Non vi sono notizie di colonie in libertà di ondulati? D'altronde vengono allevati da molto più tempo e credo che siano più adattabili di queste specie...non perchè spero che ci siano, ma mi sembra strano...
A proposito della necessità di caldo dei pappagalli, io ho visto parrocchetti dal collare in libertà, apparentemente naturalizzati.... ad Amsterdam!!!
Non vi sono notizie di colonie in libertà di ondulati? D'altronde vengono allevati da molto più tempo e credo che siano più adattabili di queste specie...non perchè spero che ci siano, ma mi sembra strano...
Leo
Uccello in gabbia, o canta per amore, o canta per rabbia...
qui a Barcellona e dintorni colonie di parrocchetti monaci e sono state portate a 92 Olimpiadi. A volte sono veri parassiti, distruggere alberi nativi.
Saludos, Josep Maria
no esisteix cap ideal ques mereixi una gota de sag
concordo con te leo, anche a me sembra strano che non vi siano colonie naturizate di ondulati in Italia! sono una specie molto prolifica, adattabbile e rustica.. so che esistono colonie naturizate di ondulati in Nuova Zelanda, Sudafrica, Portorico, Brasile, Colombia, California, Florida... addirittura in New York! . . . forse da noi non ci sono per via dei troppi predatori naturali.. però boh?
Il Mio Allevamento: Allevamento Amatoriale PSITTACIFORMES
Presidente AOBL
Forlino Vincenzo Cell. 393/1403319
e-mail: info.aobl@gmail.com
Da un noto allevamento del mio paese negli anni '80 erano fuggite centinaia di coccorite.Per tutto il periodo estivo si vedevano numerosi stormi che vagavano nella zona,poi con i primi freddi sono sparite, e si sono cominciati a trovare uccelli morti quà e là,non sò dirvi se sia stato il freddo o la mancanza di cibo,ma di sicuro non sono sopravvissuti.
Bollettino del Museo Civico di Storia Naturale di Venezia.2004. Vol 55, pagg: 171-200.
RAPPORTO ORNITOLOGICO PER LA REGIONE VENETO.
ANNO 2003
Pappagallino ondulato Melopsittacus undulatus
1 ind. ai primi di maggio a Gandarolo, Villa Bartolomea - VR (Giorgio Rigo [3]).
Diversi indd. nel mese di settembre in riva all’Adige a Verona città (Mark Hows [3]).
PARROCCHETTO DAL COLLARE
Psittacula krameri (Scopoli, 1769)
Sistematica
Ordine: Psittaciformes
Famiglia: Psittacidae
Sottospecie: sono note quattro sottospecie (P. k. krameri, P. k. parvirostris,
P. k. borealis, P. k. manillensis) originarie dell’Africa tropicale a nord
dell’equatore e dell’Asia meridionale. Incerta la tassonomia delle popolazioni
introdotte; secondo Juniper e Parr (1998) negli Stati Uniti, in Europa e
a Singapore sarebbero presenti individui appartenenti alla sottospecie P. k.
manillensis, mentre secondo del Hoyo et al. (1997) sarebbe più probabile
l’attribuzione dei nuclei naturalizzati alla sottospecie P. k. borealis. In ogni
caso per i parrocchetti introdotti in Europa sembra assodata l’origine asiatica
(Spanò e Truffi 1986).
Identificazione
TAV. IX - Lunghezza 37-43 cm; apertura alare 42-48 cm. Riconoscibile
per il piumaggio verde, la coda lunga e appuntita, bluastra superiormente
e ocra inferiormente, il becco ricurvo rosso e le zampe grigio-verdi. Sessi
simili, tranne che per il collare nero e rossastro e la sfumatura bluastra sul
capo presenti solo nel maschio adulto. Giovane simile alla femmina ma con
piumaggio più giallastro, coda più corta e becco rosa con punta nera.
Si distingue da P. eupatria e da pressoché tutte le specie congeneri per
l’assenza della macchia rossastra sulle copritrici minori dell’ala, per il colore
e lo spessore del collare e per le dimensioni. Il volo è veloce e diretto,
accompagnato da vocalizzazioni molto sonore; risalta in modo evidente la
lunga coda e il colore verde uniforme (del Hoyo et al. 1997, Beaman e
Madge 1998, Juniper e Parr 1998, Snow e Perrins 1998a).
Geonemia
P. k. krameri: dalla Mauritania meridionale, Senegal e Guinea fino
all’Uganda occidentale e al Sudan meridionale. P. k. parvirostris: dal Sudan
centrale e orientale attraverso Etiopia, Eritrea e Gibuti fino alla Somalia
nord-occidentale. P. k. borealis: dal Pakistan nord-occidentale attraverso
l’India settentrionale e il Nepal fino al Bangladesh. P. k. manillensis: India
peninsulare a sud del 20° parallelo nord e Sri Lanka (del Hoyo et al. 1997,
Juniper e Parr 1998).
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Distribuzione ecologica
Il Parrocchetto dal collare è una specie molto adattabile, in grado di abitare
una grande varietà di ambienti purché caratterizzati dalla presenza di alberi ad
alto fusto. Occupa diverse tipologie di ecosistemi forestali, incluse le foreste
ripariali, le formazioni a mangrovie, le foreste tropicali secondarie, le savane
alberate. Nidifica anche in zone semi-desertiche e in ambienti antropizzati
quali aree agricole, frutteti e centri urbani caratterizzati dalla presenza di
parchi e giardini. Nell’areale di origine predilige le aree di pianura, ma si
spinge fino a quote di 1.600 m in Asia e di 2.000 m in Etiopia (del Hoyo
et al. 1997, Juniper e Parr 1998, Snow e Perrins 1998a). In Europa le popolazioni
naturalizzate vivono principalmente in ambienti urbanizzati, frequentando
parchi, giardini e frutteti. (Maranini e Galuppo 1994, Hagemeijer e
Blair 1997). Malgrado l’origine tropicale, soggetti introdotti in climi temperati
hanno dimostrato di sopravvivere per lunghi periodi superando anche
rigidi inverni e dando prova di resistere bene nei confronti della competizione
esercitata dalle specie autoctone (Snow e Perrins 1998a); probabilmente la
capacità di acclimatazione è acuita dalla facilità con cui questa specie si accosta
all’uomo e accetta il cibo alle mangiatoie nel corso dell’inverno (Hagemeijer
e Blair 1997).
