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Discussione: Le invasioni biologiche

  1. #1
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    Le invasioni biologiche

    Le invasioni biologiche, cioè l’espansione provocata dall’uomo di specie animali o vegetali al di fuori del loro areale di presenza naturale, rappresentano attualmente una tra le principali minacce alla biodiversità, seconda solo alla distruzione degli habitat (IUCN 2000, Mack et al. 2000).

    Per molti milioni di anni, le barriere ecologiche costituite da oceani, montagne, fiumi e deserti hanno costituito un elemento fondamentale dei processi biologici.
    L’isolamento ha reso possibile la creazione di un ampio mosaico di ecosistemi all’interno dei quali le specie si sono differenziate
    seguendo percorsi evolutivi distinti. La colonizzazione di nuove aree geografiche da parte degli organismi animali e vegetali è avvenuta attraverso processi generalmente lenti di dispersione naturale e questo fenomeno ha rappresentato uno dei motori dell’evoluzione.

    Tuttavia, a partire dall’inizio dell’Olocene - ma con un’intensità crescente nel corso degli ultimi cinque secoli - l’azione dell’uomo ha profondamente alterato tali processi naturali, sia attraverso il trasporto involontario di piante ed animali (come nel caso dei ratti e di molti invertebrati), sia per la diffusione accidentale o intenzionale di specie allevate o trasportate per gli scopi più vari (Mack etal. 2000, McNeely in prep.).

    Per fortuna, dell’enorme numero di specie che oggi giungono in nuovi contesti ambientali la gran parte è destinata a non insediarsi stabilmente per fattori sia di tipo demografico (per es. per l’arrivo di un numero troppo basso di individui), sia ecologico (motivi climatici, fenomeni di competizione o predazione determinati da specie autoctone, ecc.). Anchequando l’insediamento avviene, può non determinare alterazioni apprezzabili degli ecosistemi naturali. Una regola empirica indica che su dieci specie
    alloctone introdotte, solo una in media si insedia in natura, e che su dieci specie che si insediano, solo una determina successivamente impatti negativi sulla biodiversità o sulle attività dell’uomo: su cento specie alloctone che giungono in un paese, quindi, solo una è destinata a diventare invasiva (Williamson 1996).

    Nel caso degli Stati Uniti si stima che su 4.500 specie animali e vegetali alloctone circa il 20% provochi danni ecologici o economici, mentre le altre si siano inserite senza problemi apparenti (Pimentel et al. in prep.).

    La cause che possono determinare l’esplosione demografica delle specie introdotte, con conseguente impatto sugli ecostistemi, sono da ricercarsi nelle differenze ecologiche tra l’area di origine e le aree di nuovo insediamento; in queste ultime vengono infatti a mancare importanti fattori limitanti, quali la presenza di competitori o di predatori. Numerosi sono gli esempi
    di invasioni biologiche che hanno provocato cambiamenti nelle relazioni all’interno delle comunità naturali, con una conseguente alterazione dei processi evolutivi, e che hanno determinato profondi effetti sulle popolazioni autoctone e l’estinzione totale di alcune specie (Honegger 1981, Ebenhard, 1988, cfr. Atkinson 1989 e 1996, Case et al. 1998, Mack et al. 2000).

    A tale riguardo si stima che il 20% dei Vertebrati considerati in pericolo di estinzione nel mondo sia minacciato da specie alloctone introdotte dall’uomo; tale percentuale sale al 31% nelle isole, dove l’impatto delle introduzioni è particolarmente grave (Ruesink et al. 1995, Cox 1999).

    L’introduzione di specie alloctone invasive comporta quindi il rischio della perdita di un elevato numero di specie, con una conseguente progressiva omogeneizzazione delle biocenosi e l’alterazione profonda degli ecosistemi (Mack et al. 2000).

    Oltre ad enormi effetti ecologici, l’introduzione di specie esotiche può determinare anche un consistente impatto di carattere economico (McNeely in prep.). Negli Stati Uniti si stima che le specie alloctone provochino perdite superiori a 138 miliardi di dollari ogni anno (Pimentel et al. in prep.).

    L’accresciuta intensità degli scambi commerciali derivante dalla globalizzazione dell’economia, nonché il costante sviluppo dei trasporti e degli spostamenti dell’uomo stanno determinando una crescita esponenziale delle invasioni biologiche, per cui si può ritenere che questa già grave minaccia sia destinata ad assumere in futuro dimensioni ancor più preoccupanti.
    Arginare questo problema rappresenta una delle priorità di conservazione riconosciute a livello internazionale (si vedano ad esempio le raccomandazioni contenute nella Convenzione sulla Biodiversità, nella Convenzione di Berna e le linee guida pubblicate dall’IUCN nel 2000).

