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Discussione: Indagine su colonie di pappagalli in libertà in Italia

  1. #171
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    No Leo è proprio un altro albero, la foto inganna. Sono alberi che si spogliano in inverno e rimangono i rami carichi dei grappoli con i frutti. Sono anche ghiotti delle ghiande dei lecci e sono la dannazione di chi ha alberi da frutto, in questo periodo hanno ripulito tutti i frutti dei loto
    Ultima modifica di maurizio44; 01-03-12 a 23: 22
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  2. #172
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    Hai ragione, ho guardato meglio (dietro si vede il fusto di una palma ed i frutti si somigliano), ma non ho idea di che pianta sia. Comunque questi uccelli stanno dimostrando di essere veramente molto adattabili e di sapersi adeguare alle nuove risorse alimentari delle nostre zone (che spesso però sono simili a quelle da cui provengono, molte delle piante di cui si nutrono, come appunto il loto o la magnolia, sono originari dell'Asia). Temo che ormai questo pappagallo vada annoverato tra le specie europee...
    Leo



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  3. #173
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    Ne sono convinto anch'io. Mi domando quale sarà l'impatto sull'ambiente e le altre specie di uccelli visto che vanno colonizzando sempre più ambienti senza una ben specifica preferenza. Sono dell'idea che anche loro contribuiranno alla sparizione di alcune varietà perchè in grdo di scacciare dai buchi tutti quegli uccelli che vi nidificano, ma anche predare i nidi dei piccoli fringillidi che li costruiscono sui rami.
    Maurizio - RNA FOI 223C

  4. #174
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    Quote Originariamente inviata da Pantaleo Rodà Visualizza il messaggio
    Hai ragione, ho guardato meglio (dietro si vede il fusto di una palma ed i frutti si somigliano), ma non ho idea di che pianta sia. Comunque questi uccelli stanno dimostrando di essere veramente molto adattabili e di sapersi adeguare alle nuove risorse alimentari delle nostre zone (che spesso però sono simili a quelle da cui provengono, molte delle piante di cui si nutrono, come appunto il loto o la magnolia, sono originari dell'Asia). Temo che ormai questo pappagallo vada annoverato tra le specie europee...
    La pianta in questione è l'albero del rosario
    Carlo
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  5. #175
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    Un saluto a tutti,

    Vi chiedo quale sia la situazione delle colonie di pappagalli in Sicilia. Per quanto ne sappia, la colonia di Parrochetto del collare nel centro di Palermo (Orto Botanico), dalle ultime notizie di stampa (Repubblica 2011), sta estendendo il suo areale. Si tratta una una valutazione (quella mia), sulla base del numero di segnalazioni dei cittadini e degli organi d'informazione locale. Queste segnalazioni, pertanto, non offrono alcun contributo oggettivo al censimento statistico. Palermo, ha molto verde in città, con la presenza di molte piante ed alberi esotici. Dunque, tutto ciò lascia pensare che la specie possa diffondersi esponenzialmente.
    Non si hanno notizie recenti sul Parrocchetto Monaco. Un discorso a parte va per i Calopsite. Che io sappia non ci sono censimenti recenti ufficiali, ma per mia diretta esperienza, posso confermare che i Calopsite, non so in quale numero, ma in Sicilia, ci sono. Un Calopsite, si è avvicinanto (per poi fuggire), a quelli che io detengo in voliera. Dunque, la colonia di S. Venerina è aumentata nel numero, oppure, nel mio caso, si sia trattato di una presenza occasionale?
    L'unica informazione con certezza che posso darvi è la seguente: il Dipartimento di Biologia animale di Palermo ha inserito da tempo sia i Monaci sia quelli dal Collare quali specie stanziali.

    Spero che possiate darmi nuove informazioni

    Saluti

  6. #176
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    Quote Originariamente inviata da Quiko Visualizza il messaggio
    La pianta in questione è l'albero del rosario
    Grazie dell'informazione Carlo. L'ho trovato, si tratta della Melia azedarach, detto appunto albero del rosario, e guardacaso è nativo anch'esso dell'India...
    Leo



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  7. #177
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    E poi ci si meraviglia se ci sono tanti pappagalli.......ahahahahah
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  8. #178
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    Quote Originariamente inviata da Pantaleo Rodà Visualizza il messaggio
    Grazie dell'informazione Carlo. L'ho trovato, si tratta della Melia azedarach, detto appunto albero del rosario, e guardacaso è nativo anch'esso dell'India...
    Non conoscevo questa pianta.