Specie gregaria soprattutto al di fuori del periodo riproduttivo, forma grossi
stormi, talvolta associandosi con corvi, maine e altri parrocchetti, dando vita
ad assembramenti di diverse migliaia di individui (Juniper e Parr 1998). Si
ciba di una grande varietà di alimenti di origine vegetale (semi, frutta, germogli,
fiori, nettare) (Lever 1987, Juniper e Parr 1998, Snow e Perrins 1998a).
Durante il periodo riproduttivo non è territoriale e talvolta forma lasse
colonie. Nidifica all’interno di cavità naturali su alberi o su roccia; talvolta
sfrutta anche le cavità presenti su edifici (Juniper e Parr 1998).
Nell’areale di origine presenta un comportamento sedentario, anche se si
hanno notizie di regolari spostamenti stagionali nella Mauritania meridionale
(Juniper e Parr 1998).
Status
Il Parrocchetto dal collare è una specie comune o abbondante su gran parte
del proprio areale; nell’ultimo secolo questo Psittacide è andato incontro ad
un considerevole incremento numerico legato soprattutto all’aumento delle
aree coltivate (Juniper e Parr 1998).
Attualmente sono note numerose popolazioni naturalizzate nel Medio e
nel Estremo Oriente, in Africa orientale e meridionale, in Nord America in
Europa e nelle isole Mauritius e Hawaii (Lever, 1987). Nel Paleartico occidentale
è presente in Egitto, Israele, Giordania e in diversi paesi dell’Europa
occidentale (Gran Bretagna, Olanda, Belgio, Germania, Austria, Spagna e
150
Italia), con un areale distributivo marcatamente discontinuo, legato soprattutto
alle località dove sono avvenuti rilasci o fughe dalla cattività (Snow e
Perrins 1998a). La popolazione complessiva presente in Europa occidentale,
stimata in svariate migliaia di individui, si sta rapidamente espandendo. Il
nucleo attualmente più consistente, presente in Gran Bretagna, già nel 1983
contava 500-1.000 soggetti a fronte dei primi individui osservati in libertà
nel 1968 e della prima nidificazione avvenuta nel 1969 (Spanò e Truffi 1986,
Hagemeijer e Blair 1997, Snow e Perrins 1998a, ).
In Italia il Parrocchetto dal collare è presente con una popolazione complessiva
stimata in circa 200-300 individui. Le prime nidificazioni sono state
accertate alla metà degli anni ’70 a Genova, ove si è costituito un nucleo stabile
formato da un centinaio di individui (Spanò e Truffi 1986 e 1998, Snow
e Perrins 1998a). Più recente la naturalizzazione di questa specie in Sicilia
(Catania, Siracusa e Palermo) avvenuta a partire dal 1990 in corrispondenza
di parchi con grandi alberature (Lo Valvo et al. 1993); secondo Snow e Perrins
(1998a) sarebbero presenti su quest’isola 20-40 coppie. Nidificazioni
irregolari sono segnalate per altre regioni: Friuli-Venezia Giulia, Lombardia,
Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna, Umbria, Lazio e forse Sardegna (Spanò
e Truffi 1986, Baccetti et al. 1997, Brichetti 1999). A Roma di recente è stata
segnalata la presenza di una cinquantina di individui e ne è stata accertata la
nidificazione (Raia com. pers.).
Impatto sulla biodiversità
In Inghilterra e in Germania si è osservato come il Parrocchetto dal
collare competa con successo nella scelta delle cavità utilizzate quali siti per
la riproduzione con molte altre specie come la Taccola Corvus monedula,
i rapaci notturni, i picchi, le cince Parus spp., il Picchio muratore Sitta
europaea e la Passera mattugia Passer montanus, nonché con alcuni pipistrelli
(Myotis spp.) e Roditori. Tale circostanza sembra legata soprattutto ad un
inizio molto precoce del periodo di nidificazione rispetto alla gran parte delle
specie autoctone (Lever 1987, Gebhardt 1996, Hagemeijer e Blair 1997).
Gregario e opportunista, il Parrocchetto dal collare, in alcuni settori del
suo areale originario, costituisce una seria minaccia alle colture (Lever 1987,
Juniper e Parr 1998). Si riunisce spesso in stormi formati da migliaia o più
individui su raccolti di granaglie o di frutti in maturazione; invade persino
i granai, lacerando i sacchi con il becco. In India sono attribuite a questa
specie perdite fino ad un terzo dell’intero raccolto. Qualora aumentasse la
consistenza delle popolazioni naturalizzate, essa potrebbe arrecare consistenti
danni alle produzioni agricole anche in Europa (Lever 1987, Feare 1996).
Dal punto di vista sanitario, come tutte le specie appartenenti agli
Psittacidi, rappresenta il serbatoio naturale di Chlamydia psittaci, agente
della psittacosi dell’uomo.
PARROCCHETTO MONACO
Myiopsitta monachus (Boddaert, 1783)
Sistematica
Ordine: Psittaciformes
Famiglia: Psittacidae
Sottospecie: sono note quattro unità
tassonomiche sottospecifiche (M. m.
cotorra, M. m. monachus, M. m. calita
e M. m. luchsi). Dal momento che
M. m. luchsi si differenzia nettamente
dalle altre forme sia per caratteristiche
morfologiche, sia per aspetti
comportamentali, taluni Autori la
considerano come specie distinta (del
Hoyo et al. 1997, Juniper e Parr
1998).
