliate, sulla parte più alta di uno scaffale. Non avevano resistito ai rigori della cattiva stagione.
Negli anni successivi, in tempi diversi, acquistai alcuni maschi a testa rossa,
per il semplice diletto di possedere uccellini così piacevolmente colorati. Erano tempi nei quali questo Diamante era poco comune da noi. Sebbene nel “Giornale degli Uccelli” (febbraio 1955) il dr. Martinat lo segnali insieme a poche altre specie esotiche riproducibili in gabbia, il dr. Orlando nel suo libro « Uccelli esotici » edito nel 1959 ne parla con scarsa esperienza diretta e dice che chi riuscisse a presentare a una mostra le tre varietà: testa nera, rossa e gialla potrebbe essere considerato collezionista provetto e fortunato. Infine, ancora «Giornale degli uccelli » (ottobre 1960) lo riporta tra le «offerte di uccelli rari».
Non so, come ho già detto, se i Diamanti di Gould dei quali venni in possesso, alla fine degli anni cinquanta provenissero dall'Australia o dagli allevamenti olandesi, ma ricordo che erano di buona taglia, abbastanza robusti, " intelligenti ", vigili ma non forastici e facilmente adattabili ad ambienti diversi.
Si trovavano nei listini di pochi importatori solo nei mesi di luglio e di agosto. Poiché si trattava quasi sempre di soggetti singoli, dopo un primo periodo di gabbia, li tenevo liberi.
Di questi Diamanti di Gould ho un ricordo bellissimo. Si dimostrarono in massima parte facilmente addomesticabili e simpatici animali da compagnia.
Per quel loro aspetto così elegante utilizzai accessori e una cornice adatta. Un cestino d’argento e cristallo faceva da supporto a due piccoli recipienti, pure di cristallo, per l'acqua e i grani. Un rametto con base serviva da posatoio. E loro se ne stavano ore, piccoli soprammobili colorati, fermi sul minuscolo trespolo posato sul ripiano di marmo di un caminetto tra ninnoli antichi e cornici dorate di vecchie fotografie color seppia, sbiadite dal tempo.
A tratti, quasi a voler dimostrare che erano vivi, facevano alcuni voli per la stanza o scendevano a mangiare per poi ritornare al loro abituale posatoio.
Ed era divertente vedere l'espressione buffa di qualche ignaro ospite che, convinto si trattasse di un uccellino imbalsamato, allungava una mano per esaminarlo meglio e subito quello volava via lasciandolo con un palmo di naso. I più docili si erano così bene abituati al posatoio che si facevano trasportare da un punto all'altro della stanza senza muoversi, oppure dopo un breve volo, vi ritornavano, sebbene lo tenessi ancora tra le mani. Superarono tutti bene anche gli inverni benché la temperatura delle stanze, dove li tenevo abitualmente, fosse decisamente bassa.
Ebbi problemi invece durante la muta e qualche soggetto non sopravvisse a quel periodo particolarmente difficile.
Poi, per alcuni anni, assorbito dall'attività professionale, dimenticai i Gould. Mi capitò di vederli, qualche volta,in un negozio di Firenze, ma in così cattivo stato di salute da non invogliarmi certo all'acquisto.
Sul finire dell'estate del 1970 ritirai, da un amico importatore, quattordici Diamanti a testa rossa, tra maschi e femmine, e una coppia a testa gialla, tutti in condizioni veramente disastrose. Mi chiese una cifra irrisoria, venticinquemila lire, e li presi volentieri. Mi disse che provenivano dal Giappone e denunciavano chiaramente tutte le pecche dei peggiori allevamenti intensivi.
Di taglia ridotta, erano “tonti e ottusi”. Liberati in una stanza, o rimanevano a terra impauriti e immobili, o volavano in linea retta sbattendo contro le pareti per ricadere ansimanti al suolo. Alcuni avevano anche gravi disturbi respiratori, digestivi e nervosi con, stertore, feci gialle e movimenti scoordinati della testa, del collo e delle ali. Una parte morì nelgiro di pochi giorni o alla muta. Tra gli altri selezionai i sette migliori: quattro femmine, due maschi a testa rossa e il testa gialla. A questi aggiunsi un maschio a testa nera che ritirai da un ornicoltore della zona che iniziava le cove in autunno e impiegava come balie i soliti Passeri del
Giappone.
Ai primi di settembre del 1971 misi i nidi alle quattro coppie e servendomi dei Passeri del Giappone, allevai un buon numero di nati. Dall'anno successivo con dieci coppie, sempre con dieci, provenienti dal solito ceppo nel quale qualche volta introdussi soggetti di un altro allevamento non autonomo, tentai la riproduzione senza le balie. Della esperienza di quegl’anni posso sintetizzare una serie di osservazioni che ritengo abbastanza indicative per chi desiderasse dedicarsi a questi uccellini per
puro diletto.
I Diamanti di Gould sono, tra le specie riproducibili in cattività, quelli che presentano maggiori difficoltà ad assuefarsi a condizioni climatiche dissimili dall’originarie.
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