    Molto interessante questo passaggio che ho trovato su Wikipedia:

    "Tutte le parti della pianta sono velenose per l'uomo se ingerite. I principi tossici sono potenti neurotossine: il tetranortriterpene e la saponina, presenti in concentrazione maggiore nei frutti. Alcuni uccelli possono cibarsi dei frutti senza riceverne danno, diffondendo i semi con i propri escrementi, ma una dose di 0,66 g di frutta per chilogrammo può uccidere un mammifero adulto."
    Ciao, Roberto

    (allevo parrocchetti australiani)


  9. #179
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    le calopsite di santa Venerina (Sicilia)

    Un comprensorio dal paesaggio incantevole, protetto da un parco naturale che chiunque si trovi in Sicilia non può mancare di visitare. Il territorio del Parco dell'Etna, che si estende dalla vetta del vulcano sino alla cintura superiore dei paesi etnei, è stato diviso in quattro zone a diverso grado di protezione: zone A, B, C e D. Nella zona "A", 19.000 ettari, quasi tutti di proprietà pubblica, non ci sono insediamenti umani. E' l'area dei grandi spazi incontaminati, regno dei grandi rapaci tra cui l'aquila reale. La zona "B", 26.000 ettari, è formata in parte da piccoli appezzamenti agricoli privati ed è contrassegnata da splendidi esempi di antiche case contadine, frugali ricoveri per animali, palmenti, austere case padronali, segno di una antica presenza umana che continua tutt'ora. Oltre alle zone di Parco A e B, c'è un'area di pre-parco nelle zone "C" e "D": 14.000 ettari, per consentire anche eventuali insediamenti turistici sempre nel rispetto della salvaguardia del paesaggio e della natura. Circa un secolo e mezzo fa il Galvagni, descrivendo la fauna dell’ Etna, raccontava della presenza di animali ormai scomparsi e divenuti per noi mitici: lupi, cinghiali, daini e caprioli. Ma l'apertura di nuove strade rotabili, il disboscamento selvaggio e l'esercizio della caccia hanno portato all'estinzione di questi grandi mammiferi e continuano a minacciare la vita delle altre specie. Nonostante ciò sul vulcano vivono ancora l'istrice, la volpe, il gatto selvatico, la Martora, il coniglio, la lepre e, fra gli animali più piccoli, la donnola, il riccio, il ghiro, il guercino e varie specie di topi e pipistrelli. Moltissimi sono gli uccelli ed in particolare i rapaci che testimoniano dell'esistenza di ampi spazi incontaminati: tra i rapaci diurni troviamo lo sparviero, la poiana, il gheppio, il falco pellegrino e l'aquila reale; tra i notturni il barbagianni, l'assiolo, le allocco, il gufo comune. Aironi, anatre ed altri uccelli acquatici si possono osservare nel lago Gurrida, unica distesa d'acqua dell'area montana etnea. Nelle zone boscose è possibile intravedere la ghiandaia, il colombo selvatico e la coturnice e la beccaccia, che si mischiano ad una miriade di uccelli canori quali le silvie, le cince, il cuculo e tanti altri, mentre sulle distese laviche alle quote più alte il culbianco ci sorprende con i suoi voli rapidi ed irregolari. Tra le diverse specie di serpenti, che con il ramarro e la lucertola popolano il sottobosco, l'unica pericolosa è la vipera la cui presenza, negli ultimi anni, è aumentata a causa della distruzione dei suoi predatori. Infine, ma non per questo meno importante, vi è il fantastico, multiforme universo degli insetti e degli altri artropodi: farfalle, grilli, cavallette, cicale, api, ragni ecc. con il loro fondamentale e insostituibile ruolo negli equilibri ecologici.


    l'Etna da Santa venerina

    Ma la cosa più spettacolare, è che nel territorio di Santa Venerina, in zona Passopomo nella proprietà di un privato (circa tre ettari di terreno), da alcuni anni si è creata una colonia di Calopsitta (Nymphicus Hollandicus). La straordinaria colonia, che attualmente conta una quindicina di esemplari, è formata da uccelli inselvatichiti di tipo Cinnamon, ancestrale e perlato.

    Gli uccelli generalmente, sono stati avvistati in zona e pernottare sopra un grande Carrubo secolare e sono ormai stanziali. Un paio di anni fa, da uno degli uccelli ritrovato morto, si risalì al proprietario il quale dichiarò che il pennuto era fuggito dalla sua custodia mesi prima. Dall’esame autoptico, si vide che era in buona salute, (era morto a causa dell’aggressione di qualche predatore, probabilmente una Poiana), ben nutrito e nel suo stomaco vennero rinvenute sementi varie, tra cui frumento. L’ipotesi più accreditata, fa credere che diversi pennuti fuggiti da chissà dove (l’unico volatile inanellato era quello rinvenuto morto) e che si siano ambientati, abbiano dato vita alla colonia….. La straordinarietà dell’ evento è ancora maggiore se teniamo conto della fauna della zona: Corvidi (gazze, cornacchie grigie) Falconiformi e Strigidi nonché Gatti selvatici che chiaramente non sono altro che predatori nei confronti dei pappagalli in questione. Come questi volatili esotici si siano potuti adattare a questo habitat così ostile per loro, rimane un mistero. Ma se consideriamo che nel Mediterraneo ad esempio, ormai da anni esistono dei Barracuda o dei Pesci Balestra del Mar Rosso (anche se il motivo è diverso, per via delle vicinanze con le Coste dell’Africa e dell’alterazione della temperatura delle acque), la cosa potrebbe anche non stupire più di tanto..