Identificazione
TAV. IX - Lunghezza 28-33 cm;
apertura alare 31-34 cm. Fronte,
guance e parti inferiori grigie; parti
superiori verdi con dorso e copritrici superiori della coda tendenti al
giallastro. A breve distanza si nota il petto debolmente barrato ed il ventre
attraversato da una striscia giallo-oliva. Remiganti blu scuro e timoniere
verdi colorate di blu lungo il rachide. Giovane con la fronte sfumata di
verde. Il volo è veloce e diretto; le ali scure contrastano con la colorazione
chiara della testa e del petto (del Hoyo et al. 1997, Juniper e Parr 1998,
Snow e Perrins 1998a).
Geonemia
M. m. cotorra: Bolivia meridionale, Paraguay, Brasile meridionale e
Argentina nord-occidentale. M. m. monachus: Brasile sud-orientale, Uruguay
e Argentina nord-orientale. M. m. calita: Argentina occidentale. M. m. luchsi:
Ande boliviane (del Hoyo et al. 1997, Juniper e Parr 1998).
Distribuzione del Parrocchetto monaco in Italia:
popolazioni naturalizzate (cerchio pieno),
popolazioni insediate nelle adiacenze di zoo o
strutture analoghe (triangolo) e presenze non
stabilizzate (cerchio vuoto).
Distribuzione ecologica
Nelle regioni di origine il Parrocchetto monaco frequenta una notevole
varietà di situazioni ambientali, dagli ecosistemi forestali agli ambienti aperti
con alberi isolati, dalle formazioni a cespugli e Cactacee tipiche delle regioni
semi-desertiche alle aree coltivate ed urbane. Con la sola eccezione della
sottospecie M. m. luchsi, legata ad habitat montani fino a 3.000 m s.l.m.,
questa specie è diffusa soprattutto alle quote medio basse fino a circa
1.000 m. Su gran parte del proprio areale risulta il parrocchetto più
comune; localmente è andato incontro a una considerevole espansione grazie
all’impianto di eucalipti in ambienti precedentemente privi di alberi, alla
parziale deforestazione di altre aree, alla riduzione dei predatori naturali e
all’aumento delle risorse trofiche legate all’espansione delle colture (Juniper
e Parr 1998). In Europa questa specie ha colonizzato soprattutto aree urbane
e suburbane, parchi, aree agricole (Maranini e Galuppo 1994, Hagemeijer e
Blair 1997, Snow e Perrins 1998a).
Il Parrocchetto monaco nelle aree di origine è un uccello sedentario, caratterizzato
da un comportamento spiccatamente sociale anche durante il periodo
riproduttivo. Spesso più coppie utilizzano una stesso nido, talvolta costituito
da più camere distinte. I nidi sono strutture voluminose formate da
rami secchi, costruiti su palme, o tra i rami più alti di latifoglie o di conifere;
può sfruttare anche strutture artificiali come edifici, piloni elettrici, mulini a
vento, pali telefonici (del Hoyo et al. 1997, Hagemeijer e Blair 1997, Juniper
e Parr 1998, Snow e Perrins 1998a). Si alimenta soprattutto di semi, frutti e
germogli, ma può integrare la propria dieta anche con invertebrati (Snow e
Perrins 1998a).
Status
Il Parrocchetto monaco è stato introdotto in Brasile (Rio de Janiero), nelle
Indie Occidentali (Porto Rico), negli Stati Uniti (Florida e New York) e nel
Paleartico occidentale (Juniper e Parr 1998). I nuclei naturalizzati in Europa
(Belgio, Germania, Repubblica Ceca, Spagna, Isole Baleari, Italia) hanno
avuto origine da fughe accidentali e da rilasci intenzionali a partire soprattutto
dagli anni ’70 (Gebhardt 1996, Hagemeijer e Blair 1997).
In Italia si stima una consistenza di oltre 200 individui presenti
soprattutto nei parchi urbani e giardini di diverse città (Brichetti 1999); è
sconosciuto invece il numero di soggetti presenti allo stato semi-selvatico
presso diversi parchi faunistici. La prima immissione in libertà di cui si ha
notizia è avvenuta a Milano nel 1934 ed ha portato alla formazione di una
piccola popolazione nidifiacante (Moltoni 1945); la colonia si estinse nel
153
1946 probabilmente a causa della predazione da parte dei ratti (Spanò e
Truffi 1986). Un piccolo nucleo insediatosi a Genova, probabilmente nel
1970, si è invece accresciuto fino a dimensioni pari 20-30 individui. Un
altro nucleo è segnalato fin dai primi anni ’80 a Udine, dove nel 1988
è stata accertata la presenza di almeno 10 individui (Hagemeijer e Blair
1997). Dalla metà degli anni ’80 sono state identificate due colonie lungo il
litorale romano rispettivamente in località Infernetto-Castel Fusano e Ostia
Antica-Dragona (Biondi et al. 1995). Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio
degli anni ’90 la specie ha nidificato a Siena (Baccetti dati inediti) e ha
colonizzato il centro urbano di Catania, costruendo i nidi su palme del
genere Washingtonia (Lo Valvo et al. 1993). Segnalazioni più recenti di
nidificazione o di tentativi di nidificazione sono note per Novi di Modena
(Ferri e Villani 1995), Cerrione (Biella), S. Giovanni di Busca (Cuneo:
Bertolino 1999a), Roma (Raia com. pers.) e Piove di Sacco (Padova: Borin
com. pers.). Almeno tre nuclei di soggetti in libertà sono stati segnalati
in corrispondenza di zoo o di parchi faunistici: nei dintorni dello zoo "Le
Cornelle" (Bergamo) sono state stimate almeno 100 coppie (Guberti e
Baccetti dati inediti); nel parco zoo di Pastrengo (Verona) si sono osservate
nidificazioni regolari a partire dal 1985 e si è costituita una popolazione
formata da almeno 30 coppie (Hagemeijer e Blair 1997), mentre su un’isola
del Lago Maggiore risulta presente un nucleo apparentemente non in grado
di automantenersi (Hagemeijer e Blair 1997).
Impatto sulla biodiversità
Osservazioni condotte a Barcellona hanno evidenziato come questa specie
possa competere con successo con specie autoctone per la ricerca del cibo o per
l’occupazione dei siti di nidificazione (Snow e Perrins 1998a).