    A fronte di tali raccomandazioni va sottolineato come una politica di prevenzione e controllo delle invasioni biologiche richieda un approccio olistico (Mack et al. 2000) che miri:

    - a ridurre il rischio di nuove introduzioni, attraverso un controllo delle
    fonti nei paesi d’origine, del trasporto e dell’importazione;

    - ad adeguare il quadro normativo in modo che vengano contemplate efficaci
    misure di prevenzione e repressione delle introduzioni non autorizzate e
    programmi di controllo ed eradicazione;

    - a pianificare e a realizzare programmi di eradicazione e/o di controllo delle
    popolazioni o dei nuclei di specie alloctone presenti in natura;

    - a sensibilizzare l’opinione pubblica circa i rischi rappresentati dall’intro- duzione di specie alloctone.


    Parallelamente risulta prioritario avviare un’attenta analisi del fenomeno, che presenta ancora alcuni aspetti oscuri: i vettori delle introduzioni, le caratteristiche ecologiche che determinano la trasformazione di una specie alloctona in invasiva, le leggi che regolano l’espansione cronologica e geografica di tali specie sono noti solo in parte e attualmente non si è ancora in grado di predire quali siano le situazioni in cui una specie possa diventare invasiva (Ebenhard 1988, Mack et al. 2000). Analogamente, non si sono ancora comprese appieno le cause che determinano la durata dell’intervallo temporale esistente tra l’introduzione di un taxon e la sua successiva espansione (Williamson 1996).

    L’inadeguata comprensione dei meccanismi che sono alla base delle invasioni biologiche non deve tuttavia indurre a limitare gli sforzi volti a fronteggiare tale minaccia; al contrario, deve essere adottato un approccio cautelativo che può essere sintetizzato nella regola secondo la quale tutte le specie alloctone devono essere considerate “colpevoli fino a che non si prova
    la loro innocenza” (Ruesink et al. 1995).

    Nel caso dei Vertebrati esiste una sola eccezione a questa regola generale, rappresentata dalle specie alloctone a rischio di estinzione nel proprio areale di origine. All’estero in più occasioni sono state effettuate immissioni di specie minacciate in aree poste al di fuori dell’areale originario, allo scopo di aumentarne le probabilità di sopravvivenza (cfr. IUCN 1987, Towns et al.
    1997). In Italia risulta emblematico il caso di un Passeriforme appartenente al genere Paradoxornis, presente con una popolazione apparentemente naturalizzata nella Riserva Naturale della Palude Brabbia (Varese: Botoet al. 1999). Tale Passeriforme non sembra appartenere ad alcuna entità tassonomica fino ad ora descritta e non è impossibile che si tratti di un
    taxon non ancora conosciuto, del quale al momento non sono noti né la distribuzione, né lo status delle popolazioni naturali. Effettuare l’eradicazione del nucleo insediatosi in Italia senza prima aver chiarito l’entità e lo stato di conservazione dei contingenti presenti allo stato naturale appare una scelta rischiosa, dal momento che le popolazioni naturali potrebbero risultare
    estinte o fortemente minacciate.


    DEFINIZIONI



    Specie autoctona (o indigena): specie naturalmente presente in una determinata area nella quale si è originata o è giunta senza l’intervento diretto (intenzionale o accidentale) dell’uomo.

    Specie alloctona (o esotica): specie che non appartiene alla fauna originaria di una determinata area, ma che vi è giunta per l’intervento diretto (intenzionale o accidentale) dell’uomo.

    Specie naturalizzata: specie alloctona per una determinata area ove è rappresentata da una o più popolazioni che si autosostengono.

    Specie acclimatata: specie alloctona per una determinata area ove è rappresentata da uno o più nuclei non naturalizzati.
    Specie invasiva: specie naturalizzata che determina un impatto rilevante sulle biocenosi.

    Introduzione: trasferimento e rilascio (intenzionale o accidentale) di una entità faunistica in un’area posta al di fuori del suo areale di documentata presenza naturale in tempi storici. Nelle introduzioni devono essere comprese anche le immissioni di taxa che, pur appartenendo alla fauna originaria di una determinata area, acquisiscono in seguito all’intervento di immissione uno status fenologico diverso da quello originario (per esempio introduzione di ceppi sedentari di taxa naturalmente presenti solo come migratori o svernanti).

    Controllo: insieme di azioni condotte allo scopo di diminuire la consistenza delle popolazioni di una specie per limitarne l’impatto sugli ecosistemi o sulle attività antropiche, o per impedirne la diffusione su aree più vaste. Per quest’ultimo caso a livello internazionale è stato proposto il termine di contenimento.

    Eradicazione: completa e permanente rimozione di una specie da un’area geografica, realizzata attraverso una campagna condotta in un tempo definito.


