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Discussione: Al tempo che Berta filava. A.Capecchi

  1. #1
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    Al tempo che Berta filava. A.Capecchi

    Al tempo che Berta filava
    Alamanno Capecchi.

    Premessa indispensabile
    Anche questo è un articolo datato con tutti i suoi limiti,scritto molti anni fa, ed ha il solo scopo di ricordare che se è impegnativo fare bene il proprio mestiere è pericoloso e controproducente fare il mestiere degli altri.



    Le malattie infettive, per le conseguenze spesso gravi che determinano e per la facilità con la quale possono diffondersi nell'allevamento, rappresentano, forse, la maggiore preoccupazione per gli ornitocoltori
    Lo studio su basi scientifiche delle malattie dei piccoli uccelli da gabbia, salvo poche eccezioni, è stato affrontato in modo razionale soltanto in questi ultimi anni.



    La patologia aviaria del settore ha avuto in passato pochissimi ricercatori qualificati.
    Fino agli inizi degli anni '50 i clienti dei veterinari erano quasi esclusivamente contadini e barrocciai e il loro valore professionale veniva valutato sulla capacità di curare efficaciemente “bestie vaccine” e cavalli e di risolvere con perizia i problemi legati ai parti difficili.
    Ricordo uno di questi veterinari vecchio stampo che, se una massaia si azzardava a chiedere una cura per qualche pollastro in non buone condizioni di salute, rispondeva invariabilmente:”Mettilo in pentola!".

    Un altro che abitava in una villetta accanto a quella di un giovane collega, quando suonavano alla sua porta e vedeva una persona con un gatto o un cane, senza nemmeno darle la possibilità di parlare e indicando la casa vicina diceva: "Mio collega, mio collega!"

    Figuriamoci gli uccellini; quella era roba da barzellette per il "Corriere dei Piccoli": la sala d'aspetto, seduti sulle sedie chi con un cane, chi con un gatto e l'immancabile bambina con sulle ginocchia la gabbia del Canarino.

    I libri sui Canarini riportavano strane malattie come il "colera o coccidiosi" curato con acido cloridrico o solfato di ferro nell'acqua da bere; il "sudore" dove venivano prescritti lavaggi del ventre con acqua e sale e bagni di sole; "l'asma", raccomandati salnitro o zucchero d'orzo sciolti nel beverino; il "catarro" curato con inalazioni di acido fenico, creolina o catrame e così via.
    Le cure per gli uccellini erano le stesse da secoli.

    Alcuni esempi a confronto.

    Valli 1601 "Per le posteme della testa piglierete un ferro della grossezza dell'occhio del detto uccello ammalato, o poco meno con infuocarlo e con detto ferro si percuoterà quel loco e se sarà acquoso si sciugarà bene e se sarà a similitudine di gesso, sarà medemamente consumato, ungendolo con sapon nero liquido, over'olio, e cenere calda".

    Ghidini 1953 "...oppure cauterizzando con un bottoncino di ferro arroventato l'ascesso quando sia ben maturo: poi si unge la piaga con sapone nero mescolato con olio, oppure con olio e cenere calda".

    Valli 1601 "L'infermità tisica si conoscerà al petto, che sarà molto secco, piglierete seme di mellone e zucchero pisto, sarà posto nel beveratoro con acqua e acciccarli la canapuccia la metterete con seme di mellone trito avanti e a qualsivoglia sorte d'uccelli; che si darà, farà servitio".


    Ghidini 1953 "Porre nell'acqua zucchero candito. dare semi di melone pesti, sugo di bietola..."


    Valli 1601 "L'uccelli sogliano patir di non poter’ evacuar. Si piglierà una penna ongendola d'olio commune e ponendola nel sesso due volte il giorno per doi giorni continui, sarà libero".

    Ghidini 1953 "Introdurre nell'ano l'estremità più grossa di una piuma sottilissima intrisa d'olio, ripetendo due volte al giorno l'operazione".

    Valli 1601 "Sogliono alle volte arrocchire, si piglierà genzole, fichi, regolitia pista, e facendoli bollire tutti insieme per spatio d'un quarto di hora...".

    Ghidini 1953 "Somministrare acqua un po' riscaldata, miele, sugo di liquirizia puro, decozione di fichi".

    Oggi,come detto, le cose sono cambiate ma l'utilizzazione ottimale dei nuovi rimedi, oltre che a ragion veduta, dovrebbe essere fatta con metodo e rigore scientifico; regole giuste in teoria, ma frequentemente difficili da applicare nella pratica.

    Allora è più comodo agire in modo empirico convinti che la ciambella riesca con il buco, come avvenuto all'amico afflitto da un problema ritenuto uguale, o come in una precedente esperienza risolta con quel particolare antibiotico.
    Conosco un allevatore che, saputo di un collega che è riuscito a guarire un Canarino "impallato" che "batteva il becco" con un'iniezione di penicilina G ritardata e diidrostreptomicina, l'ha usata su due suoi soggetti nelle medesime condizioni: sono guariti e ora è convinto di aver trovato il farmaco infallibile per tutte le malattie respiratorie.