Nei coltivi il Parrocchetto monaco può creare seri danni, poiché attacca
agrumeti e campi di cereali (Lever 1987 e 1994). Negli USA per timore che
la specie possa diventare un flagello per l’agricoltura sono state avviate intense
azioni di controllo (Juniper e Parr 1998, Snow e Perrins 1998a). In Toscana
è stato osservato come un gruppo costituito da meno di cinque soggetti possa
asportare o far cadere in pochi giorni tutti i frutti dagli alberi di ciliegio e
susino prescelti per l’alimentazione (Cancelli com. pers.).
Dal punto di vista sanitario, come tutte le specie appartenenti agli
Psittacidi, rappresenta il serbatoio naturale di Chlamydia psittaci agente della
psittacosi dell’uomo.
AMAZZONE FRONTE BLU
Amazona aestiva (Linnaeus, 1758)
Sistematica
Ordine: Psittaciformes
Famiglia: Psittacidae
Sottospecie: A. a. aestiva e A. a. xanthopteryx; quest’ultima forma tassonomica
talvolta è stata considerata come specie distinta.
Identificazione
TAV. IX - Lunghezza 37 cm. Pappagallo di taglia medio-grande, di
colorazione dominante verde. Disegno del capo variabile ma caratteristico,
con fronte blu, vertice biancastro, guancia e zona attorno all’occhio gialla.
Penne della nuca, lati del collo e dorso con margini scuri. Specchio alare
e area carpale rossi (area carpale gialla in A. a. xanthopterix); apice delle
primarie blu scuro, talvolta tendenti al viola o al nero. Timoniere verdi con
sfumature gialle verso la punta; penne laterali della coda barrate alla base di
rosso. I giovani presentano una colorazione gialla e blu meno estesa. Per il
riconoscimento dalle molte specie congeneri simili è opportuno consultare la
bibliografia specialistica (del Hoyo et al. 1997, Juniper e Parr 1998).
Geonemia
A. a. aestiva: Brasile orientale, dal Maranhão e dal Pará meridionale al Rio
Grande do Sul. A. a. xanthopteryx: Bolivia, Brasile sud-occidentale, Paraguay
e Argentina settentrionale (del Hoyo et al. 1997).
Distribuzione ecologica
L’Amazzone fronte blu è tipica di ambienti forestali e di habitat aperti
purché caratterizzati dalla presenza di alberi maturi con tronchi cavi che vengono
utilizzati quali siti di nidificazione. È segnalata nelle foreste umide subtropicali,
nelle foreste a galleria, nelle savane e in aree con prevalenza di vegetazione
arbustiva; frequenta anche piantagioni di palme ed altre aree agricole,
talora in prossimità di insediamenti antropici. Benché sia più comune nelle
zone di pianura, può spingersi a quote elevate, raggiungendo i 1.600 m s.l.m.
nelle valli aride della Bolivia orientale (del Hoyo et al. 1997, Juniper e Parr
1998).
Specie parzialmente migratrice, al di fuori del periodo riproduttivo si riunisce
a formare grossi stormi. Si nutre in prevalenza di frutti e di semi di una
grande varietà di piante, talora arrecando danni alle produzioni agricole; le
colture più esposte sono il mais, il girasole e gli agrumi (del Hoyo et al. 1997,
Juniper e Parr 1998).
Status
Benché sia una delle amazzoni più abbondanti del Sud America, questa
specie localmente è andata incontro ad estinzioni locali e ad una contrazione
dell’areale, probabilmente a causa delle trasformazioni dell’habitat e del prelievo
di soggetti destinati al commercio di animali (Juniper e Parr 1998); a tal
riguardo si segnala che la sola Argentina tra il 1985 e il 1990 ha provveduto
all’esportazione di ben 244.774 soggetti (del Hoyo et al. 1997).
In Italia questa specie è diffusamente importata per fini ornamentali e
amatoriali. Oltre a sporadiche osservazioni di singoli individui presenti allo
stato libero, ad esempio in Campania nell’inverno 1994-’95 (Giustino e
Nappi 1996), è stato accertato un caso di nidificazione a Genova nel 1993;
la coppia si è riprodotta con successo negli stessi parchi urbani frequentati
dal Parrocchetto dal collare Psittacula krameri, portando all’involo tre giovani
(Maranini e Galuppo 1993).
Impatto sulla biodiversità
Al momento non sono disponibili informazioni circa la presenza di nuclei
naturalizzati di Amazzone fronte blu in climi temperati, per cui non si è in
grado di prevedere se questa specie possa effettivamente colonizzare il nostro
Paese. I rischi potenziali che un’espansione di questa specie potrebbe comportare
sono assimilabili a quelli indicati per gli altri pappagalli di cui esistono già
popolazioni vitali in Europa.
USIGNOLO DEL GIAPPONE
Leiothrix lutea (Scopoli, 1786)
Sistematica
Ordine: Passeriformes
Famiglia: Timaliidae
Sottospecie: L. l. lutea, L. l. yunnanensis, L. l. kwangtungensis, L. l. calipyga,
L. l. luteola, L. l. kumaiensis, L. l. astleyi
Identificazione
Lunghezza 13-16 cm. Inconfondibile per il contrasto tra la
colorazione verde-grigiastra delle parti superiori e le vistose macchie gialle
in corrispondenza delle ali, dell’occhio e della gola. Il giallo della gola e, in
alcune sottospecie, del vessillo esterno delle primarie sfuma in arancionerossastro
rispettivamente verso il petto e le remiganti secondarie. Coda
nerastra debolmente forcuta; sopraccoda dello stesso colore del dorso ed
esteso a coprire i tre quarti della coda. Becco rosso e zampe marroni. Sessi
simili (Meyer de Schauensee 1992, Roberts 1992).
Geonemia
Specie sino-himalaiana, è distribuita dalla Cina meridionale e dalla Birmania
fino al Kashmir sud-orientale (Meyer de Schauensee 1992, Roberts
1992).