    Di cosa si siano nutriti? Frutta e verdura (pere, mele, albicocche sono coltivati stabilmente), inoltre miglio, frumento e avena non mancano in zona. Naturalmente queste sono solo ipotesi, non sono stati condotti studi scientifici e approfonditi sull’argomento.



    Le transazioni tra selvaggio e urbano avvengono all'interno della cornice spaziale di quello che gli ecologi chiamano un «ecotono»: una zona di transizione tra comunità biologiche i cui confini possono essere relativamente bruschi, oppure graduali (come tra animali domestici, inselvatichiti e selvatici). Per di più, la scienza ha riconosciuto da tempo uno speciale «effetto limite» negli ecotoni: una maggior diversità quanto a specie risultante da «una interconnessione delle specie, alcune delle quali sono i membri più tolleranti delle comunità adiacenti e altre che sono specie limite tipiche dello stesso ecotono». Per dirla in altri termini, l'ecotono selvaggio-urbano può essere considerato un ecosistema vero e proprio, per quanto più dinamico, meno lineare e più instabile delle sue comunità costituenti. Una caratteristica importante è il rimaneggiamento, talvolta stravagante, delle catene alimentari e dei rapporti predatore-preda. In altre parole, la vita selvatica diventa sempre più urbana nei suoi modelli base di sussistenza, mentre intanto le specie domestiche s'inselvatichiscono…. Un esempio a caso: Nei deserti industriali di Los Angeles sud, branchi di cani selvaggi minacciano la vita dei bambini, e nella ricca Los Angeles ovest i pappagalli fuggiti, proliferati in numerose colonie selvatiche, sorprendono i passanti con le loro chiacchiere insolenti. Le piante ornamentali evase, come l'indistruttibile arundo, sono diventate erbacce da Apocalisse che soppiantano la flora indigena a un ritmo sempre più sostenuto…. Quindi è meglio concepire «selvaggio» e «urbano» come qualità o processi variabili piuttosto che come scatole dai confini precisi, un'idea questa che ben si adatta alla crescente predilezione degli studi ambientalisti per «wild», selvatico, in quanto concetto più ricco e dialettico di «wilderness», regione selvaggia e incolta. (citazione Giangiacomo Feltrinelli)

    Pur tuttavia, quello descritto, rimane comunque un evento insolito, che ovviamente, va contro la natura della Calopsitta come di qualsiasi altro pappagallo o animale che sia al di fuori del suo habitat naturale.

    Rimane pur sempre un evento straordinario ed in questa ottica va riconosciuto. Il mio quindi, vuole essere un modestissimo contributo di mera informazione, e quindi senza la presunzione “scientifica” di valutazione e di studio del fenomeno, ma quello di un semplice appassionato.

    Falco di palude

  10. #180
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    Quote Originariamente inviata da Roberto Giani Visualizza il messaggio
    Non conoscevo questa pianta.

    Molto interessante questo passaggio che ho trovato su Wikipedia:

    "Tutte le parti della pianta sono velenose per l'uomo se ingerite. I principi tossici sono potenti neurotossine: il tetranortriterpene e la saponina, presenti in concentrazione maggiore nei frutti. Alcuni uccelli possono cibarsi dei frutti senza riceverne danno, diffondendo i semi con i propri escrementi, ma una dose di 0,66 g di frutta per chilogrammo può uccidere un mammifero adulto."
    Roberto, quello che hai letto su questa pianta vale per moltissime altre specie, i cui frutti sono tossici per i mammiferi, ma assolutamente innocui ed anzi apprezzati dagli uccelli (vedi ad esempio il nostro agrifoglio); questa situazione è "voluta" dalle piante, in quanto gli uccelli sono i loro principali disseminatori (ingoiano i frutti ed espellono i semi con le feci, portandoli lontano): se i frutti fossero commestibili anche per i mammiferi, i semi verrebbero digeriti anch'essi, poichè in questi animali i succhi gastrici sono in genere più potenti ed il cibo si sofferma di più nello stomaco...
    Ultima modifica di Pantaleo Rodà; 15-04-12 a 23: 06
    Leo



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