    Un altro ornitocoltore mi ha assicurato che da due anni, da quando usa contemporaneamente a piene dosi nelle precove per: "pulirli" e a metà dose durante tutto il periodo riproduttivo, due farmaci in polvere che insieme contengono due sulfamidici, un nitrofurano, una tetraciclina e un macrolide, ha avuto una percentuale irrisoria di decessi (alleva alcune centinaia di Canarini).
    Un altro ancora dorme sonni tranquilli perché pensa che quell'antibiotico ad azione auxinica, usato abitualmente, risolva il problema dei ceppi batterici resistenti consentendogli di utilizzare in caso di necessità antibiotici "blandi".






    Ci sarebbe da cantare vittoria se non esistesse il rovescio della medaglia.

    In un caso il farmaco fa miracoli, in un altro è acqua fresca, in un altro ancora le morti sono più numerose tra gli uccelli "curati" che tra i non trattati. Può capitare che quella meravigliosa "precova" che aveva così ben funzionato in precedenza a un certo momento invece di prevenire sembri avere un effetto contrario. Le cause degli insuccessi o dei risultati opposti sono abbastanza prevedibili. Sintomatologie simili possono essere determinate da microrganismi completamente differenti e sensibili a farmaci diversi.

    Il microrganismo causa della stessa malattia può appartenere a un ceppo “normale” e quindi sensibile all'antibiotico ritenuto efficace, oppure a un ceppo resistente sul quale non ha alcuna azione.

    Poiché nel processo di risanamento di un soggetto ammalato la parte più importante spetta alle difese dell'organismo, un farmaco errato può diventare non soltanto inutile ma nocivo e causare più decessi che nei soggetti non trattati.
    Nessuna meraviglia se una "profilassi" a pettine fitto con cinque chemioterapici e antibiotici associati, a lungo andare determini danni nel delicatissimo equilibrio dell'ecosistema microbico creando le condizioni ottimali perché un patogeno allo stato latente si riproduca o un patogeno occasionale divenga responsabile di una malattia.

    Infine se la nota azione che alcuni farmaci hanno sui microrganismi portatori di “Fattori R” fosse facilmente utilizzabile nella pratica, sarebbe da tempo impiegata in medicina per arginare la resistenza batterica ormai dilagante.

    Per chiudere riporto la cronaca di due casi che dovrebbero far riflettere.

    Una grave forma di isosporosi.

    L'infestazione si propagò nell'allevamento veicolata da un Diamante quadricolore Erythrura prasina





    portatore (come fu chiaramente appurato) e apparentemente in perfetta forma. La prima vittima fu un Granatino violaceo Uraeginthus ianthinogaster, morto il 12 dicembre 1984 dopo alcuni giorni di torpore, senza sintomi di particolare significato.
    Trascorsa una settimana una femmina di Granatino Uraeginthus granatina,






    alloggiata nella stessa gabbia del Granatino violaceo e posta sotto a quella del Diamante quadricolore e quindi facilmente soggetta a riceverne le deiezioni, cominciò a manifestare incoordinazione dei movimenti e incapacità al volo.
    Constatato che la malattia, insensibile agli antibiotici a largo spettro, si propagava lentamente ma inesorabilmente dall'alto in basso alle altre gabbie della batteria, il 15 gennaio furono effettuare le opportune analisi degli escrementi sacrificando anche la Granatina ormai agonizzante: evidenziate numerosissime oocisti del genere Isospora.
    Instaurata immediatamente una terapia a cicli con una associazione di sulfachinossalina e diaveridina, secondo le indicazioni del laboratorio veterinario, questa isosporosi si dimostrò incurabile in una Specie e facilmente soggetta a recidive nelle altre.

    Ecco in sintesi il resoconto del processo morboso.


    Astrildi Testa Azzurra Uraeginthus cyanocephala -






    Le prime manifestazioni comparvero a carico del sistema nervoso con tremore e grave incoordinazione dei movimenti quando i soggetti erano ancora bene in carne e con le piume aderenti e lucide.
    Questi sintomi si attenuarono, ma solo temporaneamente, con la somministrazione di forti dosi di vitamina B1; in seguito furono notate gocce di sangue vivo nelle feci non diarroiche.
    L'appetito aumentò notevolmente: più la malattia si aggravava più i piccoli ammalati mangiavano, quasi di continuo, semi e larve di Tenebrio molitor. Nonostante ciò, il dimagrimento fu lento ma inarrestabile e gli uccelli morirono dopo poche settimane in stato cachettico.
    Per questa Specie il coccidiostatico prescritto si rivelò inefficace, anche quando la cura iniziò prima della comparsa della sintomatologia. Su sette soggetti (tre maschi e quattro femmine) si salvò un solo maschio con le proprie forze, perché superò la malattia prima che venisse diagnosticata.