Distribuzione ecologica
Nelle zone d’origine abita di preferenza il sottobosco delle foreste in
ambiente di collina o montagna tra i 600 e i 2.700 m di quota; occupa anche
formazioni a bambù, giungla secondaria e aree coltivate, quali le piantagioni
di té (Meyer de Schauensee 1992, Roberts 1992). Sulle isole Hawai è stata
notata una spiccata preferenza per le foreste caratterizzate da precipitazioni
superiori ai 1.000 mm annui ed in generale per le aree boscate con abbondante
sottobosco prossime a corpi idrici permanenti (Lever 1987); anche
l’area italiana più significativamente interessata da presenze della specie (Lucchesia)
è caratterizzata da precipitazioni particolarmente elevate rispetto alla
media nazionale.
Status
Specie tra le più frequentemente detenute in cattività per scopi amatoriali,
viene spesso segnalata in natura in seguito a fughe accidentali. Attualmente
risulta naturalizzata in diverse isole dell’arcipelago delle Hawai (Lever 1987) e
probabilmente all’isola di Reunion (Le Corre 2000); le osservazioni di numerosi
individui ad Hong Kong potrebbero essere dovute sia ad un’espansione
naturale, sia all’immissione in natura di soggetti detenuti a fini amatoriali
(Lever 1987). Tentativi falliti di introduzione sono stati fatti in Inghilterra, in
Francia, negli USA e in Australia occidentale (Lever 1987).
Per quanto riguarda l’Italia, considerato l’elevato numero di osservazioni
effettuate negli ultimi anni, risulta impossibile riportare ogni singola località
di avvistamento; a titolo di esempio si richiamano le catture avvenute durante
operazioni di inanellamento o i semplici avvistamenti effettuati in provincia
di Novara (Piacentini com. pers.), di Venezia (Baccetti dati inediti) e di
Pesaro (Giusini com. pers.). Una nidificazione avvenuta sul tetto di un edificio
è stata accertata in comune di Pergola (Pesaro) nel 1993 (Giusini com.
pers.).
A partire circa dal 1998 si ha notizia di presenze relativamente diffuse in
provincia di Lucca (Archivio INFS, Velani com. pers.), che sembrerebbero
dovute ad una popolazione già attualmente naturalizzata almeno nell’area
periurbana prossima al Monte Pisano. In questa zona le osservazioni più regolari
avvengono all’interno di giardini di ville con boschetti di bambù (Chines
com. pers.). Un apposito sopralluogo effettuato nell’area (novembre 2000) ha
portato all’immediato avvistamento di stormi anche numerosi, dal comportamento
vistoso, in spostamento anche in ambienti aperti quali oliveti e coltivi
in genere (Perfetti dato inedito).
Impatto sulla biodiversità
È stato identificato come vettore del Plasmodium vaughani, responsabile
della malaria aviare; è inoltre possibile che causi danni a raccolti agricoli, in
particolare di frutta e verdure (Lever 1987).
ASTRILDE BECCO DI CORALLO
Estrilda troglodytes (Lichtenstein, 1823)
Sistematica
Ordine: Passeriformes
Famiglia: Estrildidae
Sottospecie: specie monotipica
Identificazione
Lunghezza 9 cm. Molto simile all’Astrilde comune Estrilda
astrild. Si distingue da questa e da altre specie congeneri per avere in ogni
livrea il sopraccoda nero, la coda nera con le timoniere esterne bianche
ed il sottocoda bianco. Maschio adulto con vertice grigio chiaro, striscia
sull’occhio e becco rossi, dorso marrone finemente barrato e parti inferiori
tendenti al rosa chiaro. Femmina simile al maschio, ma priva della colorazione
rosata delle parti inferiori. Giovane con colorazione più uniforme,
parti dorsali marrone-camoscio prive di barrature, striscia sull’occhio scura e
becco nerastro (Clement et al. 1993).
Geonemia
Dal Senegal ad est attraverso l’Africa fino al Sudan centrale e all’Etiopia
nord-occidentale; a sud fino all’Uganda nord-occidentale e allo Zaire settentrionale
(Lever 1987, Clement et al. 1993).
Distribuzione ecologica
In Africa frequenta soprattutto savane aride, spesso in corrispondenza di
distese di erbe alte e di formazioni arbustive; talvolta viene osservato anche ai
margini di aree coltivate (risaie), ma in genere evita la stretta vicinanza agli
insediamenti antropici. Si nutre principalmente si semi di piante erbacee. È
specie sedentaria, anche se può compiere erratismi durante la stagione secca
(Clement et al. 1993). In Italia è stato rinvenuto in ambiente di canneto e in
aree al limitare di canneti e piantagioni di mais.
Status
Specie comunemente detenuta in cattività a fini amatoriali, è stata introdotta
sulle Isole Hawaii, dove ora è probabilmente estinta, e nelle Indie Occidentali (Guadalupe, Puerto Rico) (Lever 1987, Clement et al. 1993).
Le segnalazioni per l’Italia, tutte riferite alla Toscana, sono state attribuite
ad individui direttamente sfuggiti alla cattività (Brichetti 1999). In realtà gli
unici dati noti consistono in una cattura durante operazioni di inanellamento
effettuata nei canneti sulla riva pisana del Lago di Massaciuccoli il 29/8/1994
(Grattarola 1995) e nell’osservazione qualche giorno dopo di una coppia in
atteggiamento riproduttivo. In precedenza, un soggetto era stato catturato
nella stessa area già il 10/9/1992 e in origine attribuito dubitativamente a
Estrilda astrild (Tellini Florenzano com. pers.). È possibile che, qualora localmente
esista un nucleo di Estrildidi in fase di acclimatazione, anche quest’ultima
segnalazione sia in realtà da riferire a Estrilda troglodytes.
Il fatto che le diverse specie di Estrildidi non siano molto facilmente distinguibili
tra loro, soprattutto se viste a distanza, e che molte siano quelle detenute
dagli avicoltori, suggerisce l’opportunità di esaminare con particolare attenzione
le caratteristiche dei soggetti che in futuro venissero osservati in natura.
Impatto sulla biodiversità
Non conosciuto.
