Esperienza personale
Da un mio articolo, in parte modificato, scritto molti anni fa per “Avifauna”.
Osservazioni e considerazioni su un caso di nidificazione di Coda d'aceto Estrilda caerulescens)
Quante volte, nel passato, questa ormai cronica passione per l'ornitologia mi ha spinto a soffermarmi, anche durante la cattiva stagione, davanti ai negozi dei rivenditori di uccelli per osservarne l'interno attraverso le vetrine. Quante volte ho ammirato nelle grandi gabbie allineate sui trespoli immagini ormai consuete.
I " civettuoli” Becchi di corallo dagli occhi truccati di rosso; gli eleganti Cordonblu; i Guancia arancio, piccoli e scodinzolanti pagliacci; i vispi Ventre arancio, così minuscoli e sempre in movimento, e gli appariscenti Amaranto maschi.
Tutti, o quasi, con le loro penne a posto e in buone condizioni di salute.
Tra questi, qualche volta, dei poveri irascibili esserini, agitati e miseramente spiumati: i Coda d'aceto.
Quel loro aspetto così miserando non invogliava certo all'acquisto. Quando con il passare dei giorni mi soffermavo a guardarli provavo un senso di pena, apparivano sempre più nudi e con le ali cadenti e tremanti, alla continua ricerca di qualcosa che non potevano trovare. Poi non li vedevo più.
Molti anni fa ne acquistai uno in perfetta forma. Eravamo, mi sembra, verso la fine di settembre. Lo tenevo libero nello studio: al posto della gabbia un cestino addobbato con fiori e foglie finte, un piccolo nido di vimini e due vaschette per il cibo e l’acqua. Si era affezionato così tanto al cestino che se lo prendevo per il manico e lentamente uscivo dalla stanza, vi volava sopra entrando nel nido.
Si mantenne sempre in ottime condizioni di piumaggio; poi una mattina, sul finire dell'anno, lo trovai morto all’interno del nido.
Quasi tutti i libri di ornitocoltura, reperibili in lingua italiana, trattano il Coda d’aceto.
Tutti più o meno concordano sulle difficoltà di acclimatazione e di mantenimento legate alla delicatezza propria della specie, alla particolare alimentazione e al bisogno di ampi spazi. Discordi sono invece i pareri sulle possibilità di riproduzione in cattività, una volta superati gli altri ostacoli.
Sono abbastanza pessimisti Eoli, G. Mandahl - Barth, M.G. Peyrot-Maddalena, Orlando, Cristina e Menasse.
Di parere diverso, Bechtel che testualmente dice: «In cattività nidifica sicuramente se la voliera ha una fitta vegetazione ».
D'altra parte non c'è appassionato di ornitologia pratica che non conosca per esperienza le profonde differenze che spesso si riscontrano nelle caratteristiche e nel comportamento di alcune specie allevate direttamente se confrontate con quelle riportate per le stesse, nelle descrizioni di testi anche autorevoli.
Senza prendere in considerazione le gabbie, vere e proprie prigioni, anche disponendo di ampie voliere ricche di verde, queste sono chiaramente dissimili tra loro per forma, vegetazione, microclima e tutte con un habitat
profondamente diverso da quello dove vivono gli uccelli da noi allevati.
E' logico che in un ambiente così diverso da quello originale, per condizioni atmosferiche, vegetazione, alimentazione e materiali per i nidi, giochino un ruolo determinante la resistenza fisica e le capacità di adattamento dei singoli individui.
I libri di ornitocoltura che sono l'espressione delle proprie e delle altrui esperienze non possono che risentire di questo stato di cose.
Per questo descriverò dettagliatamente un caso di nidificazione di Coda d’aceto: per aggiungere una pietruzza al grande mosaico.
Nel febbraio del 1979 acquistai, insieme ad altri piccoli estrildidi, quattro Coda d'aceto, gli unici che aveva il rivenditore, tutti ben impiumati e in buona salute; due per me e due per un amico. I miei due li misi in una gabbia, neppure tanto grande, con altri sei piccoli ospiti; una coppia di Cordon blu, una di Becchi di corallo e una di Amaranto.
Li alloggiai in una stanza non riscaldata e somministrai un vitto spartano; un miscuglio per esotici del quale mangiavano solo il panico, sostanze calcaree e saltuariamente alcune gocce di un polivitaminico nell' acqua. All'inizio della buona stagione fornii anche semini immaturi di erbe prative. Apparentemente non risentirono di questa alimentazione priva d'insetti. Liberati, alla fine della primavera insieme a molti altri uccellini, in una grande stanza a tetto, con il soffitto rustico in laterizio e travicelli, rivelarono, però, subito la loro preferenza per il cibo vivo.
In continuazione ispezionavano travi e travicelli, appesi a questi con l’abilità dei Paridi, o, attaccati alla parete con l'abilità di un Picchio muraiolo, cercavano tra le crepe del legno e l’asperità dell'intonaco grezzo, minuscoli animalucci.
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segue...