    Cordon Blu Uraeginthus bengalus (tre coppie) -






    Il sintomo più appariscente fu una grave diarrea mista a copioso sangue vivo. Nessun decesso.

    Amaranto Lagonosticta senegala (cinque coppie) -





    Anche in questo caso l'unico sintomo fu a carico dell'apparato digerente con feci voluminose color rosa; saltuariamente gocce di sangue vivo sul fondo della gabbia. Nessun decesso.

    Nei Padda Padda oryzivora, nei Cappuccini Testa Nera Lonchura malacca atricapilla e nei Passeri del Giappone la sintomatologia si limitò a modica diarrea e ad aspetto sofferente dei soggetti colpiti.

    Nessun disturbo apparente nei Papi della Luisiana Passerina ciris, nei Ventre Arancio Amandava subflava, Guance Arancio Estrilda melpoda, Astri Ali Gialle Pytilia hipogrammica e Astri Aurora Pytilia phoenicoptera.
    Soltanto in una femmina di quest'ultima Specie alloggiata nella gabbia infermiera per problemi di muta, dopo aver superato brillantemente la fase critica, comparvero abbondante diarrea bianca e grave astenia; l’analisi miscopica delle feci mise in evidenza numerose oocisti. Una tempestiva ripresa della terapia dette esito positivo.


    Nota.

    Le oocisti, non è una novità, si rivelarono resistenti ai comuni disinfettanti utilizzati in ornitocoltura.
    La malattia si propagò in un ambiente con un'altissima umidità relativa, circa il 90%, e con temperature comprese tra i 4 e i 10 gradi centigradi.
    La specie di Isospora in causa, non esattamente identificata, si rivelò pericolosa soprattutto per i generi Uraeginthus e Lagonosticta.
    Un portatore apparentemente sano può costituire un pericolo anche molto tempo dopo la quarantena rispettata alla lettera: il Diamante Quadricolore, causa dell'infestazione, rimase per più di tre mesi in un'altra stanza prima di essere unito agli altri uccelli.
    I postumi più la malattia si manifestò in modo grave, più risultarono assenti o di poco conto. Infatti mentre il maschio Astrilde Testa Azzurra, unico sopravvissuto della sua specie, si accoppiò in voliera con una femmina di Cordon Blu portando all'indipendenza, in due nidi, cinque pulli e gli Amaranti si riprodussero regolarmente, numerosissime furono le uova non schiuse e alta la percentuale dei decessi avvenuti pochi giorni dopo la nascita nei nidi dei Padda, dei Cappuccini Testa Nera e dei Passeri del Giappone. Non furono raccolti elementi per collegare con sicurezza causa-effetti.


    Un caso di pseudomoniasi.

    Nell'agosto del 1982, un amico allevatore mi riferì con apprensione che i suoi canarini morivano di una "strana malattia".
    I sintomi erano sempre gli stessi. Inizialmente gli ammalati presentavano congiuntivite limitata ad un occhio mentre le condizioni generali (aspetto, vivacità, appetito) apparivano normali. Dopo qualche giorno si manifestavano disturbi respiratori gravi che portavano inevitabilmente a morte i soggetti colpiti.
    L'impiego di pomate oftalmiche a base di antibiotici e la somministrazione di ampicillina, tetraciclina e tilosina non soltanto non avevano dato alcun risultato ma sembravano accellerare il decesso. Sapevo che questo allevatore era solito ricorrere all'impiego frequente di antibiotici come "profilattici" nel periodo riproduttivo e ebbi un sospetto.
    Consigliai di non perdere altro tempo con cure a casaccio e di ricorrere al più presto all'Istituto Zooprofilattico di zona: cosa che egli fece.
    Dopo pochi giorni giunse la risposta che confermò il mio sospetto: "...è stato isolato un ceppo di P. aeruginosa che all'antibiogramma è risultato resistente a tutti i comuni antibiotici...".

    __________________________________________________ _____________


    Alamanno Capecchi

  2. #2
    Paride
    Guest

    Caro professore Alamanno, come ha ragione !!!
    Molti di noi, forti delle esperienze dirette ed indirette, all' insorgere del malore dei nostri piumosi
    ci sostituiamo ai vet ma il più delle volte (per non dire tutte) li condanniamo a morte certa.
    ""Non c'è più sordo di chi non vuol sentire"".
    Grazie per la sua testimonianza.

  3. #3
    Senior Member

    L'avatar di marina
    Registrato dal
    30-10-08
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    Grazie , davvero !! $]]^

    MARINA
    RNA 20MU FOI

    " Non puo mancare cio" che non si apprezza " !

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