ASTRILDE COMUNE
Estrilda astrild (Linnaeus, 1758)
Sistematica
Ordine: Passeriformes
Famiglia: Estrildidae
Sottospecie: 17 sottospecie
Identificazione
TAV. XI - Lunghezza 9-11 cm; apertura alare 12-14 cm. Distinguibile
per le piccole dimensioni ed il color sabbia vermicolato su cui spicca,
nell’adulto, il rosso del becco e del sopracciglio ed il nero del sottocoda;
groppone e coda di colore uniforme rispetto al resto delle parti superiori. Il
maschio ha il ventre rossastro tendente al rosa, guance e gola biancastre;
la femmina ha una colorazione delle parti ventrali uniforme, tendente al
grigio. Giovane più sbiadito, meno vermicolato, con becco nero e stria
oculare meno intensa; differisce dal giovane di Bengalino comune Amandava
amandava per la colorazione grigiastra anziché camoscio, per l’assenza della
doppia barra alare e per la coda più lunga (Clement et al. 1993, Beaman
e Madge 1998).
Geonemia
L’areale di nidificazione originario dell’Astrilde comune comprende la
quasi totalità dell’Africa a sud del Sahara; il limite distributivo a nord raggiunge
il Camerun e il Sudan meridionale. Popolazioni isolate sono presenti
in Sierra Leone e Liberia (Clement et al. 1993, Snow e Perrins 1998b).
Distribuzione ecologica
In Africa può occupare savane, pascoli, paludi, vegetazione ripariale, coltivi
e radure all’interno dei boschi; è una specie molto confidente con l’uomo
e spesso si spinge nei villaggi, all’interno di giardini e nei dintorni di fattorie.
Le popolazioni naturalizzate in Spagna e Portogallo inizialmente hanno frequentato
soprattutto i canneti e le distese di Arundo ma ora occupano anche
i coltivi e le aree ripariali (Clement et al. 1993, Reino e Silva 1996, Snow e
Perrins 1998b).
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Status
Specie naturalizzata da tempo in Europa (in Spagna dal 1977, in Portogallo
dal 1964: Guerrero et al. 1989, Reino e Silva 1996), in Brasile, in California
e in molte isole tropicali (Lever 1987, Snow e Perrins 1998b).
Per l’Italia sono note segnalazioni in Toscana (si veda scheda relativa a
Estrilda troglodytes), lungo il medio corso del Po (1978-79, Toso com. pers.),
in Sicilia (Gatto 1988) e un caso di nidificazione occasionale presso le Vasche
di Maccarese (Roma) nel 1992 (Biondi et al. 1995).
Impatto sulla biodiversità
Non conosciuto.
BENGALINO COMUNE
Amandava amandava (Linnaeus, 1758)
Sistematica
Ordine: Passeriformes
Famiglia: Estrildidae
Sottospecie: A. a. amandava, A. a.
flavidiventris, A. a. punicea
Identificazione
TAV. XI - Lunghezza 9-9,5 cm;
apertura alare 13-14,5 cm. Maschio
in livrea riproduttiva con piumaggio
rosso brillante che contrasta con il
nero delle ali, della coda e delle parti
ventrali; a breve distanza si nota
una punteggiatura bianca sul corpo e
sulle ali ed uno stretto bordo bianco
sulla coda. Femmina e maschio al di
fuori del periodo riproduttivo meno
appariscenti, con dorso marrone e
parti ventrali color camoscio con sfumature grigiastre; ventre giallastro,
sopraccoda e becco rossi. Il maschio in abito non riproduttivo si distingue
per avere più grigio sulla testa e sulle guance rispetto alla femmina. Giovane
con colorazione più smorta, sopraccoda marrone, becco scuro e parti ventrali
tendenti al camoscio anziché al giallastro; assenza di stria oculare e di punti
bianchi sulle copritrici alari, sostituiti da apici color crema che formano una
doppia barra (Clement et al. 1993, Beaman e Madge 1998).
Geonemia
L’areale originario dal Pakistan si estende attraverso l’India fino ad interessare
la Cina sud-occidentale, la Thailandia, la Cambogia e il Vietnam; una
popolazione separata occupa le Piccole Isole della Sonda.
Distribuzione ecologica
In Asia il Bengalino comune è legato alle basse quote, anche se può
Distribuzione del Bengalino comune in Italia:
popolazioni naturalizzate (cerchio pieno) e
presenze non stabilizzate (cerchio vuoto).
raggiungere i 2.400 m sulle Piccole Isole della Sonda. Frequenta di preferenza
i canneti, le distese di erbe alte, le piantagioni di canna da zucchero e
le zone cespugliate, soprattutto in prossimità di paludi e di corpi idrici;
viene osservato anche all’interno di radure in aree forestali, ai margini
di aree coltivate, in corrispondenza di villaggi ed aree urbane (Clement
et al. 1993).
In Italia gli habitat maggiormente utilizzati sono le zone umide dove
predominano i canneti (Phragmites e Typha), i giuncheti, i cariceti, i prati
e i campi irrigati.
Status
Da molto tempo diffuso tra gli allevatori per fini amatoriali, il Bengalino
risulta naturalizzato in Egitto già dall’inizio del ’900; più di recente è stato
immesso nelle Indie Occidentali, in corrispondenza di alcuni arcipelaghi oceanici,
in Giappone, sulle Filippine, in Melesia, a Sumatra, in Arabia Saudita,
in Israele e in Spagna (Lever 1987, Clement et al. 1993, Snow e Perrins
1998b).
In Italia da diversi anni si ha notizia di individui presenti in natura anche
per periodi prolungati e di occasionali nidificazioni portate a buon fine, sfociate
nell’insediamento di almeno cinque grosse popolazioni naturalizzate. La
distribuzione nota è probabilmente approssimata per difetto, in quanto le
presenze non sempre risultano facilmente rilevabili o vengono segnalate.