    CAUSE DI INTRODUZIONE

    I motivi per cui diversi taxa di Mammiferi e Uccelli sono stati introdotti in varie parti del mondo sono molteplici (per una sintesi relativa ai soli Uccelli si veda Lever 1996). In Italia la presenza di specie esotiche in natura può essere ricondotta essenzialmente a tre fattori principali: introduzioni accidentali (per es. Ratto delle chiaviche Rattus norvegicus), introduzioni operate proprio al fine di ottenere popolazioni naturalizzate (per es. Cigno reale Cignus olor, Fagiano comune Phasianus colchicus), fuga di specie
    importate per il mantenimento in cattività (per es. Nutria Myocastor coypus).

    Relativamente a quest’ultimo caso, alcune specie sono state introdotte in Italia allo scopo di creare allevamenti per la produzione di pellicce (oltre alla Nutria, anche il Visone americano Mustela vison e l’Ondatra Ondatra zibethicus) o di carne (come l’Anatra muta Cairina moschata). Altre sono state importate a fini ornamentali o amatoriali (è il caso, ad esempio, delTamia Tamias sibiricus e del Parrocchetto dal collare Psittacula krameri) e quindi rilasciate volontariamente in natura o sfuggite accidentalmente allacattività.

    A questo proposito va sottolineato come la diffusa presenza di specie detenute a scopo amatoriale o per finalità commerciali determini quasi iinevitabilmente episodi di introduzioni, intenzionali o accidentali. Analogo rischio è da segnalare per le specie esotiche usate in falconeria.

    Tra i taxa importati per essere rilasciati in natura è molto frequente il caso di specie introdotte a fini venatori (per es. Silvilago Sylvilagus floridanus, Colino della Virgina Colinus virginianus, Fagiano comune). In questo caso gli animali vengono immessi intenzionalmente in natura, talvolta con il rilascio di ingenti quantitativi di soggetti, con l’obiettivo di consentire un prelievo pressoché immediato oppure di creare popolazioni naturalizzate sulle quali operare un prelievo in una fase successiva. Talora si tratta di taxa strettamente affini a specie autoctone, per cui si può determinare il rischio di un inquinamento genetico delle popolazioni locali; si consideri a tal riguardo la facilità con cui avviene l’ibridazione tra la Coturnice orientale Alectoris chukar e la Pernice rossa A. rufa o la Coturnice A. graeca, entrambe autoctone per l’Italia.

    Un’ulteriore categoria di specie alloctone, infine, è quella costituita da taxa introdotti in origine in aree esterne ai confini italiani ed in seguito giunte autonomamente all’interno del nostro Paese (introduzione secondaria); ne sono un esempio il Cane procione Nyctereutes procyonoides e numerosi Uccelli migratori, quali il Fenicottero cileno Phoenicopterus chilensis. L’introduzione secondaria è spesso particolarmente pericolosa, perché legata a specie che già hanno evidenziato capacità di insediamento in
    natura e di successiva espansione dell’areale.
    Marco Cotti FEO 0004





    http://digilander.libero.it/cocoricoland/index.htm

    http://tarantamyblog.blogspot.com/

    Dove tuona un fatto, siatene certi, ha lampeggiato un'idea.
    Ippolito Nievo

  2. #2
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    Molto interessante;grazie Marco!!
    Si potrebbero avere i riferimenti da cui sono state tratte queste indicazioni??Libri o convegni internazionali??

    Ciaoo!!!
    LA LIBERTA' DI FARE QUELLO CHE DICE IL CUORE,SENZA IMPEDIMENTI O COSTRIZIONI E' UNA DELLE PRIORITA' DELLA VITA.


    R.A.E. 0018 / A.O.E. SV 615

  3. #3
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    grazie, per me è utilissimo, mi sono appena iscritto a biologia


    AOETRURIA RAE 0083

  4. #4
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    e questo passeriforme sconosciuto che si è insediato nell'oasi di Varese che aspetto ha? si può vedere una foto?

  5. #5
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    Ciao Pierre, ti metto un link in cui si parla di questa specie: http://www.ebnitalia.it/qb/QB001/paradoxornis.htm
    Leo



    Uccello in gabbia, o canta per amore, o canta per rabbia...

  6. #6
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    sono d' accordo: siamo sicuramente di fronte ad un veloce processo di globalizzazione naturale a causa dell' uomo. Specie come il ratto nero diffuse ormai in tutto il mondo hanno seriamente messo alla prova la fauna autoctona, specialmente, appunto, gli uccelli, per la sua voracità nel mangiare le loro uova, per esempio. Tutte le specie di psittaciformi del genere Vini e il kakapo, sono state sterminate proprio in questo modo

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