Il nucleo conosciuto da più tempo, insediatosi in Italia settentrionale
presso Treviso fin dal 1974, negli anni ’80 è stato stimato di 80-90 coppie
nidificanti; complessivamente la popolazione presente è costituita da circa
300 individui ed è localizzata lungo il corso del Fiume Sile (Mezzavilla e Battistella
1987). Altre segnalazioni di presenza e nidificazione sono pervenute
più di recente da alcune delle principali zone umide a canneto del Paese (Baccetti
et al. 1997), come ad esempio dalla Laguna di Venezia (dato relativo
all’inizio degli anni ’90, ma cfr. Pratesi 1975 per un precedente insediamento
nel Veneziano, attribuibile a questa specie). In Toscana settentrionale
sono note due popolazioni in corrispondenza del Lago di Massaciuccoli e del
Padule di Fucecchio, insediatesi tra il 1986 e il 1989 (segnalazioni toscane
anche precedenti sono genericamente riportate da Tellini Florenzano et al.
1997). In questa regione sono state stimate di recente 50-300 coppie nidificanti
e la popolazione complessiva appare in espansione, come dimostra l’avvenuta
colonizzazione di zone limitrofe al Padule di Fucecchio quali l’alveo di
Bientina e il Lago di Sibolla (Baccetti et al. 1997, Sposimo et al. 1999). Per
l’Italia settentrionale esistono anche segnalazioni occasionali in altre regioni
Per quanto riguarda le regioni centro-meridionali, caratterizzate da un
clima senz’altro più adatto alla specie, nidificazioni nel Lazio e in Molise sono
state riscontrate già a metà degli anni ’70 e riguardano attualmente soprattutto
i Laghi Pontini, il Lago di Fondi (Latina) e le Vasche di Maccarese
(Roma) (Biondi et al. 1995, Corbi com. pers.). Più recente di circa un decennio
il primo (e unico?) dato di riproduzione in Puglia (Siponto, Foggia), mai
confermato successivamente. Apparentemente episodica anche una segnalazione
in Sicilia, quella di uno stormo consistente nelle Marche ed altre ancora
in ambiti regionali diversi (Baccetti et al. 1997).
Il calendario riproduttivo, in Italia come altrove, interessa principalmente
i mesi autunnali, a partire da agosto in Molise e Toscana (ma già da luglio a
Fucecchio: Sposimo et al. 1999), con almeno un’indicazione relativa al periodo
primaverile. Numerosi soggetti inanellati in Italia negli ultimi dieci anni
hanno fornito per ora solo ricatture locali, anche a distanza di un anno. Osservazioni
effettuate in passato e recenti cali numerici invernali rilevati a Fucecchio
parrebbero tuttavia indicare l’esistenza di movimenti di tipo erratico o
dispersivo (Baccetti et al. 1997, Sposimo et al. 1999). La cattura, in anni
diversi, di soggetti imbrancati con il Pendolino Remiz pendulinus in migrazione
attiva alla foce del Fiume Conca (Rimini: Magnani com. pers.), a
distanza dalle zone riproduttive note, è di ulteriore supporto a tale ipotesi.
Ciò potrebbe, qualora le popolazioni non siano alimentate da continui episodi
di fuga dalla cattività, giustificare le improvvise colonizzazioni di siti
anche lontani dalle zone umide già occupate (Baccetti et al. 1997).
Impatto sulla biodiversità
Al momento non sembra che le popolazioni naturalizzate in Italia siano
entrate in competizione con specie autoctone.
MAINA COMUNE
Acridotheres tristis (Linnaeus, 1766)
Sistematica
Ordine: Passeriformes
Famiglia: Sturnidae
Sottospecie: A. t. tristis, A. t. melanosturnus, A. t. tristoides
Identificazione
TAV. X - Lunghezza 23-25 cm; apertura alare 33-36,5 cm. Simile per
forma ad un grosso storno, presenta colorazione uniforme bruno-nerastra su
cui spiccano ventre e sottocoda bianchi. Zampe, becco e area nuda posta
sotto e dietro l’occhio di colore giallo. In volo si nota un’ampia macchia
bianca alla base delle primarie e il bordo bianco delle timoniere. Giovane
con toni più opachi: testa, gola e parte superiore del petto marrone anziché
grigio-nerastro (Roberts 1992, Beaman e Madge 1998, Snow e Perrins
1998b).
Geonemia
Specie originaria delle regioni indiana, indocinese, vietnamita e dell’Arcipelago
della Sonda, nell’ultimo secolo ha esteso il proprio areale fino a
raggiungere l’Afganistan, il Turkestan e il Kazakhstan (Lever 1987, Roberts
1992).
Distribuzione ecologica
La Maina comune è una specie onnivora molto adattabile, estremamente
abbondante su gran parte del proprio areale. Commensale dell’uomo, predilige
le zone rurali e, in generale, le aree caratterizzate dalla presenza di insediamenti
antropici; frequenta anche ambienti aperti e il margine delle aree
forestali, spingendosi fino a quote elevate (3.000 m sull’Himalaia). Nidifica
su edifici (soprattutto negli spazi sotto le tegole) o in cavità degli alberi (Ali e
Ripley 1987, Roberts 1992).
Status
La Maina comune è stata importata in molti paesi del mondo soprattutto
a scopo ornamentale e amatoriale; alcune popolazioni sono state introdotte
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per il controllo degli Insetti che infestano i raccolti, senza considerare che la
Maina stessa può arrecare seri danni all’agricoltura e alla fauna selvatica.
Attualmente questa specie si è naturalizzata, con un successo tale da superare
ogni previsione, in Australia, Nuova Zelanda, Malesia, Madagascar, Sud
Africa, a Sant’Elena, Ascensione ed in numerose altre isole dell’Oceano Pacifico
e dell’Oceano Indiano. Il temperamento antropofilo della specie, insieme
alle sue abitudini onnivore e generaliste, ne hanno enormemente facilitato la
diffusione (Lever 1987, Roberts 1992).
In Europa la Maina comune è presente con un’unica popolazione stabile,
ubicata nella Russia meridionale nei pressi di Sochi e Gagrada (Hagemeijer
e Blair 1997). Anche in Francia, tra il 1986 e il 1991, è stata segnalata l’esistenza
di un piccolo nucleo a Dunkerque con alcuni accertati episodi di riproduzione
(Hars 1992). In Italia una coppia nidificante con i relativi pulli è stata
osservata a Roma nel 1992 (Brunelli 1996); tentativi falliti di riproduzione
sono avvenuti anche nel 1987 (Biondi et al. 1995) e nel 1995 (Brunelli 1996),
rispettivamente a Castel Fusano e a Villa Carpegna (Roma). La presenza di
questa specie nel nostro Paese è comunque da considerare per ora episodica
e probabilmente attribuibile a soggetti di recente fuga dalla cattività. Viste
le abitudini sedentarie della Maina comune, si può prevedere che la distribuzione
futura della specie sarà legata essenzialmente alle località di rilascio.
Impatto sulla biodiversità
Fortemente aggressiva nei confronti delle altre specie ornitiche di analoghe
dimensioni, la Maina comune può entrare in competizione con numerose
specie autoctone soprattutto per l’occupazione dei siti di nidificazione. Può
inoltre arrecare danni consistenti alle colture agricole (Lever 1987).
Ultima modifica di marco cotti; 19-09-10 a 17: 15
Marco Cotti FEO 0004
http://digilander.libero.it/cocoricoland/index.htm
http://tarantamyblog.blogspot.com/
Dove tuona un fatto, siatene certi, ha lampeggiato un'idea.
Ippolito Nievo
Della maina mi risulta ce ne siano alcune colonie in Spagna,è descritto anche in "Strategie e azioni per il controllo delle specie alloctone in Spagna" di Bernardo Zilletti, Laura Capdevila-Argüelles & Víctor A. Suárez Álvarez
e in qesto link http://www.golemindispensabile.it/in...8537&_idfrm=62
Ho letto che alcune maine si riproducono nei giardini di roma
Carlo
RNA BW55
RAE F82
VOGHERA. «Cara, allora andiamo in vacanza ai tropici?». «Sì, in via Sturla a Voghera
ci sono anche i pappagalli».
Non è fantascienza, è realtà. Una verità fotografata da
Massimo Barbieri e da uno studio scientifico sullo Staffora, coordinato dal docente del
«Gallini» Pietro Cavagna, che presto sfocerà in una pubblicazione del museo di Scienze
Naturali. «Il clima sta cambiando - premette il professore -, ma la presenza di pappagalli
in Oltrepo ha più significati diversi che bisogna saper cogliere. Bisogna studiare il
fenomeno, monitorandolo anche nei prossimi anni».
E gli amanti della natura sperano anche sia un ulteriore spunto per accelerare l’iter della
“greenway” (percorso ciclopedonale) e del dimenticato Parco dello Staffora, un miraggio che
dagli anni’80 si affaccia regolarmente alle cronache in campagna elettorale. Ma Cavagna lascia
la politica da parte, per lui è solo una questione di scienza. «Abbiamo monitorato la presenza
di una piccola colonia di pappagalli presso lo Staffora come esempio di fauna alloctona (che
non è nata nel luogo in cui risiede), acclimatata e potenzialmente invasiva, che ha trovato
rifugio in questo territorio». La specie è quella del «Psittacula krameri», il parrocchetto dal
collare. «Penso si tratti di un fatto curioso - continua Cavagna -, che possa rendere più evidente
l’evoluzione del quadro ambientale in cui viviamo con le relative nuove problematiche». Da
dove arrivano quei pappagalli? «Il parrocchetto dal collare è originario dell’Africa centrale, del
medio oriente e dell’Asia. Si sta diffondendo anche in Italia. Questo parrocchetto, di circa 40
centimetri, ha una colorazione verde chiaro brillante con becco rosso-rosa, e deve il nome al
particolare collarino rosa-nero, molto evidente nel maschio». Dunque non aveva le
allucinazioni chi nella zona di via Sturla sentiva strani trilli: «Sono gregari, molto vivaci e
rumorosi, quasi invadenti. I loro richiami tipici sono un trillo forte, acuto, facilmente
distinguibile o un “ciak” aperto e sonoro che ne rivela la presenza in maniera inequivocabile.
La sagoma in volo ricorda un’ancora con le ali arcuate, la lunga coda stretta alla fine, il capo
tozzo». Si nutrono di frutta, semi, bacche, fiori. Secondo Cavagna i primi pappagalli sono
arrivati 3 anni fa. «Ho personalmente osservato almeno 10 esemplari svernanti presso lo
Staffora, già a partire dal 2005. Sono facilmente visibili sui rami dei pioppi robinie e salici,
nella fascia perifluviale». I più singolari villeggianti vogheresi amano anche trascorrere tempo
in centro: «Visitano talvolta la città, preferendo trovare appoggio e rifugio nelle torri
dell’acquedotto o nei silos - confessa Cavagna -. Non sono a conoscenza di particolari danni a
carico di coltivazioni o strutture civili nel territorio, mentre nei paesi di origine possono
danneggiare le coltivazioni, in particolare di girasole e riso, arrivando anche a bucare i sacchi
di cereali immagazzinati. Ho notato che curiosamente gradiscono i frutti del kaki lasciati sulla
pianta durante l’inverno. Non mi risulta documentazione circa possibili predatori che li
possano attaccare e limitare nel numero, anche se per dimensioni potrebbero essere preda dei
rapaci diurni nostrani e forse anche degli strigiformi più grandi (gufi)». I nuovi «immigrati»
sono dunque socievoli:«Convivono con gazze, ghiandaie, picchi, tortore e piccioni. I
parrocchetti dal collare sono stati osservati in numerose regioni italiane a partire dagli anni ’80,
probabilmente fuggiti da voliere e gabbie ed insediatisi in zone idonee, riuscendo ad
acclimatarvisi come è avvenuto a Milano, Roma e nel delta del Po». E Cavagna regala anche
uno scoop storico: «Si ritiene che il primo pappagallo arrivato in Europa sia stato un
parrocchetto indiano portato ad Aristotele nel 328 avanti Cristo dal suo studente Alessandro
Magno, che aveva conquistato l’oriente, forse era proprio un parrocchetto»